Courentamai. Lou festival da courenta é dii bal ed le minoureunse lingouistique, Cantoira (To), 6 maggio 2023

Dalle registrazioni sonore è evidente 
un'estetica assolutamente simile alla musica di tradizione orale ancora presente con gli ottoni. Le parti musicali sono strettamente connesse con le figure della danza, le formule sonore corrispondono a formule fisiche di passi di danza e ad ogni ripresa di ciclo si crea una sorta di enfasi, in genere ampliata con urla e fischi da parte di chi balla. Un'ulteriore caratteristica è rappresentata dal numero di volte in cui si ripete la danza: si dice “dispari” in Valle di Viù, “pari” in Val d'Ala e Val Grande. Cioè il ciclo di una courenta è composto da due parti speculari che rappresentano un giro di danza in cui si modula di tonalità e nella Valle di Viù si conclude sempre con la prima parte (nonostante il numero di volte e di modulazioni in cui si ripete la danza), prima dell'ultima modulazione. Il numero di giri complessivo è a scapito dei suonatori ma le conclusioni dispari-pari sono sempre rispettate a seconda della Valle.  La danza, la musica, sono strettamente connesse al rito, ancora alquanto codificato, delle feste tradizionali. Nelle Valli di Lanzo si sono conservate tradizionali figure che presiedono alle feste con ruoli specifici di gestione e organizzazione: Priori, Priore e nella Valle di Viù anche Abà (o Abbà), discendenti diretti delle antiche Badìe. Si tratta di una delega sociale alla gestione degli spazi festivi, figure che rimangono in carica un tempo prestabilito (uno o due anni secondo i paesi) e conducono l'organizzazione delle feste seguendo schemi precisi in cui, oltre ad organizzare il ballo, con la musica, sempre presente, organizzano le varie fasi con i necessari elementi: abiti distintivi, messa, “incanto” (tradizionale asta), preparazione delle “coccarde” (fiocchi colorati che si distribuiscono durante il ballo per raccogliere offerte), “rama dla ciarità”, il ramo decorato... Il ramo può essere di legni differenti secondo i paesi, decorato con nastri colorati e fiocchi sotto il quale vengono collocate particolari forme di pane e che, con varianti tra i vari
paesi, la struttura “pane-albero decorato” viene portata sollevata sulla testa o tenuta in mano, seguendo determinati percorsi, oltreché, come visto, utilizzata nel ballo della curenta. Una forma di courenta è quella detta della società, che si sviluppa in un cerchio collettivo. In genere, quella della società, segue una serie di courente precedenti, che aprono le feste e che sono riservate ai Priori e alle Priore dell'anno corrente, ai Priori e alle Priore del nuovo anno, agli Abà (in Val di Viù). Durante la courenta della società sono invitati a ballare tutti, in alcuni paesi con le Priore o con le coppie Priore-Priora che danzano all'interno, oppure semplicemente rappresenta il momento in cui si aprono le danze e chiunque è libero di ballare la curenta. Inoltre, durante una festa da ballo, possono seguire altre courente dedicate a qualche figura specifica, come quella dedicata ai bambini o ad altri gruppi sociali e frequentemente vengono eseguite lunghe suite (che possono durare un quarto d'ora o anche più), che si possono concludere in accelerando. “Poi incomincia la festa profana, e i priori e le priore, seguiti dai suonatori e da tutta la gioventù di entrambi i sessi, vanno a ballare qualche corrente dalle persone importanti del posto, che, come si usa, gli offrono da bere. Infine vengono da me dove ballano allegramente fino a notte...”. In questo modo il nobile piemontese Luigi Francesetti, conte di Mezzenile nonché intellettuale, politico e imprenditore, descrive una festa tradizionale a Mezzenile, nelle Valli di Lanzo, nel suo  libro Lettres sur les Vallées de Lanzo del 1823. Le stesse cose accadono in modo molto simile ancora oggi: non c'è festa in cui non ci siano courente, suonatori, Priori e la condivisione di cibo e bevande è strettamente connessa col rito. La storia di questi balli non è certa ma è molto probabile che risalgano al XVI secolo. La questione dell’origine è controversa e fondamentalmente si divide tra chi vede un'origine francese e di corte di queste danze (e solitamente chi sostiene questa ipotesi vedrebbe gran parte  della cultura popolare come sottoprodotto o residuo della
cultura dominante) e chi sostiene un'origine italiana, dove in effetti si è conservata la danza, frutto della creatività popolare, per poi entrare anche nelle danze di corte con coreografie e musiche differenti. Storicamente è noto comunque un grande scambio reciproco culturale tra mondo popolare e società di corte. L’etimologia deriva dal latino currere, correre (courir in francese, da cui courante, e corrente in italiano), movimento che ancora rappresenta la prima figura di questa antica danza a coppie oppure, come cisto, in cerchio collettivo.
