Letture: Le Novità

Tutte le novità editoriali presentate da Blogfoolk...

LA STRADA, IL PALCO E I PEDALI
TRENT’ANNI DI STORIE DEI TÊTES DE BOIS
un libro di Massimo Pasquini  
 
Narrate con quella leggerezza che permette di “planare sulle cose dall’alto”, senza superficialità né macigni sul cuore, le storie e le peripezie, gli incontri e i progetti della band, mentre tra musica e invenzioni, palchi e pedali, camion e biciclette, scorrono sotto gli occhi trent’anni di vita culturale tra Francia e Italia
 
In uscita il 24 marzo per Squilibri Editore
 
Presentazione a Libri Come
Venerdì 24 marzo - Auditorium Parco della Musica, Teatro Studio “G. Borgna”
 
Tre volte Targa Tenco Interpreti (2002, 2007 e 2015), con nove dischi e prestigiose collaborazioni, da Francesco Di Giacomo a Joan Baez, artefici di una rinnovata primavera in Italia di Leo Ferré e della chanson française, presenti da protagonisti a rassegne e festival oltre che per piazze e appuntamenti emblematici, dalla Festa della Musica di Parigi al G8 di Genova, i Têtes de bois in trent’anni di attività hanno animato e promosso una serie impressionante di progetti innovativi e originali che, all’ombra di tanta, ottima musica, hanno mosso sogni e aspirazioni e delineato i contorni di possibili utopie, richiamando l’attenzione generale su quel ciglio di strada dove non arriva la luce dei riflettori: e sono soprattutto queste vicende con connesse peripezie ad essere al centro del libro di Massimo Pasquini, La strada, il palco e i pedali. Trent’anni di storie dei Têtes de Bois, (Squilibri editore), in uscita il 24 marzo.
Gruppo musicale raffinato, organizzatore di eventi mastodontici o interstiziali, creatore di capovolgimenti estetici e linguistici, inventore di marchingegni ecosostenibili, la band romana è stata in effetti in grado di animare stadi olimpici e stradine di paese, auditorium e cantine, mezzi di locomozione e pompe di benzina, ferrovie abbandonate e campi di pomodoro. Tutto è iniziato su un camioncino Fiat del 1956, acquistato da un rigattiere e trasformato poi in palco mobile per portare la loro musica e le loro provocazioni ovunque fosse necessario, tra strade e svincoli, capitali europee e periferie urbane, circhi e stazioni ferroviarie. Il racconto inizia con il loro primo concerto nella centralissima Campo de’ Fiori a Roma, ai piedi della statua di Giordano Bruno, e termina trent’anni dopo sulle selle dello stupefacente palco a pedali della recentissima Retromarcia su Roma. In mezzo, le visionarie, ironiche, commoventi, sorprendenti iniziative disseminate in giro per l’Italia e per l’Europa. Senza ritegno i quattro componenti della band confessano le loro sconclusionatezze, raccontano gli esordi squattrinati, ripercorrono le vicende di Stradarolo, Avanti Pop, dell’esibizione sul palco dell’Ariston a Sanremo ospiti di Paolo Rossi, degli spettacoli in metropolitana, dei raduni in bicicletta, degli incontri e le collaborazioni con i grandi della cultura e dello spettacolo internazionale. Grande amico di ciascuno di loro, oltre che giornalista e scrittore, nonché inventore del personaggio di Eros Greco cui ha dedicato una trilogia letteraria, Massimo Pasquini ha ascoltato i loro racconti e ha raccolto le testimonianze di quanti hanno incrociato il cammino delle quattro “teste di legno”, trasformando centinaia di storie in una storia sola: quella di quattro sperimentatori giocosi, poetici e graffianti della fantasia al potere. In uscita il 24 marzo, il volume sarà presentato da Daniela Amenta lo stesso giorno a Libri Come, alle ore 21, all’Auditorium Parco della Musica, Teatro Studio “G. Borgna”
 
Massimo Pasquini, La strada, il palco e i pedali. Trent’anni di storie dei Têtes de bois, f.to 14x19,5, pp. 128, 20 foto a colori, ISBN 978-88-85571-74-7, € 15
info@squilibri.it; www.squilibri.it
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PINO DANIELE “TUTTO QUELLO CHE MI HA DATO EMOZIONE VIENE ALLA LUCE” 
UN RACCONTO INEDITO DI ALESSANDRO DANIELE DELLA VITA E DELLE OPERE DI SUO PADRE
PROVENTI IN FAVORE DELLA FONDAZIONE PINO DANIELE ETS PER IL CONTRASTO ALLA POVERTÀ EDUCATIVA ED IL DISAGIO SCOLASTICO
 
