Il Fagotto e il Phagotus di Afranio degli Albonesi

Afranio, Teseo Ambrogio e il metodo di “anonimo”
Il metodo al quale abbiamo accennato venne rinvenuto dal ricercatore (e conte) Luigi Francesco Valdrighi, presso l’Archivio di Stato di Modena, nel 1893 (del 1895 è il saggio, “Sincrono documento intorno al metodo per suonare il ´phagotus´ d’Afranio”). Insieme alle note sul metodo, Valdrighi tradusse dal latino quanto scritto da Teseo Ambrogio, il quale fu personaggio illustre, letterato e umanista, conoscitore di ben diciotto lingue. La città di Pavia, nel 1900, gli dedicò una lastra commemorativa, nella quale lo elogiò come “sommo filosofo orientalista … dottissimo uomo d’onore e vanto di Pavia”. Grazie a Teseo Ambrogio e all’anonimo del metodo è possibile comprendere la tipologia organologica dello strumento, fortemente imparentato con gli aerofoni a sacco e con gli strumenti a mantice.  Del phagotus vennero costruiti diversi modelli e, come evidenziato dai ricercatori, è possibile che alcuni di questi presentassero specifiche analogie con la “dolzaina”. Emblematica è la frase estrapolata dal metodo citato, nel quale è scritto che «la cana sinistra... sta diritta, ma il canon di ramo della cana grossa è storto a simile della dolzaìna». Alcuni autori hanno ipotizzato che il phagotus potrebbe essere stato originariamente concepito come perfezionamento di uno strumento a sacca simile alla “zampogna” , peraltro diffusa, in varie forme, in Italia e in Serbia, dove Afranio (ricordiamo) visse per qualche tempo. Fondamentali risultano le raffigurazioni dei testi citati, grazie alle quali è possibile comprendere nel dettaglio la struttura dello strumento. Leggiamo cosa scrisse in merito Teseo Ambrogio: «(…) si vedono due colonne di legno vuote, in bosso forato, erette sulle basi o sostentaceli di altra colonna sottoposta, coi relativi epistilî e capitelli di legno pure scavati, la cui parte superiore entra nella rotonda e vuota sommità delle colonne, ricoprendola. Queste colonne sono adorne e per arte meravigliosa hanno vari fori a tergo, in fronte ed ai lati, parte dei quali l’architetto così bene trapanò al tornio, che nulla può vedersi di più perfettamente rotondo»
Inoltre, il letterato volle evidenziare il ruolo di Giambattista Ravilio nella realizzazione delle ance, che rappresentano il “cuore” dello strumento: «Ravilio fabbricò due lingue, ossia come le chiamava pive, delle quali una d’argento, di rame l’altra. Ed essendo le maggiori colonne tagliate in due parti, ed una entrando nell’altra, riparate da una ghiera in laminetta d’argento che mascherava l’unitura, il costruttore solidamente legò la piva d’argento nella parte inferiore d’una colonna o tubo, curva nella estremità, e riguardante il fondo. Quella di bronzo poi infisse nella stessa parte dell’altra canna o colonna con meraviglioso artificio digitale (se così può dirsi), con meato di bronzo primamente pendente al basso, poi subito rivolta all’alto, e, quantunque chiusa, risguardante il cielo. E con mirabile industria ed ingegno, aggiunti altri fori ai primi, da dodici voci imperfette lo ridusse a ventidue perfettissime e chiarissime. Le quali note possono rinforzarsi o diminuirsi a volontà del cantante o del suonatore, che muove sapientemente ed articolatamente le dita, e alla sua guisa parla e tace, e come le braccia di esso contemprano i mantici, movendoli, rattiene e varia le proporzioni musicali. Il phagotus contiene pure celati moltissimi altri segreti della potenza della musica, coi quali chi, come Afranio, rettamente e ordinatamente saprà usarne, potrà emulare le voci e i suoni di tutti gli strumenti musicali, e potrà rendere dolci accordi e grate armonie (…)».  
Il phagotus è stato menzionato in diversi dizionari ed enciclopedie, per tutti segnaliamo il “Grove Dictionary of Music and Musicians”, la “Enciclopedia degli Strumenti Musicali” (a cura di Alexander Buchner, 1999) e la “Enciclopedia della Musica” (Garzanti), la cui sezione organologica è stata principalmente curata da Febo Guizzi. Dello strumento rinascimentale ebbero a scrivere anche diversi studiosi tra cui, musicalmente, evidenziamo Francis William Galpin (“The Romance of the Phagotum”, in “Proceedings of the Musical Association”, LXVII, 1940) e Mauro Gioielli, valoroso fondatore della rivista “Utriculus”. Quest’ultimo, nel 2007, scrisse il contributo titolato “Nihil difficile volenti. Il phagotus, la prima cornamusa a mantice”.  Nel testo non mancò di rilevare le particolarità del phagotus, ponendolo anche in relazione con il progetto della “piva con soffietto” di Leonardo da Vinci. In merito, si veda anche il nostro contributo dedicato a Edoardo Zanon. La “piva” di Leonardo tuttavia restò, verosimilmente, un prototipo concepito sulla carta. Di conseguenza, il phagotus potrebbe vantare (il condizionale è d’obbligo) il primato di “prima ed effettiva cornamusa a mantice”.  

