Ci piace partire dal concerto conclusivo che ha sugellato questa vitale XXVI edizione dello storico e prestigioso festival campano organizzato da La Bazzarra, con la direzione artistica di Gigi Di Luca, inserito nella programmazione della Regione Campana attraverso SCABEC, sostenuto da una rete di comuni vesuviani e, quest’anno, dal Ministero della Cultura (www.festivalethnos.it). Una manifestazione che ha dovuto fare i conti con le note penalizzanti disposizioni governative in termini di capienza dei luoghi d’arte e di spettacolo.
Parliamo del recital a trazione meridiana “A Sud di Bella Ciao”, di scena a Villa Vannucchi (San Giorgio a Cremano). Sulla scia del successo del rilancio dello storico “Bella Ciao”, il supergruppo guidato da Riccardo Tesi ha allestito uno spettacolo guardando anche a quell’altra mirabile produzione che fu “Ci Ragiono e Canto”, dove lo sguardo si allargava alle espressioni tradizionali oltre il Nord Italia. Un palco di All Star con Elena Ledda, Lucilla Galeazzi, Claudio Carboni, Alessio Lega, Nando Citarella e Gigi Biolcati, che dispiegano uno dopo l’altro capolavori della tradizione orale e del folk d’autore, attraversando il centro e il sud della Penisola con puntate anche a settentrione, restituendo i materiali con arrangiamenti permeati di solida flessibilità, con punte di virtuosismo vocale e strumentale. Ma a San Giorgio le emozioni sono state palpabili ancora di più che in altre serate del fortunato progetto, perché ai protagonisti si è unita una gran dama del canto folk, un modello che è racconto di passione per tutti i presenti:
Fausta Vetere, voce e chitarra per esaltare il lirismo de “Tarantella del Gargano” e la feroce invettiva controrivoluzionaria de “Canto dei sanfedisti”, nonché per il trionfale finale quando il canto partigiano che dà il titolo al concerto è stato cantato a gran voce anche dal pubblico. Caparbia volontà di diffondere, preservandoli, patrimoni culturali enormi.
A questo punto riannodiamo dall’inizio il racconto della rassegna vesuviana, andando alla serata del 10 settembre, quando il giardino della monumentale villa settecentesca di San Giorgio aveva ospitato la serata d’apertura del Festival, con Simone e Nicolò Bottasso, Davide Ambrogio e Elsa Martin, ossia LinguaMadre. Concepita come produzione originale per il Premio Loano in sinergia con Mare e Miniere e Premio Parodi su un’idea primigenia di Enrico de Angelis, “LinguaMadre-Il Canzoniere di Pasolini” vive ora di vita propria. I quattro musicisti hanno allargato la loro scrittura, musicando con piglio contemporaneo i testi poetici “muti” del “Canzoniere Italiano”. Nella versione presentata per il Festival Ethnos, il direttore artistico Di Luca ha ricamato sul portato musicale di LinguaMadre, intrecciando le note dei giovani e ormai quotati artisti con suoi significativi recitativi che egli stesso ha tratto da “Le Lettere Luterane” e da interviste rilasciate dallo stesso Pasolini. Sullo stesso palco si sono svolte il giorno dopo le finali del Premio Ethnos Gener/Azioni Musica (11 settembre), dove si è imposta la convincente raffinatezza canora e stilistica della band del mazarese Cico Messina (voce, sax, chitarra, piano e batteria), spinta sulle onde del mare tra Sicilia e mondo lusofono.
Tra gli altri finalisti hanno raccolto consensi anche le tratti “indisciplinate” sperimentazioni del chitarrista battente calabrese Alessandro Santacaterina, il ribollente jazz a tinte salentine di Giovanni Chirico, l’incontro tra tradizione afro-brasiliana e dialetto tarantino degli interessantissimi Yarákä. Alla giuria, è apparsa meno incisiva – per ora, perché deve crescere nella sua fisionomia – la proposta del duo Tangram (oud e kora).