PINO DANIELE - “Tutto quello che mi ha dato emozione viene alla luce” è il libro sul mitico “Mascalzone Latino”, scritto dal figlio Alessandro ed edito da Rai Libri, disponibile in libreria e negli store digitali. La vita e le circostanze che stanno dietro l’arte e le canzoni di Pino Daniele: dall’infanzia all’esplosione del suo straordinario e incredibile talento creativo, dagli anni della consacrazione musicale al successo internazionale. Napoli e i suoi mille colori, i sentimenti che vivono e fioriscono tra gli accordi: dall’amore per la chitarra scoperto da ragazzo tra le strade di un basso napoletano alla certezza di non poter stare senza fare musica. Un viaggio che ha come punto di partenza e di arrivo assoluti la musica. Il libro è l’omaggio di un figlio a un padre, ma anche un documento che ripercorre i primi anni della carriera dell’artista, album dopo album. E in mezzo la vita. Alessandro Daniele racconta il musicista fiero della propria notorietà e al tempo stesso timido di fronte all’immensa popolarità. L’uomo che attraverso le proprie note e la propria voce ha sedotto (e mai abbandonato) milioni di fans. “Questo è per me un documento che mette insieme l’uomo e l’artista – dichiara Alessandro Daniele – perché non credo esista una separazione tra i due. Il libro traccia un percorso cronologico della sua vita, racconta il momento in cui papà incontra se stesso, deve farci i conti e trovare l’equilibrio, anzi l’armonia, e risulterà essere il rapporto più complicato che dovrà gestire nella sua vita. Ho cercato una formula nel segno di una compartecipazione sana del lettore, che non è quella di guardare dal buco della serratura. La narrazione così ha assunto una duplice finalità: da una parte la storicizzazione, dove i racconti danno conto della radice artistica di mio padre; dall’altra, invece, la sua esperienza umana, che si riflette nelle sue opere come nel titolo di questo libro  - “Le sofferenze, i disagi, i sacrifici, le persone che ho amato, tutto quello che mi ha dato emozione viene alla luce” -   è anche una testimonianza di inclusione sociale in vari ambiti e che spero possa essere da esempio a chi ha bisogno, per chi si ferma davanti alla prima difficoltà”.
Il libro finanzia “i suoni delle emozioni” per il contrasto alla povertà educativa ed il disagio scolastico, un progetto che Alessandro Daniele cura da qualche anno con la Fondazione Pino Daniele e che si basa sul sistema di valori di suo padre, atto ad utilizzare la musica come linguaggio per comunicare gli stati d’animo ed i sentimenti (info: www.fondazionepinodaniele.org).
Alessandro Daniele (Napoli, 1979) è project manager e produttore artistico in ambito musicale. Secondogenito di Pino Daniele, ha lavorato per quindici anni con il padre, diventandone in breve tempo il personal manager. È docente di varie discipline dell’organizzazione e della gestione dello spettacolo al conservatorio di Musica Giuseppe Verdi di Milano. Dirige la Fondazione Pino Daniele ETS per il perseguimento delle attività sociali e benefiche intraprese dal padre, preservandone la memoria attraverso iniziative culturali e musicali in suo nome, laboratori di ricerca musicale e la formazione artistica di giovani talenti.
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Andrea Liberovici
Veneziacustica  
Il libro dei suoni 1 

In uscita la nuova opera -da leggere, guardare e ascoltare- di un  compositore audio-visivo che nel'inesausta sperimentazione di nuovi linguaggi, ci restituisce un ritratto suggestivo di Venezia mentre è in residenza artistica presso la Columbia  University di New York per un lavoro analogo sui suoni della Grande Mela 

