Peter Gabriel, Forum, Assago (Mi), 21maggio 2023

Un orologio sul grande schermo circolare, con le lancette disegnate e cancellate a mano a ogni minuto, scandisce il passare del tempo e l’avvicinarsi all'inizio del concerto. Il tempo è uno dei temi centrali dello spettacolo, e Peter Gabriel ironizza sul tempo che passa, quando si presenta sul palco con la tuta arancione dei tecnici per dire che questa sera potrebbe esserci in avatar al posto suo, come per gli Abba, solo che il suo avatar, al contrario di quelli della band svedese, è invecchiato di dieci anni. Altro tema centrale è la luna, che quando si spengono le luci domina il palco sullo stesso schermo gigante dove prima era proiettato l'orologio, e le cui fasi lunari scandiscono da tre mesi le uscite dei singoli che anticipano il nuovo album i/o. E tutto il palco sembra rifarsi alla dimensione sferica e circolare della luna: le postazioni della band sistemate su due semicerchi, lo schermo gigante circolare dove prima c’era l’orologio, e adesso trova posto una luna gigante, i dodici specchi rotondi giganti posizionati ai lati e sul fondo del palco che riflettono le luci dei fari, e l'inizio del concerto, con la band seduta in circolo al centro del palco intorno al falò per una versione acustica e intensa di “Washing of the Water”, introdotta dai soli Gabriel e Tony Levin, con la
band che entra durante l’esecuzione. Prima di iniziare a suonarla, l’artista inglese si sofferma sulla forza evocativa della musica, ricordando che prima ancora che con le parole, gli uomini hanno comunicato tra loro con i suoni. Sempre seduto intorno al falò con la tastiera appoggiata sulle gambe, Gabriel esegue “Growing Up”, mentre la band prende posizione sui semicerchi sul palco. Un inizio intenso, che introduce il pubblico nelle atmosfere del nuovo disco ancora inedito. Molte le ballate e i brani lenti, come i/o, una classica ballata in stile Gabriel, “This Is Home”, più ritmata con un pregevole violino e la voce di Gabriel che vola sui toni alti. Una gran voce la sua, ancora potente e limpida, che sfoggia in “Love Can Heal”, mentre con una bacchetta colora da remoto di rosso sangue lo schermo gigante alle sue spalle. Canzoni nuove presentate sempre con brevi introduzioni, in inglese o in italiano, che raccontano molto anche del suo vissuto personale, come la lenta “And Still”, dedicata alla madre, e “What Lies Ahead” (il cui esordio live ricorda avvenne proprio in Italia nel 2014), dedicata al padre e agli inventori, dove spiccano ancora il violino e il contrabbasso acustico di Levin. Emozionano “Panopticom” e “Four Kinds of Horses”, con un arrangiamento ancora basato su archi e tromba, e “Live and Let Live” un bellissimo brano dotato di un ritornello che prende al primo ascolto. I brani di repertorio sono scelti con accuratezza, e si intersecano alle nuove composizioni senza stravolgere l'atmosfera del concerto. Da “Digging in the Dirt”, cantata con la consueta carica trascinante e una tromba lanciata su improvvisazioni jazz, alla classica “Sledgehammer” che chiude il primo set con il pubblico che corre sotto il palco. E poi la splendida “Don't Give Up”, aperta
da un giro di basso di Levin, cantata a due voci con Ayanna Witter-Johnson su un balcone che si scopre lentamente alle spalle della band. Senza dimenticare “Red Rain” con una bella interpretazione, e la trascinante “Big Time”, altra bellissima prova vocale di Peter Gabriel, che chiude il concerto con uno dei suoi capolavori, “Solsbury Hill”. I due bis, a questo punto, sono solo la conferma di trovarci davanti a uno dei più geniali e sensibili musicisti del panorama rock: la dolcissima e bellissima “In Your Eyes” e la versione corale, intensa e partecipata, di “Biko”, mentre sul grande schermo compare la foto dell’attivista sudafricano ucciso nel 1977. Tre ore di concerto passate in un attimo, con un artista capace di costruire uno spettacolo intenso e sorprendente, complesso nella sua semplicità, senza abbondare in tecnologia spettacolare fine a sé stessa, unendo parole, suoni, luci e colori in un’unica opera d'arte completa. Un artista ancora in grado di emozionare con la propria musica, grazie anche supporto di una band praticamente perfetta, guidata dal fedele Tony Levin al basso, con le vecchie conoscenze Manu Katchè alla batteria e David Rhodes alla chitarra, e con Richard Evans alla chitarra e flauto, Don McLean alle tastiere, Marina Moore al violino, viola e voce, Ayanna Witter-Johnson al violoncello, tastiere e voce, e Josh Shpak ai fiati tastiere e voce. 


Giorgio Zito

Foto Giorgio Zito

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