Suono e Musica, unione tra popoli e dialogo tra terra e cielo

Numero 50, usciamo dai percorsi convenzionali. Con la “Vision” odierna, abbiamo raggiunto un piccolo traguardo e ci concediamo di dare sfogo al libero pensiero, oltrepassando materialismo e riduzionismo. Per alcuni attimi, lasciamo correre senza limiti il pensiero corale, capace di unire con amore i popoli. Con spirito sognante, immaginiamo il globo terrestre inondato di “suono”, in funzione della pacifica convivenza tra gli esseri umani. Inoltre, ci dilettiamo a guardare oltre la musica standardizzata, non relegata ai soli ambiti accademici, esecutivi e commerciali. Che gioia concepire la musica come appartenente agli universi sonori, trasmessa attraverso media etici e consapevoli, per divenire un potentissimo strumento di pace condiviso da tutti gli esseri viventi, liberi da autoritarie paure indotte e da sensi di colpa. Terminato lo sfogo al libero pensiero, con sconforto ritorniamo alla realtà. 
Altre due settimane sono trascorse all’insegna delle guerre e del rafforzamento di armamenti bellici altamente distruttivi. Di tavoli per la pace se ne parla ma senza nulla di fatto, per cui abbiamo deciso di riprendere il nostro percorso musicale, partendo dal finale dell’ultima “Vision”. Troviamo profondamente ingiusta la sofferenza inflitta ai popoli martoriati dalle guerre. Popoli di ieri e di oggi. La sovranità appartiene al popolo o sono sempre pochi individui a decidere le sorti del popolo? “Vexata quaestio”.  La musica possiede un atavico potere sonoro unificante, è ponte tra i popoli e, se usata con un minimo di criterio e amore, non conosce barriere e il virus dell’odio tra i popoli. Comunica direttamente al cuore delle persone. Da lei l’umanità ha sempre avuto modo d’imparare, essendo la prima Voce di libertà e di pace. Un’ancestrale e armonica “Voce” interiore che ha bisogno di essere concepita in relazione alle leggi della Natura, le quali regolano la vita sulla terra e, per estensivo, del cosmo. 
Lucio Giùnio Modesto Columella è stato un autore spagnolo vissuto nel primo secolo dopo Cristo. Ha scritto numerosi libri dedicati all’agricoltura, concentrati nell’opera “De re rustica”, di cui in italiano venne redatta un’accurata pubblicazione, con il titolo “L’arte dell’agricoltura e libro sugli alberi” (1977, traduzione di R. Calzecchi-Onesti). Agli inizi del nuovo millennio tale testo fu per noi istruttivo, per approfondire il rapporto tra gli strumenti popolari e la natura in senso lato, sebbene, nello specifico, trattasse ben poco di argomenti musicali. In particolare, lo utilizzammo durante un periodo di ricerca sugli strumenti a fiato della Sardegna, sui quali aveva scritto con amore l’amico Giovanni Dore, intraprendente parroco di Tadasuni, uomo di pace e di cultura il quale, meglio di tanti altri studiosi, seppe coniugare la spiritualità e la materialità strumentale, facendo anche riferimento agli studi di Marius Schneider, troppo spesso dimenticato dalla trattatistica contemporanea. Nei “Libri IV e XXIX”, Columella scrisse in relazione alla canna e ai suoi usi, compresi quelli salutari per la cura degli animali. Quanti strumenti a fiato popolari sono stati ricavati dalla canna (esistono diverse varietà) per eseguire musica di comunità? La nostra attenzione al materiale vegetale era soprattutto indirizzata verso le launeddas, le quali ancora aspettano di essere riconosciute dall’UNESCO come patrimonio dell’umanità. Grazie anche alla collaborazione con il maestro Giovanni Casu, agli stimoli ricevuti da Roberto Leydi e Pietro Sassu nonché dai lavori di Giulio Fara e di A.W. Fridolin Bentzon, i nostri studi si prolungarono per alcuni anni e culminarono con la pubblicazione dell’opera “La Cultura delle Launeddas”, con nota introduttiva di Sandra Mantovani. A distanza di tre lustri, continuiamo a trovare attuali le conclusioni del libro, maturate a seguito di significative esperienze di ricerca sul campo. Ai nostri occhi, lo strumento tricalamo portava con sé il fascino di tutta l’oggettività materiale ed esecutiva, ma lo studio approfondito ci aveva spinto oltre la storia, la cultura e i valori. Ci aveva permesso di allargare lo sguardo verso la sua universalità sonora, tanto da indurci a scrivere un finale anomalo (rispetto alle consuete pubblicazioni etnomusicologiche), titolato “Ai cittadini del mondo” (dicembre 2008). In considerazione dell’attuale momento storico, desideriamo riproporre il testo nel contributo odierno che, con riconoscenza, dedichiamo con stima alla memoria di Giovanni Dore, ricordando la sua principale opera organologica - “Gli Strumenti della Musica Popolare sarda” (1977) -, assai apprezzata da numerosi studiosi internazionali e, in particolare, dall’etno-organologo Febo Guizzi.  