La nuova opera di Andrea Liberovici, Veneziacustica, edita da Squilibri, si configura come una raccolta di “cartoline acustiche” che, messe le une accanto alle altre, compongono un ritratto grandemente suggestivo di Venezia: sono campielli e rive, gondole e vaporetti sintattici che squarciano la superficie oleografica di Venezia-icona e aprono la strada alla perlustrazione di Venezia-vita, Venezia-storia, Venezia-mondo. Tutto nasce da una suggestione maturata nel corso di una conversazione con Renzo Piano sulla natura armonica di una città costruita come una palafitta. Quella conversazione, in realtà, ha finito con il “nominare” una sensazione radicata nella memoria più profonda dell’autore che, già nell’infanzia, avvertiva i suoni della sua presenza a Venezia -del suo respiro, del battito cardiaco o della custodia del suo violino- in un legame polifonico con tutte le altre voci e suoni della città: Venezia come un grandioso strumento musicale, capace dunque di dispensare suoni propri e irripetibili altrove, per cui muoversi al suo interno è come muoversi nella pancia di un gigantesco violoncello. Questo “segreto invisibile”, che si accompagna alla conformazione della città, modifica radicalmente la percezione del tempo, risvegliando in chi lo scopre l’attitudine all’ascolto. Suggestioni e sensazioni che, inestricabilmente legate ad esperienze personali, pongono l’opera di Liberovici oltre i paesaggi sonori indagati in tante opere musicologiche, dato che Venezia e le sue voci diventano subito parte costitutiva di un’opera che ha l’ambizione di andare oltre la mera registrazione di dati oggettivi. Riflettendo sul formato e sul dispositivo da utilizzare per trasformare queste riflessioni in musica e poesia, Liberovici è così ispirato al formato della ormai desueta cartolina di cartone, affidando al nesso suoni-poesie quanto in passato era invece consegnato al binomio immagine-parole. Allo stesso tempo ha mantenuto l’essenzialità che era propria della cartolina postale, dandosi un tempo breve, un minuto al massimo, per esprimere quanto gli ha ispirato la “consonanza” con la città della sua infanzia ed ora anche della sua maturità. Ventiquattro istantanee, accompagnate da acquerelli e chine, con un QR code che rimanda ai relativi brani musicali per un “ritratto di città” di grande originalità e fascino che ci restituisce un’immagine alquanto insolita di Venezia, forgiata tra suoni pure familiari a chiunque la conosca, dallo sciabordio delle acque lagunari contro le gondole al suono delle campane fino allo sbattere di corde e cavi contro gli alberi e le sponde delle imbarcazioni all’attracco. 
Andrea Liberovici, Veneziacustica (Il libro dei suoni 1), con scritti di Gianfranco Vinay e Lello Voce, pp. 80, ISBN 978-88-85571-70-9, € 15
Andrea Liberovici (1962), figlio del compositore Sergio e della cantante Margot Galante Garrone, cresciuto a Venezia con la madre e con il musicologo Giovanni Morelli, ha iniziato giovanissimo a studiare composizione, violino e viola nei conservatori di Venezia e Torino, canto con Cathy Berberian e si è poi diplomato alla scuola di recitazione del Teatro Stabile di Genova. Nel 1996, assieme al poeta e drammaturgo Edoardo Sanguineti, ha fondato il teatrodelsuono, applicandosi alla sperimentazione di nuovi motivi nelle relazioni musica-poesia-scena e tecnologie per l’elaborazione del suono e dell’immagine: due anni, Achille Bonito Oliva ha esposto alla Galleria d’Arte Moderna di Roma i suoi Ritratti Acustici, (registrazioni appese alle pareti come quadri). Autore e regista delle sue opere, è stato definito da Jacques Nattiez “un compositore del suo tempo le cui opere ci raccontano la tragedia dell’umanità postmoderna”. Premiato da Le Maschere del Teatro Italiano, nel 2016, come Miglior Compositore Italiano, negli anni ha collaborato come compositore e regista con numerosi altri artisti ed attori, tra i quali Aldo Nove, Caterina Guzzanti, Claudia Cardinale, Enrico Ghezzi, Helga Davis, Ivry Gitlis, Judith Malina, Massimo Popolizio, Milena Canonero, Nanni Balestrini, Peter Greenaway, Robert Wilson, Tiziano Scarpa, Vittorio Gassman e Yuri Bashmet.
 
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Sergio Bardotti. Il poeta per musica, il traduttore, il produttore
  un volume a cura di Stefano La Via e Claudio Cosi
con un CD allegato

Una ricognizione sull’opera di un autore di fondamentale importanza nella storia della canzone italiana, con durature collaborazioni con gran parte dei suoi protagonisti, da Lucio Dalla ad Ornella Vanoni, da Sergio Endrigo a Mina, nonché produttore e traduttore di altri grandi del dire in musica, da Vinicius de Moraes a Chico Buarque. Senza di lui Gianni Morandi non avrebbe mai cantato Occhi di ragazza, Dario Baldan Bembo non avrebbe inciso Amico è né Lucio Dalla Piazza grande e tutti noi non conosceremmo Canzone per te o Quella carezza della sera, almeno non nella versione interpretata da Sergio Endrigo e dai New Trolls. Lui è Sergio Bardotti, un autore di fondamentale importanza nel mondo della canzone dove ha operato come autore di testi, collaborando con innumerevoli artisti, ma anche come traduttore e produttore grazie al quale il pubblico italiano ha potuto apprezzare in particolare autori brasiliani come Vinicius de Moraes. Le diverse componenti di questa articolata storia intellettuale sono ora ripercorse nel volume Sergio Bardotti. Il poeta per musica, il traduttore e il produttore che, a cura di Stefano La Via e Claudio Cosi, è in uscita per Squilibri, editore sempre più presente nell'ambito della canzone d’autore. Con scritti anche di Enrico De Angelis e Serena Facci, il volume è l’esito di un convegno promosso dal Conservatorio “F. A. Bonporti” di Trento e dal Dipartimento di Musicologia dell’Università di Pavia nel decennale della morte: una festa concertante, in realtà, più che un convegno tradizionale, con un respiro interdisciplinare e una connotazione  multimediale come si conviene a una personalità artistica trasversale e poliedrica come quella di Bardotti, capace di travalicare confini e di abbattere ogni residua distinzione tra 'colto' e 'popolare'. In una fluida alternanza di contributi scientifici, performance poetico-musicali e testimonianze di parenti, amici e collaboratori, si sono così alternate  diverse voci -da Chico Buarque a Ornella Vanoni, da Vittorio de Scalzi a Dario Baldan Bembo- per delineare il profilo di un protagonista della cultura italiana della seconda metà del Novecento: e anche le loro voci sono state trascritte e riprese nella parte più “dialogica” del volume. 
Per quanto riguarda i saggi, quello di Enrico de Angelis si configura come un’immersione nel vivo della produzione di Bardotti, con una successione di tappe commentate da una selezione di video: 20 stazioni, con 20 video, per illustrare il cammino di un “poeta per musica”. Claudio Cosi, nel suo saggio, evidenzia i principali “luoghi poetici” di una raffinata penna musicale, addentrandosi nei percorsi tutt’altro che immediati della sua produzione artistica. Stefano La Via, nello scritto più corposo dell’intero volume, mette a fuoco una dei più rilevanti segmenti della produzione intellettuale di Bardotti, quella di traduttore, ponendo in risalto la sua componente autoriale per cui si deve ritenerlo un “transcreatore” capace di aggiungere altra poesia a quella originaria. Serena Facci, a sua volta, si sofferma sulla divertita passione che ha accompagnato Bardotti nella sua sconfinata produzione (774 i titoli registrati alla SIAE), privilegiando in particolare il suo pionieristico lavoro presso la RCA e le ripetute partecipazioni di suoi brani al Festival di Sanremo. Nel CD allegato al volume sono riprese le esibizioni dal vivo di alcuni degli artisti intervenuti, tra i quali Maria Pia De Vito, Monica Demuru, Nicolas Farruggia, Stefano La Via, Natalio Mangalavite, Chiara Morucci e i Têtes de bois. Stefano La Via insegna Storia della poesia per musica e Storia della canzone d’autore presso il Dipartimento di Musicologia e Beni Culturali di Cremona (Università di Pavia). Ha all’attivo numerosi studi sul rapporto fra poesia e musica in varie epoche storiche, dal medioevo a oggi. Claudio Cosi insegna Storia della Canzone presso il DAMS - Università di Bologna ed è membro del comitato scientifico del Centro Studi Fabrizio De André di Siena. Sergio Bardotti. Il poeta per musica, il traduttore, il produttore, a cura di S. La Via e C. Cosi, fto 15x21, pp. 182, con un CD allegato, € 20
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Giuseppe “Spedino” Moffa
Metodo per zampogna 
(Zampogna a chiave con bordone modificato)

