La zampogna tra ricerca etnomusicologica e ricordi giovanili

Da alcuni decenni, in ambito etnomusicologico, c’è gran fermento intorno agli aerofoni a sacco. Oltre a pubblicazioni monografiche, sono stati organizzati festival, rassegne, musei o spazi museali dedicati. Più di recente è stata avanzata la proposta di inserire la zampogna tra gli strumenti da valorizzare all’interno della cosiddetta “Lista” dell’UNESCO. Lo strumento è affascinante, per forme e sonorità, nella varietà degli usi nei diversi contesti comunitari. Di tutto rilievo la sua storia, con continui rimandi tra gli ambiti cortesi (medioevali), religiosi e popolari.

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Nei primi anni Ottanta del secolo scorso, ricordiamo le pionieristiche ricerche di Valter Biella sul baghèt. Più ancora, ricordiamo l’entusiasmo suscitato da “La Zampogna in Europa” (settembre 1979, fotografia copertina di Ferdinando Scianna). Un cult, per chi si occupa di etnorganologia, essendo un saggio che sancì un solido legame di ricerca tra Roberto Leydi e Febo Guizzi, allora poco più che trentenne, giurista, appassionato di viaggi e di “arnesi” musicali tradizionali. Una passione che lo portò a valorizzare soprattutto il patrimonio degli strumenti popolari italiani. Per la tredicesima stagione dell’ “Autunno musicale” di Como, venne presentata una Mostra sulla zampogna, in collaborazione con la SEI (Società Italiana di Etnomusicologia). Tra i curatori, oltre ai due studiosi citati, anche Maurizio Anselmi e Luigi Cinque. Leydi fu il coordinatore e il consulente generale della Mostra, inoltre si prodigò per realizzare schemi, grafici e cartine. Il testo venne scritto con ottica interculturale. Dopo la presentazione e la bibliografia generale, venne approfondita (anche in termini tecnici) la conoscenza dei differenti strumenti secondo distribuzione geografica. Dalla penisola Iberica, gli Autori spaziarono verso Francia, Isole britanniche, Svezia, Italia, Paesi Baltici e Slavi, dando rilievo anche ai Paesi carpatico-danubiani e Balcani centro-orientali. Altre schede furono dedicate all’area adriatica orientale, alle Isole dell’Egeo e di Malta. Le schede vennero arricchite con puntuali informazioni discografiche. L’anno seguente, a testimonianza della varietà costruttiva ed esecutiva, Leydi e Guizzi arrivarono a pubblicare per “Albatros” due dischi che spiccavano per la pregevole qualità delle registrazioni “Zampogne. Italia, 1”, VPA 8472, 1980; “Zampogne. Italia, 2”, VPA 8482, 1981 (con registrazioni storiche a 78 e a 45 giri). Da giovani studenti universitari, ascoltavamo con passione quei dischi a 33 giri, prediligendo l’ascolto in cuffia che, in hi-fi, permetteva di scoprire sonorità di rara bellezza, grazie alla ricchezza degli armonici prodotti dai vari strumenti (che nulla avevano da invidiare a certi organi da chiesa). Sullo sfondo dei suoni e delle parole del testo, risuonavano la cultura agro-pastorale e gli usi funzionali delle singole comunità: un mondo tutto da scoprire secondo ottica locale. Restando in tema di storiche pubblicazioni discografiche “Albatros” dedicate alla zampogna, è indispensabile ricordare l’infaticabile Ettore De Carolis (originario di Paliano), musicista, arrangiatore e ricercatore, passato a miglior vita, nel dicembre 2007, a Roma. Negli anni Settanta, curò tre importanti pubblicazioni discografiche dedicate allo strumento, così suddivise: “Il Lazio. I canti e le zampogne. Vol. 1. La mietitura. I pastori e le zampogne”, VPA 8314, 1976; “Il Lazio. I canti e le zampogne. Vol. 2. Arie de’ bifolchi e arie di