Il Festival quest’anno, nel 2023, giunge alla sua IX edizione. Dall’inizio è pensato per valorizzare e diffondere questa cultura estetica e coreutica con una doppia valenza: rivolto sia per gli interni, ossia chi pratica e vive questa tradizione, sia rivolto all'esterno. In questi anni sono stati molti gli invitati al Festival, ognuno portando le proprie danze anche in forma laboratoriale. Si tratta infatti più che di uno spettacolo di una festa, un incontro e uno scambio, in cui grande attenzione è data all'aspetto didattico e alla diffusione culturale. Danze sì ma anche contesto, cultura appunto. La manifestazione è promossa da due Associazioni: Chambra D'Oc, con sede nel cuneese e Lo Stivale che Balla di Milano. La prima ha come principale scopo quello della tutela, promozione e diffusione delle lingue occitana, francoprovenzale e francese, minoranze linguistiche storiche presenti in Piemonte. Collabora attivamente con Comuni, Unione di Comuni, Città Metropolitana di Torino, Regione Piemonte per l’applicazione della L. 482 del 1999 “Norme a tutela delle minoranze linguistiche storiche” su tre principali filoni di intervento: sportelli linguistici, formazione, promozione della cultura. La seconda ha come obiettivo la promozione, diffusione e valorizzazione della danza popolare, in particolare presente 
sul territorio nazionale e si occupa della documentazione video delle danze tradizionali italiane durante le occasioni festive oppure attraverso ricostruzioni effettuate con i testimoni. La direzione artistica del Festival è a cura di chi scrive (Flavio Giacchero), del collettivo artistico Blu L’Azard con Marzia Rey e Pierluigi Ubaudi e di Michele Cavenago e Romana Barbui dell'Associazione Lo Stivale che Balla. Michele Cavenago, in un discorso durante l'edizione web del 2021, ha esplicitato uno dei concetti di fondo di CourentaMai:  «Il cuore della nostra filosofia, il ballo tradizionale, è per noi un ponte, un ponte culturale e un ponte umano. Ha a che fare con quelle che sono le funzioni cuore della danza, una relazione orizzontale che crei qualcosa di positivo, che crei qualcosa di valido dal punto di vista culturale ma anche di benefico, di salutare al servizio dell'uomo, è la danza al servizio dell'uomo e non l'uomo al servizio della danza, quindi diciamo la forma non è qualcosa di estrapolabile dal suo contesto e rivendibile in un altro contesto, semplicemente perché nel momento in cui cambia contesto cambia anche nella forma ma cambia anche e soprattutto nel suo cuore sostanziale. Quindi come una sorta di dichiarazione d'intenti di quello che non vogliamo fare, non vogliamo per nulla sostituirci alle minoranze linguistiche che vivono la danza, il canto anche come elemento della propria diversità ma creare relazione, creare un ponte con loro per creare cose belle al servizio dell'uomo». Il pubblico del festival è trasversale. La manifestazione è stata pensata dall'inizio per valorizzare il patrimonio coreutico locale e metterlo in connessione con altre realtà simili ma anche per offrire  conoscenza della cultura tradizionale e metterla a confronto con fenomeni relativamente più recenti come il bal folk. Partecipano alla manifestazione sia ballerini “nativi” tradizionali sia frequentanti 
di bal folk sia persone semplicemente interessate alla danza e alla musica tradizionale sia studiosi. Pierluigi Ubaudi, uno degli organizzatori e membro del gruppo Blu l'Azard così ha presentato l'apertura della manifestazione di quest'anno: «Le tradizioni, come la danza e la musica, sono connesse alla cultura di un luogo ed è impossibile capire in profondità la danza la musica senza considerare e conoscere la cultura di quel luogo. Segno di ogni cultura è anche la lingua, che non è un modo per escludere coloro che non la parlano ma anzi può essere occasione di invito ad imparare e conoscere. Noi delle Valli di Lanzo abbiamo sempre parlato quelle tre o quattro lingue ma non lo sapevamo. Quando c'era bisogno di passare in Francia bisognava conoscere il francese, per il commenrcio, che qualcuno chiamava contrabbando, bisognava comprendere le altre varianti del francoprovenzale, il piemontese per scendere a valle e poi l'italiano che si imparava a scuola... Quindi queste zone sono sempre state zone di passaggio e non di chiusura e questo per noi è molto importante ed è anche lo scopo di questo festival». Nelle edizioni passate sono stati ospitati rappresentanti delle valli occitane, francoprovenzali della Valle d'Aosta, molti ballerini e suonatori locali delle Valli di Lanzo, ci sono stati collegamenti web, durante due edizioni online a causa della pandemia, con gli occitani di Guardia Piemontese, in provincia di Cosenza e gli arbëreshe di Lungro, sempre in provincia di Cosenza. Il Festival è itinerante, ospitato ogni anno presso un Comune dell'Unione Montana Valli di Lanzo, Ceronda e Casternone. Quest’anno si è svolto nel Comune di Cantoira il 6 maggio e si è trattato di un’edizione particolarmente stimolante e straordinaria per la presenza della comunità resiana insieme a suonatori e ballerini locali. I resiani hanno contribuito portando e insegnando le loro danze al suono della “cïtira”, il loro violino, e della “bünkula”, una sorta di violoncello popolare e accompagnati dall'immancabile battito del piede per accentuare la pulsazione ritmica. 