Ad opera di uno dei musicisti più impegnati nel rinnovamento dei repertori e delle modalità esecutive della zampogna, un metodo introduttivo all’uso di uno degli strumenti emblematici delle tradizioni musicali italiane. Impegnato da anni nella pratica dello strumento per rinnovarne il repertorio e le modalità esecutive, Giuseppe “Spedino” Moffa ha raccolto e formalizzato per la prima volta le proprie, ultradecennali, esperienze in quest’ambito nel volume Metodo per zampogna, in uscita per Squilibri editore all’interno di un progetto promosso dal Conservatorio “Lorenzo Perosi” di Campobasso con l’auspicio che possa affermarsi anche come riferimento per una nuova didattica della zampogna, in considerazione del fatto che, di recente, anche in altre istituzioni dell’Alta Formazione Musicale, da Catanzaro all’Aquila, sono stati aperti corsi sugli strumenti della tradizione popolare. Strumento emblematico delle musiche di tradizione orale del Meridione, la zampogna è la cornamusa del Sud Italia e fa parte della grande famiglia di aerofoni a sacco diffusi in tutta Europa. Associata per lo più ad ambienti rurali e pastorali e a determinati contesti festivi, ha rinnovato negli ultimi anni il proprio repertorio grazie all’impegno di alcuni musicisti che ne hanno rivelato le grandi potenzialità melodico-armoniche, portandola a dialogare con numerosi generi musicali in sintonia con le istanze della contemporaneità. Guardando a questi sviluppi ma senza dimenticare le origini illustri della zampogna e quelle notazioni musicali e quei brani che ne hanno consacrato la fama, Giuseppe Moffa ha così realizzato un lavoro ricco e variegato che parte con esercizi propedeutici fino a brani complessi, variando indistintamente dal repertorio contemporaneo a quello tradizionale. Sviluppandosi su diversi livelli, il metodo si rivolge pertanto a una vasta fascia di potenziali interessati alla pratica della zampogna a chiave o con bordone tradizionale: al neofita, che intende affacciarsi per la prima volta nel suo mondo, e a chi già suona da autodidatta o “a orecchio”, e vuole imparare a leggere scoprendo le nuove tecniche e i repertori contemporanei, ma anche ai musicisti che vogliono ampliare le proprie competenze professionali, conferendo un colore diverso alle proprie performances. Con numerosi spartiti musicali ed esempi e, nel CD allegato al volume, 12 brani al fine di avere anche un riscontro visivo e audio a quanto illustrato e spiegato nel volume.
Compositore, cantautore, chitarrista e zampognaro, Giuseppe Moffa ha fondato e dirige la Zampognorchestra, singolare quartetto di zampogne per il quale ha scritto, nel 2013, il disco d’esordio, Bag to the Future. Come solista ha pubblicato cinque album e animato numerose esperienze innovative nell’uso della zampogna, spaziando in ogni genere musicale, dalla musica contemporanea al blues al jazz, fino a sperimentazioni come la “Zampogna di TESLA” dove lo strumento contadino per antonomasia ha colloquiato con i fulmini emessi dalle bobine di Tesla. 
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Napoli 1943, il primo libro di Roberto Colella, frontman de La Maschera 
Presentazione ufficiale domenica 2 ottobre, ore 16,30 al Palazzo Reale di Napoli

