
Una poliedrica attività culturale
Riguardo allo sviluppo dell’etnomusicologia in Italia, Diego Carpitella scrisse numerosi contributi testuali. Condusse articolate ricerche in diverse aree della Penisola e diede valore a collezioni pubbliche e private. Come presidente dell’ “Associazione Italiana di Cinematografia visiva” (AICS), diede impulso all’antropologia visiva e partecipò a diverse trasmissioni televisive in veste di consulente ed esperto. Registrò oltre cinquemila eventi sonori dal vivo e fece conoscere al grosso pubblico numerosi studiosi stranieri, presentando (nella traduzione italiana) opere scritte di Béla Bartók, Curt Sachs, André Scaeffner, Constantin Brăiloiu, Alan Merriam.
Insegnò presso il Conservatorio di Roma (1952-76), all’ “Accademia Nazionale di Danza” (1953-73), nella “Libera Università Abruzzese degli Studi” di Chieti (1968-70) e, dal 1970, all'Università di Roma, dove fu titolare, dal 1976, della cattedra di Etnomusicologia. Diresse per tredici anni l’ “Istituto di Storia e Tradizioni Popolari” a “La Sapienza” di Roma. Si distinse come regista di filmati etno-antropologici; partecipò a diversi studi internazionali sulla musica popolare; fu curatore di numerosi convegni e “seminari”. Fu, inoltre, tra i fondatori della “Società Italiana di Etnomusicologia” (SIE, con presidenza dal 1973 al 1986) e responsabile del semestrale “Culture musicali-Quaderni di Etnomusicologia”. Divenne Conservatore degli “Archivi di Etnomusicologia” dell’ “Accademia di Santa Cecilia”, a Roma nel 1989. A lui si deve l’organizzazione del “Primo Convegno” sugli studi etnomusicologici in Italia (1973). Presidente della “Società italiana di cinematografia scientifica”, dal 1984, concluse il proprio percorso terreno, a Roma, il 7 agosto 1990.
L’attività etnomusicologica

Nel 1952, Carpitella entrò a far parte del team interdisciplinare costituito da Ernesto de Martino, per condurre organiche ricerche in Lucania (studio del “lamento rituale nel mondo antico”). Successivamente, lo stesso gruppo di lavoro operò nelle comunità albanesi della Calabria.
Altra esperienza fondamentale per Diego Carpitella fu l’incontro con Alan Lomax (1954), con il quale condusse una poderosa campagna di rilevamento, della quale molto si è scritto. Alcune registrazioni furono pubblicate su disco negli Stati Uniti, nel 1957, rieditate, nel 1973, anche in Italia. A bordo di un pulmino, Lomax e Carpitella viaggiarono per tutta la penisola. Dalla Sicilia alla Valle d’Aosta, per poi ridiscendere fino alla Campania, utilizzando un sofisticato e moderno macchinario di registrazione, che garantì il massimo della qualità sonora all’epoca ottenibile. In meno di un anno, vennero registrati più di tremila documenti. La Raccolta dei documenti registrati confluì nell’ “Archivio sonoro dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia”, committente insieme alla Rai della campagna di rilevamento. Certamente l’esperienza a contatto con Lomax permise a Carpitella di mettere a fuoco un quadro esaustivo circa le peculiarità e le ricchezze del patrimonio etnomusicale italiano, nel giro di alcuni decenni destinato a impoverirsi, con il mutare della società e dei relativi riflessi musicali nei differenti ambiti comunitari.
Nel 1959, Carpitella partecipò alla campagna di studio interdisciplinare (coordinata da Ernesto De Martino) sul fenomeno del “tarantismo” nel Salento, iniziando a utilizzare la cinepresa (16 mm) per fini documentativi. Negli anni Cinquanta, fu per lui utile approfondire la conoscenza del percorso di ricerca etnomusicale condotta da Béla Bartók, del quale presentò la raccolta italiana degli scritti, titolata “Scritti sulla musica popolare”, nella cui seconda edizione (la prima era del 1955) dedicò alcune pagine per evidenziare come, in circa venti anni, il panorama della musica popolare italiana si fosse modificato anche a causa di quel vasto fenomeno di rivisitazione dei repertori meglio conosciuto come folk revival.
Scriveva Carpitella: «Insorge comunque, è inevitabile, un quesito: se cioè questo campo di indagine storica ed etnografica musicale sia stato, sempre in questo scorcio di tempo, favorito o meno dal boom del folk-music revival, approdato anche in Italia agli inizi degli anni sessanta». Nello stesso saggio, lo studioso proseguiva toccando temi relativi al profitto e al consumo acritico, anche in relazione a quello che definì il “giullarismo” dei mass media. Suo obiettivo era di dimostrare, pur in contesti modificati, l’attualità degli scritti di Bartok, che egli riteneva «… una delle testimonianze più durevoli che siano state edificate dalla società e dalla cultura contemporanea».
Cenni sull’attività musicale, letteraria e filmica