campagna. Stornelli, rispetti e fioretti”, VPA 8348, 1977; “Il Lazio. I canti e le zampogne. Vol. 3. Il canto “a poeta”, filastrocche, saltarello e varie”, VPA 8384, 1978. Allievo di Roberto Leydi è stato Gianni Fidanza (1961), oggi docente di “Bibliografia e biblioteconomia musicale” al Conservatorio di Milano. In ambito universitario, negli anni Ottanta, condusse importanti ricerche sulla zampogna, inizialmente condotte a Luco de Marsi e a Castellafiume (Aquila), poi proseguite nel Lazio in paesi quali Anticoli Corrado, Villa Latina e Acquafondata. Titolo della sua tesi di laurea al DAMS di Bologna: “La presenza della zampogna negli Abruzzi”. Presso l’ “Archivio Sonoro del Museo delle Genti d’Abruzzo” (Centro di Documentazione Etnografica) è possibile ascoltare i materiali sonori del “Fondo Gianni Fidanza” che comprendono repertori storici per zampogna e ciaramella registrati in varie località di Abruzzo, Lazio e Molise. Alla fine degli anni Settanta Nello stesso Archivio è presente anche il “Fondo Maurizio Anselmi”, il quale sin dalla fine degli anni Settanta ha condotto diverse investigazioni sulla zampogna a Scapoli e poi a Villa Latina, per un certo periodo divenendo collaboratore di Leydi all’interno del “Laboratorio di Etnomusicologia” dell’Istituto per i Beni Artistici Culturali e Naturali della Regione Emilia-Romagna. Tra i testi più recenti, segnaliamo “La zampogna. Gli aerofoni a sacco in Italia”, a cura di Mauro Gioielli (2 voll., 2005), con contributi di Roberto Tombesi, Valter Biella, Dario Marusic, Nicola Scaldaferri, Giuseppe Michele Gala, Antonello Ricci, Sergio Bonanzinga, Mario Sarica, Giancarlo Palombini, Ambrogio Sparagna, Roberta Tucci, Carlo Di Silvestre. Inoltre, segnaliamo il saggio di Ambrogio Sparagna “La zampogna. Storie e musiche di uno strumento pastorale” (2004). A Scapoli, all’interno di Palazzo Mancini (posto in una suggestiva posizione ambientale), vi è “Il Museo Internazionale della Zampogna”, dedicato al suo ideatore: Pasquale Vecchione. Strutturato su tre piani, il museo contiene numerose zampogne, provenienti da diverse parti del mondo e realizzate in epoche differenti. Parallelamente è possibile consultare un’articolata documentazione e vedere un’antica bottega artigiana dedicata ai costruttori locali di zampogne e ciaramelle, quali Benedetto, Ettore e Luciano Di Fiore, Gerardo Guatieri, Palmerino Caccia. Edito dal “Circolo della Zampogna” di Scapoli e sempre a cura di Mauro Gioielli, menzioniamo “Zampogne. Catalogo della mostra permanente di cornamuse italiane e straniere di Scapoli” (2001). Nell’opera odierna abbiamo riportato alla mente alcuni ricordi d’infanzia, di quando, a Milano, ascoltavamo con aria sognante il duo “zampognaro-pifferaio” (suonatore di ciaramella), in coincidenza con le feste natalizie. Si potevano incontrare in centro, soprattutto nelle zone limitrofe al Duomo. Vicino a loro, si formava sempre un capannello di curiosi. Sullo sfondo il freddo decembrino e le luci della città, spesso immersa nella tenue nebbia pomeridiana. A colori, ambiente e sensazioni festive ci siamo riferiti scegliendo, di fondo, una fredda dominante cromatica vagamente naif. Dedichiamo l’opera alla memoria di Roberto Leydi, Febo Guizzi, Ettore De Carolis e a tutti quei suonatori che, con ingegno, nel corso dei secoli, hanno saputo dare valore alla costruzione e all’esecuzione della zampogna che, nelle varianti italiane, auspichiamo possa presto entrare a far parte della Lista dei Beni Culturali Immateriali dell’UNESCO. 

Paolo Mercurio

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