Si intitola “Napoli 1943 – Sotto chi tene core” il primo lavoro letterario di Roberto Colella, frontman della band La Maschera. Il libro, pubblicato dalla casa editrice di Scampia Coppola editore, ha una forma davvero particolare. E’ una “cartolina letteraria”, un volume realmente spedibile con un semplice francobollo. Colella ci racconta la Napoli del 1943, la Napoli che resiste al nazifascismo, la Napoli delle barricate, di Maddalena Cerasuolo e Gennarino Capuozzo. Il titolo del racconto è lo stesso dell’ultimo album della band napoletana “Sotto chi tene core” prodotto da Full Heads. Le prime 100 copie in edizione limitata autografate dall’autore si sono esaurite nel giro di poche ore. Colella presenterà ufficialmente il volume nell’ambito di Campania Libri Festival, al Palazzo Reale di Napoli, presso lo spazio Guarracino, il 2 ottobre alle 16,30. Seguirà firmacopie con l’autore. L’evento gratuito, risulta già tutto esaurito.  Ecco la prima dichiarazione di Roberto Colella: “Credo nell’importanza della memoria storica… quella che ci ricorda dedizione e resistenza. Sotto chi tene core nasce per questo, sia nella forma canzone che nel racconto breve. Una pillola narrativa che sento straordinariamente attuale, scritta sulla scia del disco omonimo. Sono felice che a pubblicarla sia una casa editrice che ha come focus il riscatto sociale di un quartiere.”
Il volume è espressione di ciò che sta avvenendo nell’area nord di Napoli, dove giovani del territorio uniscono le forze proprio come è accaduto con l’incontro tra Roberto Colella e Rosario Esposito La Rossa, patron della casa editrice Coppola e fondatore de La Scugnizzeria. “Per noi Roberto Colella è un valore aggiunto del nostro pezzo di città, una risorsa da valorizzare. La nostra casa editrice vuole essere innanzitutto un hub culturale che metta insieme risorse positive del territorio” dichiara Rosario Esposito La Rossa. Il volume, distribuito da Mondadori, sarà ufficialmente disponibile in tutte le librerie e gli store online a partire da martedì 27 settembre 2022, già è acquistabile sul sito della casa editrice.
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Paolo Jachia, Lucio Dalla. Le più belle canzoni commentate, Novara 2023, pp. 168, euro 14
“Alia” 84, ISBN 978-88-6857-517-5
Tutti sanno che Lucio Dalla è stato uno dei più grandi cantautori italiani contemporanei. non tutti sanno però che è stato anche, in maniera carnevalesca e paradossale, un grande mistico contemporaneo, amico speculare di Battiato, de gregori e altri, tra cui il teologo vito mancuso che qui ricorda come l’amico cantasse la ricerca di dio con un «ottimismo drammatico». in Questo libro, per gli 80 anni dalla nascita, paolo jachia propone per la prima volta un commento organico dei testi delle sue più belle canzoni. Come ha detto il cantautore: «può succedermi di tutto, può arrivare un’eruzione dell’Etna a portarmi via la casa, ma ritengo che al mondo non vi sia niente di veramente definitivo e letale», perché sapeva (come recita un suo verso) che «una canzone non basta / e non basta saper cantare». Però aiuta.

Notizia sull’autore
Paolo Jachia, critico musicale, insegna all’Università di Pavia. In ambito musicale, oltre a La canzone d’autore italiana 1958-1997 (Feltrinelli 1998) ha scritto libri su Guccini, Gaber, Battiato, De Gregori, Vecchioni e altri. Per la critica letteraria si segnala Dal segno al testo (Manni 2011).
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Pubblicato il numero 33/2022 della rivista “Il de Martino”