L'incontro con i resiani è stato splendido e da subito si sono rivelate molte similitudini tra loro e la comunità ospitante. La Val Resia, di minoranza linguistica slovena, situata nella parte nord-orientale del Friuli Venezia Giulia al confine con la Slovenia, ha una cultura straordinaria e unica ed è incredibile che si tratti di una comunità di neanche mille individui. Ospiti del Festival sono stati alcuni componenti del Gruppo Folkloristico “Val Resia”. Si tratta di un gruppo storico con numerosissimi spettacoli nazionali, europei e mondiali. Famosa, ad esempio, la partecipazione nel  1967 al Teatro Piccolo di Milano su invito dell'allora direttore Giorgio Strehler allo spettacolo Sentite brava gente, promosso da Roberto Leydi per la stagione 1966-’67 con la consulenza di Diego Carpitella e la regia di Alberto Negrin. Il Gruppo nasce ufficialmente nel 1838, quando un gruppo organizzato di suonatori e ballerini si recò a Udine, in occasione della visita dell’imperatore d’Austria Ferdinando I e della sua consorte, per testimoniare la ricchezza della tradizione musicale della valle. In molti casi i gruppi folkloristici sono, o sono stati, una rappresentazione fittizia di una tradizione, per lo più rivisitata. Non è il caso della Val Resia come dei gruppi folkloristici delle Valli di Lanzo in cui non c'è rivisitazione o rappresentazione ma trasmissione della propria cultura attraverso lo spettacolo, la musica e la danza.


