Led Zeppelin, ricordo personale, simbologie, successo internazionale e riflessioni attuali

Relazioni culturali e musicali
Potrà apparire strano al lettore ma gli assopiti ricordi del 1979 sono riemersi a seguito della precedente “Vision”, tesa a valorizzare il “phagotus” di Afranio degli Albonesi e suo nipote Teseo Ambrogio (1469-1540). Quest’ultimo operò a Pavia, città nella quale nacque Gerolamo Cardano (1501-1576), medico, matematico e filosofo, particolarmente ferrato in studi astrologici. Numerosi teorici rinascimentali approfondirono argomenti afferenti alla “cabala” e alle scienze misteriche. Durante letture di vario genere, è ripetutamente emerso il nome di Aleister (pseudonimo di Edward Alexander) Crowley (1875-1947) il quale, a Cefalù (1920-1923), aveva costituito (in un casolare) l’Abbazia di Thélema. Dopo essere stato allontanato dall’Italia, proseguì le proprie esperienze esoteriche in diverse aree del mondo. Simbolista, scrittore, occultista, abile scalatore e personaggio controverso, Crowley ha conquistato l’attenzione di diversi musicisti pop e rock, tra cui i Beatles, Mick Jagger, David Bowie, Ozzy Osbourne, Marylin Manson. Jimmy Page, chitarrista dei Led Zeppelin, era rimasto affascinato dallo scrittore inglese sin dalla preadolescenza. Nel 1970, arrivò ad acquistare e a ristrutturare la “Boleskine House”, villa sul lago di Loch Ness, nella quale Crowley visse tra il 1899 e il 1918.  La vita di tale autore fu movimentata e connessa a quell’esteso ambito degli studi che trova legame tra mondo umano e spirituale, secondo strade che incrociano, in vario modo, l’esoterismo, la magia, la spiritualità e la ritualità. Attraverso la rivista “Equinox” e in diverse pubblicazioni monografiche (in particolare, ricordiamo “The Book of the Law”), egli si dimostrò attivo nella divulgazione degli studi e delle pratiche esoteriche, che (da “Magus”) celebrava utilizzando tecniche iniziatiche, comprendenti anche quelle di “magia sessuale” e di simbologia criptica. La sua personalità è da tenere presente per comprendere una parte dell’espressività dei Led Zeppelin i quali, nel corso degli anni, non disdegnarono di mettere in evidenza la forza dei simboli in relazione alla propria musica, (forse anche) per garantire un’aura di mistero alla loro produzione. Nella pubblicazione (senza titolo) del 1971, ogni componente della band inglese si rappresentò mediante un simbolo, riprendendo informazioni da testi di Crowley (come“The Book of Thoth”) e di Rudolf Koch (“The Book of Signs”), quest’ultimo esperto nella decifrazione delle “rune”. Page arrivò a ideare una personale simbologia grafica: “ZoSo”. Il chitarrista non volle specificare il significato, ma alcuni autori provarono a decifrarlo, trovando corrispondenze con testi cinquecenteschi, con l’“alfabeto magico” e con la “griglia di Cardano”, usata dal medico pavese per inviare, in modo camuffato, messaggi segreti. Robert Plant scelse come simbolo la piuma all’interno del cerchio; John Paul Jones una “triquetra”, composta da un cerchio con le cosiddette “mandorle mistiche”; Bonham, tre cerchi che s’intersecano.  

Dodici anni di successi
In sintesi, ricordiamo che i Led Zeppelin si formarono dalle polveri degli Yardbirds, gruppo britannico nel quale suonarono Eric Clapton, Jeff Beck e Jimmy Page. Nel 1968, il gruppo si sciolse e Page lo ricostituì con nuovi musicisti: Robert Plant (voce), John Bonham (batteria), John Paul Jones (basso e tastiere). Si denominarono i New Yardbirds ma, in breve, il nome venne modificato in “Led Zeppelin”. Nel 1969, la pubblicazione del primo album, nel quale da subito si delineò uno stile sonoro e musicale ben riconoscibile, con brani di successo quali “Dazed and Confused”, “Communication Breakdown”, “Baby I’m Gonna Leave You”. Sull’onda del riscontro commerciale positivo, dopo pochi mesi, realizzarono Led Zeppelin II. La fama si consolidò, grazie anche a brani come “Whole Lotta Love”, “Moby Dick”, “Heartbreaker” e “Ramble On”. Nel 1970 Led Zeppelin III, nel quale Page mostrò la tendenza a innovare il linguaggio musicale del gruppo, intensificando l’uso delle accordature aperte tipiche di certo folk acustico. Nel disco convivevano canzoni e brani stilisticamente ben connotati, come lo struggente blues in minore “Since I’ve Been Lovin’ you”, la ballad “Tangerine” o la ben ritmata “Immigrant Song”. Raggiunto l’apice del successo internazionale, nel 1971, la pubblicazione di un’opera base della discografia rock, il cosiddetto “Led Zeppelin IV”, nel quale sono presenti canzoni immortali come “Stairway to Heaven”, “Black Dog”, “Rock and Roll”, “The Battle of Evermore”. Il 1971 fu anche l’anno in cui il gruppo inglese giunse a Milano per un concerto al “Vigorelli”, durante il quale vi furono tafferugli e l’intervento delle forze dell’ordine. Fu l’unico concerto in Italia, peraltro sospeso a seguito degli eventi appena ricordati. Altri album del gruppo sono, “Houses of the Holy” (1973), “Physical Graffiti” (1975), “Phantasy” (1976, film-concerto inedito), “Presence” e “The Song Remains the Same” (entrambi del 1976), quest’ultimo caratterizzato da spezzoni di esecuzioni dal vivo, colonna sonora di un film autobiografico. Del 1979 è “In through the out door”, spesso ricordato per la canzone “All of My Love”, con la quale Plant volle ricordare Karac, suo figlio, deceduto a soli cinque anni, mentre era in tournée, nel 1977. 
Dopo il decesso del batterista John Bonham (25 settembre 1980), i Led Zeppelin emisero un perentorio messaggio stampa: «La perdita del nostro caro amico e il profondo senso di rispetto che nutriamo verso la sua famiglia ci hanno portato a decidere che non possiamo più continuare» (4 dicembre 1980). Album postumo, del 1982, è “Coda”, contenente alcuni brani inediti. 