Con questo fascicolo la rivista «Il de Martino. Storie voci suoni» entra nel secondo anno della sua nuova vita. Alle spalle, un anno e mezzo di intenso lavoro redazionale, scambi proficui, discussioni fertili di idee e di prospettive per il futuro, culminate nella bella riunione – finalmente in presenza! – a Sesto Fiorentino, il 10 aprile scorso. Le presentazioni pubbliche dei numeri 31 e 32 hanno contribuito, inoltre, a stimolare il nostro impegno in una direzione aperta e dialogante con le molte comunità e i molti soggetti che si sono mostrati interessati alla proposta di guardare al contemporaneo «rimettendo occhi e orecchie sui territori», come scrivevamo un anno fa. A questo obiettivo rispondono senz’altro le preziose poesie di Fabio Franzin, poeta-operaio e operaio-poeta che ci porta la voce del distretto del mobile dell’Alto Livenza. «Una voce piena della rivoluzione deindustriale», la definisce Gilda Zazzara nella sua illuminante e altrettanto preziosa introduzione, mettendo sull’avviso il lettore: «può essere un po’ urticante la sua opera per chi cerchi l’impegno, l’anelito di liberazione o anche una più tiepida fierezza del mestiere», ma questa è la cultura operaia della “periferia industriale” tra Veneto e Friuli. Il tema delle scritture – poetiche e letterarie – torna nel dialogo tra Luisa Passerini e Graziella Bonansea a partire dal romanzo di quest’ultima, Più che la notte, dedicato alla vicenda di Massimiliano Maria Kolbe: una densa conversazione tra due studiose, due storiche, intorno al tema cruciale del “dare parola” al passato, tra memoria, storia orale e letteratura. Il dossier tematico è dedicato al Vademecum per il trattamento delle fonti orali, presentato il 27 ottobre 2021 a Roma, con il contributo decisivo di Aiso: frutto di un lungo confronto interdisciplinare, il Vademecum – introdotto da Alessandro Portelli e presentato nei suoi punti qualificanti da Alessandro Casellato, Maria Francesca Stamuli e Silvia Calamai – è uno strumento fondamentale per tutti coloro che lavorano con le fonti orali e si occupano di archivi orali, e rappresenta un importante passo in avanti nella costruzione della “cassetta degli attrezzi” utile alla produzione e conservazione di fonti dalla forte complessità storica, metodologica e ontologica. Il ruolo rilevante degli archivi e, in particolare, la loro relazione con le fonti orali e sonore acquista un posto rilevante nella riflessione della nostra rivista grazie all’articolo di Virginia Niri sul progetto “Voci d’archivio”: intervistare donatori e donatrici di alcuni fondi presenti presso l’Archivio dei movimenti di Genova per valorizzare il portato identitario, politico e militante, degli stessi fondi e dei loro soggetti produttori. E proprio al valore politico e militante del fare archivio ci introducono i racconti di Alessandro Grassi pubblicati nella rubrica Storie con i “controcanti” di Antonio Fanelli e Mariamargherita Scotti. Alessandro è stato una figura fondamentale della vita dell’Istituto Ernesto de Martino, un “archivista-attivista” dalle straordinarie doti di analisi delle pratiche dell’ordinare e del descrivere, maturate nel suo paziente lavoro di sistemazione della nastroteca dell’Istituto. Ci ha lasciato improvvisamente, l’aprile scorso, proprio mentre aspettavamo di pubblicare questo suo contributo, che assume oggi un significato di profonda gratitudine per tutto quello che ha saputo essere e fare. A un uso “aperto” degli archivi si richiama, infine, anche Leila Harkat nel suo racconto dell’esperimento di labour public history realizzato dalla Fondazione Valore Lavoro a Pistoia nel settembre 2021: un video mapping sulla facciata del palazzo comunale con la proiezione di immagini provenienti dal patrimonio fotografico della Camera del lavoro della città. Immagini di feste del lavoro e manifestazioni che hanno riportato la storia negli stessi spazi in cui “è stata fatta”, con lo scopo di coinvolgere i passanti nel “montaggio” narrativo dell’artista Jacopo Rachlik. Le interviste di Paola Stelliferi ad Anastasia Barone e a Teresa Bertilotti sulle traiettorie e le eredità del femminismo segnano per parte loro un doppio inizio: l’apertura di un cantiere di riflessione sul genere, sui femminismi e sulla storia (e il presente) delle donne e la pubblicazione di interviste in versione integrale. Il saggio di Caterina Mongardini – molte le voci femminili, come si vede, in questo fascicolo – ci porta invece per le strade di un piccolo borgo d’Abruzzo, Pescocostanzo, sulle tracce della «memoria debole» dell’internamento fascista: una ricerca spinta da ragioni autobiografiche che fa ricorso alla storia orale come strumento per scardinare o almeno provare a spiegare una (apparente?) amnesia collettiva. Nella rubrica dedicata al lavoro, infine, Monica Dati affronta il tema della formazione con un articolo sulle 150 ore attraverso le testimonianze dei lavoratori e delle lavoratrici della Toscana: grazie alle interviste, Dati ci presenta, vivo, «il clima di partecipazione, aggregazione e impegno civile» di questa esperienza, che invita a riflettere, nel presente, sul significato e sul valore dell’educazione degli adulti. Merita un accenno, in chiusura, la rubrica delle Note e recensioni, che appare in questo numero particolarmente ricca di stimoli e di contributi, a ulteriore concreta testimonianza della rete di relazioni che la rivista sta costruendo nel suo farsi.
La rivista si può ordinare in libreria e scrivendo all’indirizzo iedm@iedm.it. I nostri abbonati la riceveranno presto a casa. Per i soci dell’Istituto Ernesto de Martino è possibile richiederne copia al 50% di sconto. È possibile, inoltre, scaricarne una versione in PDF dal nostro sito: https://www.iedm.it/produzioni/editoria/pubblicazioni-scaricabili/
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Meravigliosi ragni danzanti, un focus sulle interpretazioni del tarantismo nel Seicento
Il primo libro della collana Piccola biblioteca sul tarantismo di Kurumuny Edizioni