Dal 1977, coordinò i “Seminari internazionali di etnomusicologia” che, con cadenza annuale, si tennero presso l’ “Accademia Musicale Chigiana” di Siena, ai quali furono invitati studiosi di livello quali Gilbert Rouget, John Blacking, Ivan Vandor, Hugo Zemp, Jean Jacques Nattiez, Simha Arom, Jean During, Anca Giurchescu, Mantle Hood, Janos Karpati oltre, naturalmente, a studiosi italiani come Roberto Leydi e Pietro Sassu. In collegamento con l’etnomusicologo sardo, si ricorda il sodalizio che sfociò nell’opera discografica “La Musica Sarda”, edito dall’ “Albatros”, nel 1973, comprendente oltre ai dischi anche tre saggi, scritti da Sassu, Carpitella e dal linguista Leonardo Sole. L’opera intese documentare i repertori del patrimonio musicale dell’Isola, tenendo conto delle differenti funzioni sociali, tra cui quelle liturgiche e paraliturgiche nelle sue espressioni monodiche e polivocali.
Qualche anno prima, tra il 1965 e il 1967, Carpitella approfondì le ricerche sui canti dell’Aretino, grazie a un incarico ricevuto dal “Consorzio per le Attività Musicali” della Provincia di Arezzo, allora diretto da Silvano Zoi. Una sintesi degli esiti della ricerca etnografica confluirono, nel 1977, in un LP titolato “Musica contadina nell'Aretino”. Rispetto alle numerose campagne di rilevamento effettuate dall’etnomusicologo calabrese, vi è da rilevare che, negli ultimi anni, la “Squilibri” ha edito alcuni testi e dischi che prendono spunto proprio dalle ricerche da lui condotte in Umbria, Basilicata, Abruzzo e Salento.

Nel 1969, Carpitella venne invitato a Trento per tenere un seminario semestrale presso l’ “Istituto Superiore di Scienze Sociali”, dal quale scaturì il saggio “La ricerca etnomusicologica come mezzo di identificazione socio-culturale”, in cui sostenne la tesi che «… i documenti etnico-musicali non possano non essere contestualizzati in una prospettiva socio-antropologica. La presenza dell’oasi etnica dei Mocheni, dal punto di vista etnomusicologico è emblematica in tal senso». Un altro saggio riguardò “Ritmi e melodie di danze popolari in Italia”, mentre per la Sicilia si valorizzò il contenuto dei materiali presenti nell’ “Archivio del Pitrè” e il “Corpus del Favara”. Riguardo alla tecnologia, Carpitella riportò il contributo titolato “La registrazione fotografica nelle ricerche etnofoniche”. In Appendice, numerosi altri contributi che testimoniano, ancora una volta, la varietà degli interessi coltivati dallo studioso calabrese, tra i quali si evidenziano: “Studio etno-musicologico su materiale dell’Alta Amazzonia”; “L’insufficienza della semiografia musicale colta nelle trascrizioni etnomusicologiche”; “Il mito del primitivo; Appunti per una bibliografia etnomusicologica in Italia (1945-1968)”.
Un altro testo particolarmente significativo curato da Diego Carpitella, riteniamo sia “Folklore e analisi differenziale. Materiali per lo studio delle tradizioni popolari”(1976), comprendente numerosi interventi, scritti (in tempi diversi) da autorevoli studiosi, quali Lucio Gambi, Ernesto De Martino, Angelo Brelich, Antonio Pigliaru, Rocco Scotellaro, Clara Gallini (e altri ancora). All’epoca, Carpitella dava particolare rilievo al confronto tra i differenti modelli di cultura, riferiti a una cultura osservante (di chi studia gli eventi) e a una osservata (“… alla quale appartengono, ad esempio, contadini e pastori della koiné mediterranea”).

Nutrita è la mole degli argomenti trattati da Diego Carpitella in circa quarant’anni di attività. Tuttavia, pur nei limiti del contributo, abbiamo ritenuto utile delineare la sua opera, prevalentemente indirizzata alla salvaguardia, catalogazione, promozione e diffusione (anche critica) del patrimonio folklorico musicale italiano. Tale opera contribuì efficacemente allo sviluppo dell’etnomusicologia nazionale, prima dell’avvento della “spettacolarizzazione” di massa degli eventi folclorici e della spinta comunicativa ricevuta dalla globalizzazione, che (in pochi decenni) portò “hotchpotch” nel panorama internazionale della produzione musicale, inoltre, a modificare i confini (sempre più estesi) degli studi etnomusicologici, nei quali il lavoro interdisciplinare e il confronto critico aiutano a dare spessore culturale alle ricerche delle singole comunità, come Diego Carpitella ebbe modo di evidenziare nel corso di tutta la sua dinamica carriera professionale.
Paolo Mercurio
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