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Ai cittadini del mondo
«Piccolo grande uomo, costruttore di grattacieli, autostrade e aeroplani, tu che, in nome del commercio e della scienza, riesci a imporre regole di vita che immiseriscono il pianeta, osserva con occhi innocenti queste “tre canne” unite da filo e cera e torna fanciullo, lasciando alle spalle odio, rancori e risentimenti.  Prendi un cannello d’avena e in una pozza d’acqua “soffia” a più non posso, “di continuo”. L’ossigeno correrà al cervello, i polmoni si apriranno e i muscoli delle guance inizieranno a indurirsi, ma non ti fermare.   Prosegui spedito il percorso che ti porterà a suonare melodie sulla destrina e poi, in unione con lei, sulla “mancosa”. “Su tumbu” ronzerà all’infinito amplificando gli “armonici” divini. Riuscirai pian piano a penetrare il mondo dei “suoni” e a quel punto inizierai a ridere e a piangere di gioia. Emozione: dalle lacrime sorgerà un “respiro profondo” che rilasserà l’anima, in questo modo potrai ritrovare il “tempo della semplicità”. In un attimo non sarai più solo e di fronte alle asperità terrene saprai come reagire, andando ogni volta a recuperare quel “mondo”, fragile in apparenza, durato millenni, e che in futuro potrebbe restare “luce sonora” da donare a milioni e milioni di esseri umani. Per questo ti chiedo di “non abbattere questo mondo”, che esprime la vita. 
Entra, quindi, nel pianeta delle launeddas e avvicinati ad esse con senso di rispetto, poiché hanno molto da insegnare. Impara a osservare la natura, ricorda la storia, osserva la ritualità e la vita sociale di una comunità. Per conoscere i “suoni” della canna visita la Sardegna. “Ascoltando e osservando”, lasciati guidare da un maestro suonatore. Silenziosamente cammina con lui per le strade del paese, per le campagne, lungo i rivi d’acqua, sulle spiagge, contemplando la vastità del mare, toccando la durezza delle rocce, facendo scaldare la pelle dal calore del sole in una giornata di maestrale. Per approfondire il mondo delle launeddas alzati all’alba con un contadino per innaffiare i campi, entra in una bottega di un calzolaio che cuce con filo impeciato, poi chiedi ospitalità in un ovile, dove potrai mirare un pastore usare con maestria il proprio coltello. Senza indugio e pregiudizio diventa membro di una collettività e segui funzioni e processioni religiose, e al termine di queste, in piazza, stringi con sicurezza la mano di una donna e inizia a ballare, in cerchio. Infine, libera la mente: il corpo scorrerà rapito dal ritmo dei “suoni”. In un attimo sarai trasportato in una dimensione, nella quale il “canto interiore” ti farà capire il mistero del cosmo, e potrai inserirti nel “dialogo” infinito tra “Terra e Cielo”. Questo “dialogo” ti appartiene, piccolo grande uomo: impegniamoci per renderlo perennemente attuale per mezzo della “musica”, nell’interesse dell’umanità».  

Paolo Mercurio

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