Meravigliosi ragni danzanti. Interpretazioni del tarantismo nel Seicento è il primo libro della nuova collana di Kurumuny Edizioni, “Piccola biblioteca sul tarantismo”. La collana, diretta da un comitato scientifico coordinato da Manuel De Carli, rappresenta un nuovo progetto di studi, un’avventura intellettuale e umana che conferma la passione e il rigore di approccio della casa editrice salentina nella ricerca sulle tradizioni popolari. Meravigliosi ragni danzanti. Interpretazioni del tarantismo nel Seicento a cura di Manuel De Carli, pubblicato da Kurumuny con il patrocinio e il sostegno dell’Istituto Diego Carpitella, raccoglie sette saggi di accademici e studiosi (Donato Verardi, Maurizio Cambi, Adele Spedicati, Silvia Parigi, Manuel De Carli, Marco Leone, Gabriella Sava) che approfondiscono altrettante ricerche concepite nel diciassettesimo secolo da medici, filosofi, eruditi per dare una spiegazione al fenomeno “meraviglioso” che ha segnato la storia della penisola salentina e di altre regioni del Sud Europa. Unendo la serietà degli studi accademici a un taglio divulgativo, pensato per una vasta platea di lettori interessati all’affascinante tema del tarantismo, il libro è un avventuroso viaggio attraverso i testi di grandi pensatori italiani e stranieri, da Tommaso Campanella a Athanasius Kircher, da Giovan Battista Della Porta a Giorgio Baglivi, Epifanio Ferdinando, Wolferd Senguerd, Antonio Muscettola.

Dalla prefazione di Manuel De Carli:
«I saggi che compongono la presente raccolta sono dedicati alla riflessione di sette autori che, nel Seicento, hanno scritto sui “meravigliosi ragni danzanti”: le tarantole. Per secoli, questi animaletti sono stati ritenuti responsabili di un fenomeno patologico, denominato nel tempo “tarantismo”. Dapprima, il tarantismo fu concepito come una patologia specifica della Puglia meridionale, successivamente, però, casi di tale fenomeno sono stati registrati anche nel Sud dell’Europa e, soprattutto, in Spagna (…). Ernesto de Martino, con la nota indagine interdisciplinare sul tarantismo, ne mostrerà la dimensione di “istituto culturale” (…). I saggi qui raccolti offrono al lettore la chiave per accedere ad alcune interpretazioni del tarantismo nel Seicento, allorquando tale fenomeno viene ricompreso, grazie anche agli strumenti offerti dalla riflessione filosofica, in una dimensione per lo più medicale. Nel corso del secolo, i fenomeni di tarantismo si presentano come fatti meravigliosi innegabili: i tarantati esistono e sono osservabili in natura. Tali fatti, tuttavia, hanno caratteristiche “singolari” e “straordinarie” che richiedono una giustificazione razionale specifica rispetto ai fatti “regolari” della natura. Non è un caso che il discorso sul tarantismo – nei diversi aspetti che lo compongono – sia spesso percepito, come si evince dai contributi qui raccolti, quale problema intrinsecamente legato al tema delle qualità occulte, strumento concettuale a cui medici e filosofi potevano ricorrere per giustificare razionalmente i fatti straordinari (…). Fenomeni che, una volta incontrati, destano meraviglia e offrono una sfida alle convinzioni del sapere ordina rio6. Da qui, anche il fiorire dei diversi modelli esplicativi messi in campo da intellettuali di tutta Europa per offrire una spiegazione razionale ai molteplici aspetti straordinari del tarantismo, spesso per strapparli a letture superstizione».

La collana Piccola biblioteca sul tarantismo
Nel corso dei secoli, il tarantismo, fenomeno meraviglioso che ha segnato la storia della penisola salentina e di altre regioni del Sud Europa, ha suscitato l’interesse di medici, indagatori della natura, eruditi e viaggiatori provenienti ogni parte del mondo. Da alcuni decenni, questo fenomeno è al centro di un rinnovato interesse scientifico e intellettuale che ha registrato una serie di studi ed eventi culturali dalla portata internazionale. La collana Piccola biblioteca sul tarantismo promuove ricerche di natura storica sulle interpretazioni del tarantismo offerte, nel corso dei secoli, dalle tradizioni filosofica, medica, antropologica e letteraria. Essa accoglie lavori monografici, ricerche di gruppo e riedizioni di testi inediti o rari.vLa collana è diretta da un comitato scientifico coordinato da Manuel De Carli (Tours), composto da: Joaquín Àlvarez Barrientos (Madrid), Maurizio Cambi (Salerno), Camilla Cavicchi (Tours), Luigi Chiriatti (Lecce), Pilar Leòn Sanz (Pamplona), Anna Marie Roos (Lincoln), Donato Verardi (London).

Il curatore
Manuel De Carli è Chercheur associé presso il Centre d’Études Supérieures de la Renaissancevdell’Université de Tours (France). Nel 2019, ha conseguito il dottorato di ricerca in Storia, presso l’Università degli Studi Roma Tre, e in Musique, presso l’Université de Tours. È membro dell’International Society for Eighteenth-Century Studies e dell’European Society for thevStudy of Western Esotericism. Fa parte del comitato di redazione di Arcana Naturae. Revue d’histoire des sciences secrètes. Si interessa al dibattito sulle qualità occulte in età moderna, con particolare riferimento allo studio della tradizione aristotelica, e alle discussioni sul tarantismovmediterraneo tra Seicento e Settecento.

