Roberto Leydi, “Il Nuovo Canzoniere Italiano” e l’attività teatrale (1962-1965)

Roberto Leydi a lavoro
In occasione del cinquantenario dello spettacolo “Bella Ciao”, presentato a Spoleto presso il Teatro Caio Melisso, il 21 giugno del 1964, desidero ricordare Roberto Leydi tracciando il profilo di un breve periodo della sua intensa attività di studioso durata oltre mezzo secolo. Il profilo è riferito ai primi anni Sessanta durante i quali coordina e promuove il gruppo di ricerca denominato “Il Nuovo Canzoniere Italiano” e si distingue come ideatore di spettacoli teatrali di successo. 

Cenni biografici 
Nato a Ivrea nel 1928, Leydi presto si trasferisce a Milano, dove inizia a lavorare come critico per l’“Avanti”, per il Festival di Musica Contemporanea (di Venezia) e come autore in RAI, tra l’altro collaborando con Luciano Berio e Bruno Maderna per l’opera sperimentale di musica elettronica e concreta titolata “Ritratto di Città”. In qualità di giornalista Leydi viene poi assunto all’“Europeo”, per il quale viaggia da inviato stringendo stretto rapporto professionale con il fotografo Ferdinando Scianna. Appassionato di musica jazz, Leydi scrive recensioni e libri, tra cui (in collaborazione con Tullio Kezich) “Ascoltami mister Bilbo” (1954), nel quale vengono raccolti alcuni canti di protesta contro un senatore americano conservatore. Ricercando esperienze analoghe, Leydi scopre che poco o nulla era stato studiato musicalmente in Italia. Così, proprio in questo periodo, inizia a occuparsi organicamente del “canto sociale” nazionale. Da qui l’incontro con Gianni Bosio (di origini mantovane, fondatore, nel 1949, della rivista “Mondo Operaio”) e con Alberto Maria Cirese (fondatore della Rivista “La Lapa” specializzata in studi storico-letterari e di cultura popolare). Leydi s’impegna a tamburo battente nelle ricerche. Lavoratore instancabile è “sempre sul pezzo”, costantemente proteso ad approfondire i diversi argomenti studiati per poi divulgarli. Da esperto giornalista sviluppa un’apprezzata rapidità di scrittura (qualità rara tra gli studiosi) che utilizza sapientemente secondo le circostanze. Come esperto di musica popolare, Leydi si contraddistingue subito per doti culturali e per capacità organizzative e di mediazione con le istituzioni pubbliche e private. Dagli interessi verso il canto sociale le sue ricerche si allargano ben presto a tutto il campo della musica popolare, cui si dedicherà per il resto della propria esistenza (insieme a molteplici altri interessi). Raramente i biografi menzionano “La Musica dei Primitivi” (1961, completamento di ricerche iniziate già nel 1959), opera basilare per la sua evoluzione di etnomusicologo, per scrivere la quale deve confrontarsi retrospettivamente con i più rigorosi studi di musicologia comparata, utili per affrontare con disciplina le numerose tematiche tipiche dell’etnologia musicale che, negli anni, sempre più spesso, sarà denominata etnomusicologia. 

Roberto Leydi e “Il Nuovo Canzoniere Italiano” 
Il Nuovo Canzoniere Italiano dal 1962 al 1968
Nel 1962, a Milano, Gianni Bosio e Roberto Leydi danno vita a “Il Nuovo Canzoniere Italiano” (di seguito nominato anche come “NCI”), centro di ricerca che per alcuni anni catalizza la scena nazionale, ma dal quale uscirà per diatribe interne nel 1966, anno in cui, peraltro, sarà fondato (sempre a Milano) L’Istituto Ernesto De Martino, comprendente nel comitato scientifico, oltre ai due studiosi, anche Alberto Maria Cirese. Durante il 1962, nel “NCI” confluiscono i componenti dei Cantacronache di Torino facenti capo a Sergio Liberovici e Michele Straniero. A luglio, edito dalle Edizioni Avanti, esce il primo fascicolo (così è stato classificato) del ”NCI” (32 pp., costo 300 lire), a cura di Leydi e Liberovici. Parallelamente, viene organizzato uno spettacolo presso la società Umanitaria (situata nel centro di Milano), curato da Leydi e da Tullio Savi, dal titolo “L’altra Italia. Canti del popolo italiano”, i cui esecutori sono Sandra Mantovani, Michele Straniero e Fausto Amodei. Per capire il tipo di sodalizio tra il gruppo milanese e quello torinese dei Cantacronache, pare