In occasione del Festival, chi scrive insieme a Michele Cavengao, hanno intervistato Dino Valente, Presidente del gruppo nonché ottimo ballerino e profondo conoscitore della propria cultura. Molte le questioni tecniche e storiche sulle danze resiane ma anche questioni più generali sulla loro comunità e la contemporaneità. Qualche estratto: «Le tradizioni popolari della Val Resia riguardo la musica, il canto, le favole, e quant'altro, hanno interessato studiosi già dalla fine dell'Ottocento... I resiani erano sempre disponibili ad aprire le porte di casa e a parlare di queste cose e se in giro c'è tanto materiale su Resia è proprio grazie a questa disponibilità che c'era. Noi non siamo proprietari siamo solo custodi di questa tradizione. Il problema forse di questi ultimi anni era di far capire a noi stessi il valore di questa cultura, perché per noi era normale ballare, cantare, fare il carnevale, ecc...  Una cultura particolare che vive in un ambiente naturale specifico, una valle chiusa, di soli mille abitanti e che comunque ha avuto una forte emigrazione, però c'era sempre una forte identità. L'importante quindi era solo capire quanto valore abbia questa cultura e noi l'abbiamo capito anche attraverso tutti questi studiosi... Una cultura che noi dobbiamo mantenere, tramandare ma anche con la consapevolezza che può avere delle ricadute economiche sulla nostra comunità»


«Negli ultimi vent'anni c'è una forte presenza di turismo culturale, che riconosce le particolarità linguistiche e storiche. Il gruppo folkloristico insieme ad altre associazioni, il Circolo Culturale, il museo della Val Resia, il museo dell'arrotinio si stanno proponendo come degli attori fondamentali per mostrare questa nostra ricchezza.  Però vogliamo fare vedere la nostra cultura non come uno spettacolo, come una cosa da vendere, ma come una nostra realtà che viviamo quotidianamente e quello che vogliamo, specialmente per il ballo e la musica, è che venga la gente ma non solo a guardare e applaudire ma viverla, perché la nostra è una tradizione molto viva dove tutti ballano. Ecco quindi forse l'aspetto più importante è che dobbiamo avere più consapevolezza della ricchezza che abbiamo... E questo dipende solo dal fatto che la Valle rimanga popolata. Questa tradizione è viva, non è qualcosa che si è perso e noi teniamo in vita, no, è viva e per mantenersi tale deve avere il soggetto principale che è l'individuo.
Più di dieci anni fa abbiamo fatto un libro insieme ad altre minoranze “Tre vallate tre culture”, la Val Resia, la Vallata del Sarmento (Basilicata) abitata dalla minoranza albanese (arbëreshe) e la Vallata dell'Amendolea (Calabria) abitata dalla minoranza greca (grecanica) per dire che cosa, che in Italia ci sono diverse realtà linguistiche esistenti sul territorio, come la vostra, gli albanesi, gli occitani, i grecanici, i friulani, i catalani, ecc...» 


«Tante realtà che però in fondo hanno lo stesso comune denominatore: lo spopolamento, la mancanza di identità, il fatto che si perda magari la lingua... Queste cose ci accomunano, scambiarsi queste nostre esperienze è fondamentale, innanzitutto perché rafforza un legame e secondo, rafforzando un legame e condividendo le stesse problematiche, possiamo in qualche modo anche trovare delle soluzioni che possano andare bene a tutti, perché in fondo i problemi sono simili: cercare di evitare la globalizzazione, capire che la diversità è una ricchezza e non è una difficoltà o qualcosa di negativo, e che essere diversi culturalmente non vuol dire non essere italiani o non essere europei, anzi tutt'altro... Per cui i rapporti tra queste comunità di minoranza linguistica sono fondamentali...
Il confine orientale è diverso da quello occidentale, c'era la cortina di ferro, di là c'era il mare, c'erano i comunisti che mangiavano i bambini... È questo che ci hanno venduto. Poi noi siamo una minoranza linguistica slovena e chiaramente abbiamo avuto grandissime difficoltà ad affermarci... Non dico che ci sia stata discriminazione ma un processo di poca attenzione, devo dire che adesso le cose stanno cambiando, il fatto che l'Unione Europea si sia allargata, il fatto che la Slovenia faccia parte dell'Unione Europea, il riconoscimento della minoranza linguistica italiana...» 