Non poteva che essere la Reggia di Portici ad accogliere i Fratelli Mancuso, nell’occasione premiati come “BF-Choice Blogfoolk 2020”, assegnato lo scorso gennaio dalla redazione del nostro periodico per il loro “Manzamà” (attribuito ben prima del riconoscimento al Premio Loano e della Targa Tenco, scusate l’immodestia!). Quello di Enzo e Lorenzo Mancuso è un canzoniere del tempo, è radicalità di un canto mai compiacente, manifesto di tensione civile, intreccio di storie, di fatiche, di miserie e di attraversamenti secolari, espressione di una poetica solenne e lirica, di una sacralità laica, espressa nei timbri risonanti e penetranti dei due fratelli: e come sempre è incanto.
Una delle novità dell’edizione 2021 di Ethnos è la vocazione verso produzioni e creazioni originali e “site-specific”. Si è detto del “Canto per Pasolini”, nasce, invece, come collaborazione internazionale “Passion’e Saudade”, inusitato vivere insieme del canto urbano, quello d’arte classico napoletano e del fado portoghese, che ha visto confluire le tessiture raffinate di Monica Pinto e le voci e le corde (chitarra portoghese, chitarra del fado e violoncello) dell’Amara Quartet, quattro musiciste di Porto (Joana Almeida, Fernando Maciel,
Ana Ferreira e Susana Santos), che a loro volta combinano gli stilemi fadisti con elementi classici. Un progetto ospitato nella Villa delle Ginestre di Torre del Greco (19 settembre) che ha mietuto pieni consensi ma che deve prevedere ancora margini di sviluppo nell’organizzazione timbrica e armonica, sia in termini di incrocio di lingue e di vocalità quanto di intreccio dei repertori, così come potrebbe prevedere l’innesto di uno strumento di area partenopea (mandola, mandoloncello, mandolino?). Altra produzione, questa volta a carattere coreutico, è stata “Nobile Popolare”, che ha portato nelle sale di Villa Bruno (26 settembre) una rilettura di foggia contemporanea di danze tradizionali del Sud Italia (danzatrici Ashay Lombardo Arop, Maristella Martella e Alessandra Ardito), accompagnate dalle musiche live di Lavinia Mancusi.
Ci hanno condotto tra brughiere scozzesi e lande irlandesi, raccontando piccole, personali vicende di vita, d’amore e di abbandoni innestate su eventi epocali, i Birkin Tree, quintetto ligure di sopraffina scuola irlandese, che si è proposto a Villa Parnaso di Torre Annunziata (24 settembre) in due set che hanno confermato la perizia tecnica e comunicativa di un gruppo di ottimi e navigati solisti, il cui suono è arricchito dalla presenza di una giovane cantante dalla notevole credibilità timbrica, linguistica e stilistica.
Il festival non ha rinunciato a presenze estere, puntando su artiste molto diverse sul piano della cifra estetica. Nel segno della sperimentazione sonora è stato il concerto del trio catalano-maiorchino-valenciano Marala (Sandra Monfort, Clara Fiol e Selma Bruna) a Ercolano (12 settembre Parco di Villa
Favorita) che, usando un dispositivo microfonico binaurale che cattura il suono come fa l’orecchio umano, ha prodotto un’esperienza auditiva totalizzante per l’ascoltare, immerso nel concerto con l’ausilio delle cuffie. Alto tasso poetico nel set costruito da Elina Duni, albanese di lunga residenza svizzera (18 settembre, Villa Vannucchi), presentatasi in veste di solista (chitarra, piano e tamburo a cornice) per condurci in un viaggio musicale plurilingue, imperniato sul progetto discografico “Partir”, il cui filo conduttore è il distacco, l’allontanamento da ciò che si ama: “Quello che ci resta è ciò che troveremo davanti a noi», dice la Duni. L’ascolto si apre di continuo a nuovi mondi ma che al contempo affronta temi universali. Per finire, diamo conto dell’altra mattatrice: l’haitiana di residenza francese Moonlight Benjamin (25 settembre) in concerto in quartetto (voce, chitarre, basso e batteria). La pietra angolare del combo è un rock saettante dalle furenti virate blues e punk su cui si innesta il canto creolo e francese di Moonlight, che, sebbene portatrice dell’esperienza diasporica haitiana è osservatrice critica della situazione politica e sociale dell’isola caraibica. La cantante esibisce una magnetica teatralità da officiante di un rito che invoca la condivisione tra spettatori e musicisti, come è avvenuto nella gran serata di Villa Vannucchi.
Ciro De Rosa
Foto di Pietro Previti © RIPRODUZIONE RISERVATA
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