utile dare uno sguardo alla struttura del fascicolo appena menzionato. Innanzi tutto sono specificati i motivi della pubblicazione, nella presentazione genericamente titolata “Un canzoniere”: - «In questi ultimi anni anche nel nostro paese, sotto lo stimolo di alcuni studi critici recenti e di un più vasto movimento d’interesse, si è venuta sviluppando un’attenzione specifica per i problemi della musica popolare intesa secondo concetti e metodologie moderne e aggiornate… Lo scopo di questo Nuovo Canzoniere Italiano non è però quello di sviluppare in termini scientifici lo studio del materiale politico-sociale della nostra consuetudine popolare e popolaresca …, ma di avviare, a lato di una saggistica specifica riservata a sedi più opportune, una nuova misura dell’interesse della cultura italiana per i documenti e i problemi di quei dati della cultura non ufficiale (nel nostro caso canzoni) che testimoniano la protesta politica e sociale in prospettiva storica e nello stato attuale». È utile evidenziare il passaggio: «… anche nel nostro paese», segno che in altre nazioni questo tipo di ricerche era già stato portato avanti da qualche tempo. In Italia non si partiva proprio da zero, ma moltissimo vi era ancora da scoprire e da fare. Quali sono gli argomenti trattati nel primo fascicolo del ”NCI”? Sintetizzando: la presentazione eterogenea di alcuni testi popolari corredati da trascrizioni musicali (un must della rivista); un “autoritratto” di Fausto Amodei (allora ventisettenne, laureato in architettura, entrato a far parte del Gruppo Cantacronache, autore di canzoni antimilitariste); una sezione definita “Le canzoni e la cronaca” alla quale con parodie partecipa Umberto Eco, scrivendo ironicamente “Ventiquattro megatoni” (sul motivo di “Ventiquattromila baci”) e “Tuppe tuppe colonnello” (sull’aria di “Tuppe tuppe marescià”). Inoltre, la parte interamente curata da Roberto Leydi comprendente le sezioni “Informazioni bibliografiche” (suddivisa in “Opere originali italiane” e “Traduzioni” di saggi stranieri) e “Notizie discografiche”. Infine, sintetiche informazioni promozionali sulla Collana “Mondo Popolare” da lui stesso diretta, con opere dedicate a “Marionette e Burattini”, “La Piazza” (spettacoli popolari italiani), i “Canti della Resistenza” (Tito Romano e Giorgio Solza) e la storia del circo italiano, “Questa sera grande spettacolo”, scritta da Alessandro Cervellati. È possibile farsi un’idea dell’indirizzo di ricerca seguito da Leydi leggendo le recensioni. Per i due volumi “Canti politici italiani, 1793-1945” (di Lamberto Mercuri e Carlo Tuzzi), ad esempio, scrive quasi tre pagine di recensione, mettendo in risalto i punti di forza e di debolezza, evidenziando che l’opera presenta «… tutti i difetti tradizionali della nostra consuetudine folklorica già più volte denunciati (da noi e da altri) e ad essi aggiunge un disprezzo palese per quella precisione filologica, spesso sterile ma spesso ammirevole, che invece è nella parte migliore della tradizione degli studi specifici italiani». Quali sono per Leydi questi “difetti”? 1) la scelta (dei testi) condotta in modo indiscriminato; 2) confusione fra popolare, popolaresco e colto; 3) mancanza della musica, poiché «… tutti gli sforzi degli studiosi moderni sono stati tutti tesi a dimostrare l’inscindibilità della parola e della melodia in un canto, popolare, popolaresco o colto …»; 4) errori, inesattezze e simili («… si potrebbero riempire pagine e pagine…»). Per comprendere l’importanza di questa sezione del primo fascicolo dell ”NCI”, basterà citare gli autorevoli saggisti cui Leydi riserva una recensione: Giuseppe Cocchiara (“L’eterno selvaggio”), Ernesto De Martino (“La terra del rimorso”), R. Calisi e F. Rocchi, “La poesia popolare nel Risorgimento italiano”; Antonino Uccello, “Risorgimento e società nei canti popolari”, Antonio Buttitta, “Cultura figurativa popolare in Sicilia”, Giuseppe Pitrè, “Usi e costumi del popolo siciliano”, S. Liberovici, E. Jona, L. Gennero, M. Straniero, “I canti di protesta” e “I Canti di Protesta” 1940-1961 (cui partecipò anche Margherita Galante Garrone, Margot per gli amici). 