Successo internazionale, orchestrazione di numerosi fattori
I Led Zeppelin hanno segnato la storia del rock. Quali gli ingredienti di tanto successo? Hanno subito mostrato di avere le idee chiare, in merito allo spazio discografico e spettacolare che volevano occupare. Senza appesantirsi di fuffa ideologica, hanno concentrato la propria attenzione sulla musica, sul sound stilisticamente connotato, sulle personalità dei singoli esecutori, ognuno portatore di specifica competenza. Divennero idoli per una schiera di adolescenti, scegliendo di non puntare sui singoli a 45 giri, ma su LP a 33 giri, ognuno dei quali permetteva di far risaltare l’idea generale della loro musica. Da ragazzi quali erano, sapevano divertirsi e divertire con eccesso, con frizzanti concerti che potevano durare alcune ore. Prammatici, onirici, mistici, psichedelici, sfrenati e molto altro, conoscevano il potere evocativo, taumaturgico e spettacolare della musica, in un momento storico in cui, per i giovani, era fondamentale dare valore alla “filosofia della liberazione personale”. Page disse di aver impiegato “il sistema di Crowley” in ogni singolo giorno della sua vita. Tipica massima di Crowley (sebbene isolata da un organico modo di pensare) era: “Do what thou wilt shall be the whole of the Law”, ovvero (in traduzione libera) “Fai ciò che vuoi sarà il tutto della Legge”. Senza troppo filosofeggiare, tradotto in termini semplici, verosimilmente significava porre l’essere umano al centro del proprio destino, emancipato rispetto al pensiero dominante, alle credenze imposte e alle bigotte norme sociali. In quel “fai ciò che vuoi”, per i nostri musicisti, rientravano anche numerose sregolatezze materialiste, riferibili a “sesso libero, droga, e rock ‘n roll”, per utilizzare la triade tipica del tempo. 
Benché connotata (soprattutto “blues”, folk nordico e dintorni), la musica dei Led Zeppelin era tutt’altro che ripetitiva. Era amalgama timbrico-stilistica inconfondibile, all’interno di un universo sonoro fragoroso, da alcuni definito “spaccatimpani”. Riteniamo sia importante tenere in giusta considerazione i testi (spesso allusivi) e il fraseggio melodico di molte loro canzoni di successo nonché l’efficacia di numerosi “incipit” introduttivi che si stampavano, in pochi secondi, nella mente dell’ascoltatore. I “riff” e gli assoli chitarristici erano studiati e calibrati, capaci di regalare piaceri immediati, supportati dal vigore ritmico della batteria e da una sostenuta amplificazione, ben valorizzata dai diversi ingegneri del suono. Nello scrivere il contributo, a distanza di alcuni decenni, abbiamo riascoltato i “riff” introduttivi di numerose canzoni. Nel complesso, sono appaganti ed efficaci, impalpabili e carichi di energia sonora, in grado di apportare immediati cambiamenti nello stato d’animo e di colpire direttamente la “pancia”, l’area atavica dell’azione, risvegliando l’interiorità e non solo la mente razionale dell’ascoltatore. 
Pur non avendo seguito particolari studi musicali, nel suo genere, Bonham fece scuola. Come pure il “pentatonico” Page con la chitarra elettrica e le chitarre acustiche con accordatura aperta. Plant era un maestro, vocalista e  “anchor man”, capace d’imporre uno stile estetico primitivo e selvaggio anche nello scarno abbigliamento. Per i giovani, i Led Zeppelin erano carismatici, incarnavano il mito del tempo. Alcuni hanno avanzato persino la definizione di “semidei”, vitalisti, edonisti, potenti energeticamente e finanziariamente. Ragionando con i piedi per terra e non scadendo in esagerazioni divistiche, spesso alimentate dalla stessa industria discografica, indispensabile per garantire adeguati successi internazionali, pare utile mettere in evidenza anche l’elemento fisico-estetico, il quale caratterizzò i quattro giovani musicisti, belli, baldanti e scapigliati, in sintonia con le mode musicali dell’epoca. Page, vigoroso e moderno “Raffaello”, ammirato e ambito dalle donne, per la bellezza eterea, la creatività e l’apparente fragilità fisica, se messa a confronto con la virilità grossolana del batterista (perennemente sudato a dorso nudo) oppure se paragonata alla presenza carismatica del cantante, femmineo, biondo, slanciato, a petto nudo, sfacciatamente ostentante le parti corporee più intime. Nel complesso, tre personalità eccessive, equilibrate dal bassista e tastierista, il quale proveniva da contesti musicali più aggraziati. Amante del jazz e della musica classica, Jones nell’ombra contrappuntava e orchestrava. Page ha riferito in un’intervista: «La forza del vincolo ci univa. La ricerca della qualità in qualsiasi circostanza. Se siamo riusciti a sfondare è grazie a questo sforzo d’insieme in cui ognuno di noi ha lavorato a fondo. E questo ha dato luogo a un’opera d’insieme, molto potente e ampia come concezione intellettuale».  
Per affermarsi a livello internazionale, ogni band necessita anche di una solida casa discografica e di un manager efficace che, nel loro caso, fu Peter Grant, il quale si prodigò per i giovani musicisti con ammirabile professionalità. La presentazione delle copertine dei dischi venne sempre curata visivamente, in modo da suscitare interesse e adeguata considerazione da parte di un pubblico eterogeneo. Lontana da noi è l’idea di voler dare giudizi definitivi o assiomatici su tale band anche perché pensiamo che l’analisi della produzione musicale dei Led Zeppelin meriti un approccio interdisciplinare, poiché sono numerosi i fattori da tenere in debito conto, per riuscire a dare spiegazione di tanto successo internazionale collegandolo alla contemporaneità.