«Il confine è talmente labile che ci sono cittadini italiani che hanno una cultura e delle tradizioni diverse ma non per questo bisogna estinguerla tale cultura, sradicarla, cancellarla... Sicuramente il confine una volta l'abbiamo vissuto in modo diverso. Adesso le cose sono cambiate, anche perché i rapporti con la Slovenia sono buoni con scambi culturali, siamo una minoranza riconosciuta con una legge, la legge 38 del 2001 come minoranza linguistica slovena [“Norme per la tutela della minoranza linguistica slovena della regione Friuli - Venezia Giulia” - pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 56 dell'8 marzo 2001, ndr.]. Sono delle leggi che... ci permettono di avere delle scuole, dalle materne alle medie e sebbene abbiamo solo cinquanta bambini, cosa che potrebbe farle chiudere, possiamo mantenerle... Adesso dipende da noi, fare valere il sacrosanto diritto di dire siamo cittadini italiani, abbiamo una cultura e una lingua diversa che però è una ricchezza, non solo per il Friuli Venezia-Giulia ma per l'Italia. Diciamo che lo Stato italiano ha preso coscienza molto in ritardo perché c'è l'articolo 6 della Costituzione che già sancisce che lo Stato italiano deve garantire le minoranze linguistiche...».


E ancora Dino Valente durante la presentazione del gruppo al pubblico del Festival: «La Val Resia è una valle che è situata nella parte nord orientale del Friuli Venezia-Giulia, confina direttamente con la Slovenia a circa 50 Km. dall'Austria. La conformazione orografica di una valle chiusa ha permesso che questa cultura rimanesse non dico integra o non contaminata perché contaminazioni ci sono sempre però molto meno rispetto altre zone... Questa è una cultura viva, tutti i resiani ballano... Il gruppo folkloristico è un rappresentante che vuole portare al di fuori questa nostra tradizione... Il nostro gruppo a oggi conta 65 elementi però diciamo che tutte le famiglie a Resia hanno dato e danno se non un suonatore un ballerino... Noi siamo molto contenti di essere qua perché troviamo delle similitudini, siamo anche noi una minoranza linguistica e come in tutte le minoranze linguistiche ci sono difficoltà a mantenersi, valorizzarsi e a trasmettere all'esterno a una comunità molto più grande come quella nazionale del valore che abbiamo, perché noi siamo una ricchezza, la diversità è una ricchezza non è una debolezza... L'Italia è un paese variegato e queste culture che ci sono in queste vallate vanno mantenute, vanno valorizzate proprio come ricchezza. Purtroppo devo dire che la sensibilità a livello nazionale non è stata lungimirante però le popolazioni ci tengono ad avere una propria identità ma non per differenziarsi ma per dire quanto è ricco il nostro patrimonio culturale e noi in questa giornata qui a Cantoira vogliamo darvi un piccolo assaggio... Una valle che è composta da varie frazioni, San Giorgio, Prato, Stolvizza, Oseacco, Gniva e anche Uccea che anche se sono nella stessa valle hanno delle diversità sia linguistica, sia nel canto e nel ballo... Anche se adesso si sta un po' tutto normalizzando».
La giornata è proseguita in un’atmosfera di grande armonia e condivisione. Molta partecipazione di pubblico, molti i valligiani presenti. Un incontro e uno scambio avvenuti in modo naturale, spontaneo. Suggestivo, durante il pomeriggio del Festival, l'ingresso a sorpresa della coppia dei due giovani priori di Cantoira che hanno portato la festa danzando qualche courenta: l'irruzione potente del rito con il suo potere apotropaico e benefico.


Flavio Giacchero
Foto di Flavio Giacchero (da 2 a 7) e Giacomo Perossi (8)

Per informazioni sulla musica delle Valli di Lanzo il film documentario: "Lou soun amis | Il suono amico. Una tradizione musicale delle alpi Occidentali, Valli di Lanzo" di Flavio Giacchero e Luca Percivalle. Produzione LaBlues/Chambra D'Oc

Per maggiori informazioni sul Festival CourentaMai


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