Il disco di Milanin Milanon
Dalla succinta carrellata di nomi e autori è possibile comprendere come – con rigore, metodo e competenza – il “NCI” intenda, sin dalla prima pubblicazione, proporsi a livello nazionale quale punto di riferimento per un’obiettiva e moderna ricerca a favore della cultura popolare. In parallelo all’attività professionale e di ricerca musicale, Roberto Leydi è spesso impegnato sul versante teatrale, curatore di spettacoli tra cui il noto “Milanin Milanon” che, nel 1962, riscuote subito successo in termini di pubblico e di critica. Lo spettacolo è presentato in anteprima il 14 dicembre al Teatro Gerolamo di Milano, situato nelle vicinanze di Piazza Fontana. La regia è di Filippo Crivelli (in seguito opererà soprattutto in ambito lirico-melodrammatico). Interpreti dello spettacolo sono cinque attori-cantanti di eccezione: Sandra Mantovani (folk-singer milanese e moglie di Roberto Leydi), Tino Carraro e Milly (noti al pubblico meneghino per una memorabile interpretazione al Piccolo Teatro dell’“Opera da Tre soldi” di Brecht, con la regia di Giorgio Strehler), Anna Nogara ed Enzo Jannacci, il quale da lì a poco scoprirà un successo nazionale come cantautore, grazie anche alle collaborazioni con Giorgio Gaber e alla produzione discografica di Nanni Ricordi del quale si parlerà in seguito. Dallo spettacolo si ricava una fortunata edizione discografica, della quale chi desidera potrà ritrovare traccia nel web. Dal 1962, lo spettacolo “Milanin Milanon” è stato più volte replicato nei Giardini della Villa civica di via Palestro, nel Parco di Villa Litta ad Affori e, negli anni Novanta, nei Cortili del Castello Sforzesco. Di recente, nel 2012, sempre con la regia di Crivelli, lo spettacolo è stato riadattato e nuovamente proposto nella ricorrenza del cinquantenario della prima al Teatro Gerolamo. Nel gennaio del 1963, si pubblica il secondo numero della rivista del “NCI”, con un numero di pagine raddoppiato (segno della frenetica attività di ricerca). Si spiega nell’introduzione che Liberovici è «… nell’impossibilità di proseguire la collaborazione…», pertanto Leydi diventa curatore unico. Nella rivista, in successione, sono presentati testualmente e musicalmente tre canti popolari esteri (spagnolo, angolano e greco) e un gruppo di canti del canzoniere italiano (“Gli scariolanti”, “Mamma mia mi son stufà”, “E per la strada”, “Na juris”, “Anto del bastone”, “La canzone della Michelin”). Rinaldo Salvatori dedica una presentazione al “Ciarlatano” e ai “Canzonieri” di Arturo Frizzi, inoltre è presentato un ciclo di ballate (autobiografiche) scritte da Ivan della Mea: “La grande e la piccola violenza”. Franco Fortini recensisce, invece, il disco “Inni e canti socialisti”, mentre Leydi dedica un articolo a “Il fascismo contro le canzoni”, cui seguono le consuete “Informazioni Bibliografiche” di opere originali italiane e le “Traduzioni” di opere straniere, tra cui “Musica antica e Orientali”, a cura di Egon Wellesz. Curiosa e precisa è la pagina finale scritta da Leydi, riferita agli “Errata” del numero precedente. Nel settembre del 1963 si rende necessaria una nuova pubblicazione della rivista nella quale, a fianco di Leydi, collaborano attivamente Fausto Amodei e Michele Straniero. 
Sandra Mantovani, Ivan Della Mea e Gaspare De Lama
Un lungo articolo introduttivo riguarda “La canzone popolare, il mercato della musica e i giovani”, con il quale si cercano e s’individuano le ragioni sociali e culturali che avvicinano questi ultimi al canto popolare. Nella sezione del canzoniere internazionale sono presentati testi e musiche di Giappone, Usa, Scozia, dando poi particolare attenzione a “Le deserteur” nella versione originale, censurata e proibita in Francia. Nel repertorio del canzoniere italiano, l’apertura è tutta per la nota canzone “Addio Lugano bella” di Pietro Gori, avvocato di Rosignano (vol. 2, Spezia, 1911). Segue la canzone narrativa dell’anarchico Sante Caserio (ghigliottinato il 16 agosto del 1894) e altre ancora tra cui “La donna del soldato” (tratto da una ballata di Bertold Brecht con musica del fisarmonicista milanese Piero Marazza) nonché varie canzoni composte da Fausto Amodei. Infine l’autobiografia di “Spartacus Picenus” (pseudonimo di Raffaele Offidani), nato nel 1890, autore di numerose canzoni e di inni a sfondo politico. Conclude la rivista una sezione denominata “Aria di casa nostra”, contraddistinta da numerosi spunti critici e di riflessione sul rapporto folklore-contemporaneità e sui cicli dei concerti eseguiti da Sandra Mantovani, Michele Straniero e Fausto Amodei in Italia e all’estero. La parte dedicata alle recensioni cambia nome e viene denominata “Libri, riviste, dischi”, quasi interamente scritta da Leydi con interventi di Michele Straniero (“Canti popolari dell’Angola”) e di Luigi Pestalozza (“Canti di lavoro” e “Canti comunisti italiani”). La rivista termina con la presentazione informativa di undici pubblicazioni dei Dischi del Sole, dedicate al canto sociale in Italia. 

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