To be a rock and not to roll? 
Il mondo del rock ci sembra sempre più appiattito sulle esigenze spettacolari del “mainstream” discografico. Tuttavia, se analizzato retrospettivamente, pensiamo sia uno di quei fenomeni espressivi globali che potrebbe aiutare a meglio comprendere la realtà musicale odierna, massicciamente gestita da pochi gruppi societari, i quali possiedono un inquietante potere finanziario e mediatico. Non è azzardato pensare che la realtà musicale contemporanea sia strettamente correlata a imponenti operazioni commerciali e culturali, tese a controllare l’industria discografica a livello planetario, sotto l’egida di dominanti “network” multimediali, sempre più collegati a reti informatiche e telematiche in continua evoluzione.  
Siamo consci di quanto sia estesa la schiera dei rock-appassionati nel mondo, che vive di miti musicali. Scrivendo dei Led Zeppelin anche noi abbiamo rivissuto piacevoli ricordi giovanili tuttavia, nell’attuale momento storico, pensiamo sia indispensabile riscoprire, con equilibrio intellettuale, i valori più profondi e atavici della Musica (armonici e naturali), avendo come riferimento un’ideale società internazionale multipolare non monocratica, liberata dalle tirannie oligarchiche. Un’ideale società nella quale le innovazioni tecnologiche e scientifiche verrebbero principalmente finalizzate alla qualità della vita, comprendente una più equa redistribuzione delle ricchezze nel mondo e nell’organizzazione del lavoro, buon punto di partenza per ogni “humana dignitas”. Non apprezziamo le logiche autodistruttive e la continua rincorsa agli armamenti. A livello planetario, ci sembra giunto il momento di aumentare i livelli di consapevolezza e di coscienza interiore. Nei percorsi di ricerca integrata, siamo soliti dare risalto ai valori trasmessi dalle diverse tradizioni e dalla cultura dei popoli, giacché è sui Valori che sarebbe opportuno fondare una rinnovata umanità che tenga conto criticamente del passato al quale è unito il nostro presente. Sebbene decontestualizzato dai contenuti della canzone originaria, il verso “to be a rock and not to roll” c’induce a riflettere analogicamente sull’importanza attuale di “essere rocce” (solidi eticamente e preparati intellettualmente), per non rotolare, in modo passivo e inerte, nel baratro di un nebuloso mondo virtuale riduzionista, irto di possibili derive distopiche. Su mondo virtuale e derive connesse, avremo verosimilmente modo di confrontarci negli anni a venire, avendo la Musica quale faro di riferimento, per trattare temi attinenti alla globalizzazione e ai sistemi di controllo artificiali, basati su algoritmi e gestiti da robot digitali, meccanicamente asserviti a chi detiene il potere. Come insegna la costituzione, la sovranità appartiene al popolo. La musica è ponte tra i popoli, non conosce barriere alienanti e il virus dell’odio tra i popoli. Comunica direttamente al cuore delle persone. Sin dai tempi remoti, da Lei l’umanità ha sempre avuto modo d’imparare, essendo la prima Voce di libertà e di pace.   

Paolo Mercurio

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