In libreria Io alla taranta ci credo di Milena Magnani, Kurumuny Edizioni 2021
Venerdì 13 agosto la prima presentazione a Lecce per ExtraConvitto
Sessant'anni dopo, il mitologico ragno segue nuove inquietudini e malinconie

E' in libreria Io alla taranta ci credo, il nuovo romanzo di Milena Magnani, Kurumuny Edizioni 2021. Il libro vedrà la sua presentazione inaugurale venerdì 13 agosto alle ore 20 a Lecce, negli spazi all’aperto della Biblioteca Bernardini, in piazzetta Carducci. L’appuntamento rientra nella rassegna ExtraConvitto. Dialoga con l’autrice Mauro Marino. Letture a cura di Maria Rosaria Cristaldi, musiche di Rocco Zecca. L’ingresso è libero (nel rispetto delle norme anti Covid) con prenotazione obbligatoria al numero 0832373576.

Milena Magnani, Io alla taranta ci credo
Sessant’anni più tardi, il mitologico ragno si aggira ancora nella demartiniana “terra del rimorso”. Certo, sono cambiati i territori in cui abita, cambiati gli scenari delle sue misteriose aggressioni, insieme al paesaggio salentino trasformato da roghi, costruzioni abusive, mega impianti industriali e discoteche. Dalla campagna, il ragno si trasferisce in città, seguendo nuove inquietudini e malinconie. Io alla taranta ci credo è un racconto corale, una tela che intreccia le vite di personaggi diversi, molti dei quali realmente esistenti. Una personale geografia affettiva tratteggiata dall’autrice, da decenni legata al Salento, a cui ha dedicato una parte importante del suo lavoro e un impegno diretto per la tutela del territorio con la partecipazione all’“Orto dei Tu’rat”, progetto di contrasto alla desertificazione del territorio più volte oggetto di incendi dolosi. Un tributo alla terra elettiva, alla patria per vocazione. La voce narrante ci accompagna a esplorare, conoscere e ri-conoscere il Salento e le sue contraddizioni: la bellezza densa di storie dell’Orto dei Tu’rat e la cieca ferocia di chi lo dà alle fiamme, il rapporto con un presente in rapidissimo cambiamento, di cui sfuggono i contorni e le prospettive, lasciando solo domande aperte (eloquenti in tal senso i titoli dei capitoli che compongono il libro: «Perché Eliseo dice – Ci mme cunti? / che cosa unisce le bacchettate di un maestro al condono edilizio / e come si colora il mare quando smette di sbarcare saraceni» ecc.). Al centro della tela Donata, una giovane donna inquieta alla ricerca di se stessa, la cui modernità deve fare i conti con una storia ancestrale. Sarà proprio l’appartenenza al territorio e alla sua cultura la chiave di volta del malessere, di quella malesciana che Donata non sa dire. Nel secolo ventunesimo, la cura proposta alla paziente non può più essere quella del rituale storico classico, che faceva ballare tarantate e tarantati al ritmo del tamburello inseguendo a ritroso i passi del ragno. Gli psicofarmaci hanno sostituito la terapia domiciliare e corale, perfezionando gli equilibri biochimici: e tuttavia, il vuoto dell’isolamento e dell’incomprensione, come e più di prima, resta. L’attraversamento di un disagio personale diventa così un lento lasciarsi andare nel profondo di uno spazio culturale, storico, esistenziale oltre che geografico, tra incontri reali e incontri solo immaginati, sentiti o presagiti, in cui risuona lo stile del realismo magico sudamericano. È la maestria dell’autrice che tesse i fili e ne fa un racconto avvincente dalle sfumature noir, un tributo d’amore che a tratti cede alla rabbia e alla nostalgia, così come richiama il titolo, decisamente provocatorio. Da leggere tutto d’un fiato fino all’ultima pagina.

Dal libro 
«Il ragno si è presentato sulla mia coscia a tradimento. Completamente fuori epoca. Senza neanche chiedermi di pronunciare quelle sei parole contadine: “Fimmene fimmene ieu vau allu tabaccu.” Mi ha morso in un fine estate in cui nella mia cucina non c’era più lo scolapasta di alluminio appeso a un chiodo e neanche il ferro per fare i minchiareddhi. Mi ha morso nella stessa epoca in cui Paolino cantava a squarciagola Drefgold. Mi ha morso nella globalità. Tra i messaggi whatsapp, nelle notti della movida salentina. Il ragno te spaddhe russe mi è venuto incontro come si va incontro alle donne che si sentono improvvisamente estranee a tutto e non stanno più dentro né fuori di sé. Mi è venuto incontro mentre pensavo: ma questa in fondo che tipo di vita è? Mentre rimuginavo: possibile che non ci sia un modo più interessante di vivere?»

L’autrice
Milena Magnani, (Bologna 1964), sceneggiatrice e drammaturga, ha esordito con il romanzo L’albero senza radici (1993) a cui hanno fatto seguito Delle volte il vento (1996) e Il circo capovolto (2008), entrambi ripubblicati per le nostre edizioni. Per anni è stata tra i redattori della rivista di letteratura sociale «Nuova Rivista Letteraria» fondata da Stefano Tassinari. Per Kurumuny è ideatrice e fondatrice di “Rosada”, una collana di poesia contemporanea, nata dal suo impegno nel progetto ambientale Orto dei Tu’rat.