Il Fagotto e il Phagotus di Afranio degli Albonesi

Poche parole introduttive. Il fagotto ha un illustre predecessore. La dulciana detta anche “dulcina” o “dulzaina”), strumento ad ancia doppia realizzato principalmente con legno di bosso o di acero. Nel corso dei secoli, è stato costruito in diversa foggia, dimensione ed estensione, dal soprano al basso. Per un approfondimento, suggeriamo la lettura dell’opera “Curtal, Dulcian, Bajón: A History of the Precursor to the Bassoon” (2002), di Maggie Kilbey. Varie sperimentazioni hanno portato all’attuale fagotto il quale, nei secoli passati, veniva principalmente distinto in fagotto barocco e fagotto classico, quest’ultimo perfezionato grazie al sistema ideato dai costruttori Heckel. Johann Adam Heckel (1812-1877) e il suo socio Carl Almenräder (1786-1843) costituirono un proprio laboratorio nel 1831, che s’ingrandì e operò per alcune generazioni, producendo importanti innovazioni e perfezionamenti. Negli anni, arrivarono a realizzare modelli strumentali utilizzati anche da altri costruttori di fagotto. Tra i compositori che dedicarono speciale attenzione al fagotto, ricordiamo Antonio Vivaldi, il quale per lo strumento scrisse oltre trenta concerti (verosimilmente trentanove). In passato, alcuni ricercatori furono stimolati a trovare il più antico antenato dello strumento nel “phagotus”, sul quale concentreremo le attenzioni odierne. E lo faremo partendo dall’opera di Mario Merlo, pubblicata nel 1996, quando aveva ottantaquattro anni. Titolo: “Albonese, il paese del ´fagotto´”. Lo strumento musicale venne indicato nel titolo tra virgolette, poiché non riferito all’aerofono ad ancia doppia in uso nelle orchestre classiche, bensì al progetto organologico ideato, nel XVI secolo, da Afranio dei Conti di Albonese, paese della Lomellina con poco più di cinquecento abitanti. Come riferisce Luigi Tagliavini, nel “Dizionario degli Italiani” (vol. 2, 1960), Afranio era nato nel citato paese, nella seconda metà del XV secolo (1465 circa) ma, ben presto, si trasferì a Ferrara dove divenne canonico al servizio del cardinale Ippolito I d’Este e, dopo il 1520, del duca Alfonso I. Luigi Valdrighi scrisse che «Afranio era un artista consumato, ed appassionato raccoglitore di strumenti musicali di varie specie» (L.F. Valdrighi, “Il phagotus di Afranio”, Musurgiana, Calcografia Musica Sacra, Milano 1881). Ad Afranio si deve l’ideazione del phagotus (o “fagoto”)? Di tale strumento diede specifica menzione e descrizione il nipote, Teseo Ambrogio degli Albonesi (1469-1540), nella “Introductio in Chaldaicam linguam” (titolo per esteso, “Introductio in Chaldaicam linguam, Syriacam, atque Armenicam, & decem alias linguas”, Simoneta, Pavia 1539). Il testo riveste importanza storica e tecnica. Tra l’altro, vengono menzionati i trascorsi dello zio in Serbia, dove visse alcuni anni e dove realizzò il primo prototipo del phagotus che, in seguitò, perfezionò in diversi modelli, aiutato da validi collaboratori tra cui Giambattista Ravilio di Ferrara, tornitore di corte. Viene descritto come «persona di rarissimo ed eccellente ingegno, e a lui apertosi famigliarmente, (Afranio) trovò in esso quell’uno che valse più di centomila serbi ed alemanni, ingegnosissimi d’altronde, ma, con loro pace sia detto, inetti a perfezionare l’artificiosissimo suo lavoro». Nel testo, Teseo Ambrogio evidenziò che lo zio fu «l’inventore, o certamente perfezionatore di questo strumento, e maestro della di lui assoluta perfezione vi adoperò più lavoratori, in legname, in argento, in ferro e in bronzo, e lo costruì con arte così squisita, che a prima vista l’animo dei riguardanti è posto in aspettazione di cosa mirabile». La domanda è lecita: fu “inventore o perfezionatore” dello strumento? Dati certi notificano Afranio intento a suonare il suo phagotus polifonico presso la corte di Alfonso I d’Este. Il canonico morì tra il 1533 e il 1540, ma lo strumento gli sopravvisse e venne persino redatto un metodo tecnico-esecutivo da un autore anonimo, al quale Teseo Ambrogio aveva donato uno dei suoi “fagoti”. 


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