Il Maestro dei Dodici Apostoli e John Pickard 
Rispetto all’iconografia, oltre alle informazioni ricavabili dai testi di Teseo Ambrogio e dell’anonimo citato, riteniamo utile riferirci al contributo di Camilla Cavicchi, dal titolo “Afranio, phagotista virtuoso” (“Ferrara, voci di una città”, n. 17, 2002), la quale ha preso in esame alcune opere pittoriche di ambito ferrarese acquistate, a suo tempo, dalla locale “Fondazione Cassa di Risparmio”. Tra queste opere, ha dato risalto al dipinto attribuito al “Maestro dei Dodici Apostoli”, titolato “Giacobbe e Rachele al pozzo”, realizzato tra il 1530 il 1540. Le scene pastorali rappresentate sono tratte dalla Genesi (29. 1-10) e nel dipinto sono presenti alcuni strumenti musicali, tra cui un cordofono (viola da mano), un cromorno soprano e un phagotus, appoggiato a terra sulla sinistra del quadro. La Cavicchi ha spiegato, in sintesi, il suo funzionamento «che era piuttosto articolato: il musicista legava un piccolo mantice sotto il braccio destro, che comprimeva aria in una sacca fissata a sua volta al braccio sinistro; da qui si regolava l'accesso di aria nel canneggio vero e proprio, costituito da due grosse colonne in legno tornito, collegate tra loro e dotate di numerose chiavi». L’autrice del contributo, inoltre, ha evidenziato importanti dettagli musicali circa la vita di corte, i quali aiutano a dare risposte alle domande iniziali: «Negli anni in cui Afranio era dedito alle sperimentazioni con il phagotus, il cardinale Ippolito I d’Este aveva organizzato una vera e propria fucina musicale, dove i più abili organari del tempo, come Lorenzo Gusnasco e Giovanni Battista Facchetti, erano impegnati nella realizzazione di strumenti raffinati, elaborati e dalle nuove possibilità musicali; si costruivano organi, claviorgani, clavicembali, viole da gamba e liuti di ogni tessitura, cornetti e serpentoni. Nei libri amministrativi del cardinale Ippolito I d’Este esiste una ricca documentazione sulla costruzione del phagotus sin dal 1516, che risulta però legata ai nomi di Gerardo Franzoso e Janes de Pre Michele, tra i primi suonatori di questo particolare strumento, e mai al nome del canonico pavese. Si può quindi ipotizzare che Afranio degli Albonesi più che inventare il phagotus abbia elaborato uno strumento da tempo in uso a Ferrara, con caratteristiche meccaniche simili, e lo abbia poi perfezionato nella forma che oggi conosciamo». Ulteriori informazioni circa il contesto artistico dell’epoca sono rinvenibili nella tesi di dottorato di Gaia Prignano, “Iconografia musicale nella Ferrara di Alfonso I d’Este” (Alma Mater Studiorum-Università di Bologna, 2019).
Mauro Gioielli ha ipotizzato che l’uso dello strumento si estinse, verosimilmente, già nel XVI secolo. In particolare, nel suo contributo ha nominato alcuni costruttori di phagotus del XX secolo, come William Alfred Cocks, di cui è possibile rinvenire notizie nel testo “The Phagotum: an attempt at reconstruction” (“The Galpin Society Journal”, XII, 1959). Successivamente si sono cimentati nella ricostruzione del phagotus anche Tony Millyard ed Eric Moulder.  
Del musicista e costruttore albonese rinascimentale è rimasta traccia anche nella composizione “The Phagotus Of Afranio”, Capriccio per fagotto e piano, scritta nel 1992 da John Pickard. Come lo stesso compositore ha avuto modo di specificare, il brano musicale è stato originariamente ispirato da un manuale di Cecil Forsyth sull’orchestrazione (1912), nel quale veniva raccontata la storia del possibile precursore del fagotto moderno, il phagotus appunto. Pickard, tuttavia, ha precisato che nella sua composizione c’è ben poca relazione con lo strumento rinascimentale di Afranio e che da parte sua non c’è stato «alcun tentativo di ricreare come avrebbe potuto suonare il phagotus»
Per chiudere il cerchio, desideriamo riallacciarci al fagotto e alle sue origini organologiche nel XVI secolo, aggiungendo importanti informazioni storico-strumentali (abbastanza) coeve a quelle del phagotus di Afranio, citando quanto scritto da Giuseppe Fagnocchi nelle “Otto note di viaggio” (introduzione alla Rassegna “La Domenica ai Concordi, Musica e Poesia, Musica e Pittura”, edizione 2019, Rovigo):  «(…) Nel frattempo nasceva e si sviluppava nel Nord Europa il fagotto “vero e proprio”: esso si trova ad esempio registrato in un inventario inglese del 1574, ma ancor prima possiamo attestarne la presenza a Norimberga - in quanto nel 1578 vi morì un rinomato costruttore, Siegmund Schnitzer - e a Bruxelles dove nello stesso anno Philip van Ranst viene nominato sonatore di corte del nuovo strumento destinato, poco alla volta, a sostituire la dulciana nella esecuzione del basso continuo. Per renderlo più diffuso, più adatto a molteplici situazioni e anche più agevole nella tecnica, esso veniva costruito in più tagli e con la presenza di chiavi già agli inizi del Seicento, come ci informa e documenta Michael Praetorius nel suo Syntagma musicum del 1619».
Per concludere, desideriamo ritornare al testo di Mario Merlo, “Albonese, il paese del ´fagotto´”, che ben evidenzia le peculiarità storiche del luogo natio e del territorio circostante. L’opera consta di ventiquattro capitoli. Il capitolo XVII è titolato “Albonese fu la ´patria´ dello storico strumento musicale chiamato ´fagotto´”. Nel libro, le informazioni musicali sono minime, tuttavia la sua lettura è stata utile per approfondire la conoscenza del paese di Albonese e del suo illustre Afranio il quale - con tanta passione e grazie all’impegno del nipote Teseo Ambrogio - è riuscito a conquistare una posizione nella storia degli strumenti rinascimentali, permettendo di dare rilievo alla sua comunità la quale, come numerose e minute realtà di provincia, merita adeguato approfondimento culturale e musicale.  

Paolo Mercurio

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