A parlare per Elena Ledda è il suo lungo percorso artistico, intrapreso sin da giovanissima e costellato da produzioni discografiche di grande pregio, numerose collaborazioni nazionali ed internazionali e una intensissima attività live che l’ha condotta ad esibirsi in tutto il mondo. Animata da un grande amore per la musica, la cultura e le tradizioni della sua Sardegna, ne ha cantato con il suo inconfondibile ed intenso timbro vocale le storie, la memoria e la poesia, ma soprattutto la sua formazione artistica le ha consentito di aprirsi a territori musicali più ampi, confrontandosi con musicisti di estrazione e provenienze differenti, diventando una delle cantanti del Mediterraneo più apprezzate. A sette anni di distanza dal suo ultimo album in studio, Elena Ledda torna con “Làntias”, pregevole album nel quale ha raccolto dodici brani, tra composizioni originali e riletture, caratterizzati dal respiro elegante degli arrangiamenti che avvolgono la splendida voce della cantante sarda. Dalla magnifica signora del canto isolano ci facciamo raccontare come è nato e si è sviluppato questo suo nuovo capitolo artistico.
Com’è nato “Làntias” il tuo nuovo album?
Nasce da un lavoro di insieme con il gruppo di musicisti e collaboratori che lavora con me da tanti anni. Chi più, chi meno, ma in ogni caso da almeno dieci anni, come l’ultimo arrivato in senso di tempo che è Marcello Peghin. Da diversi anni Michele Palmas , fonico storico di quasi tutti i miei progetti e mio produttore, spingeva per “fotografare” l’ensemble e il nostro suono.
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Foto di Pierluigi Dessì |
Un tuo disco in studio mancava da “Cantendi a Deus” del 2009 ed a fronte di una intensissima attività dal vivo, negli anni, non hai pubblicato molti dischi…
In verità dopo “Cantendi a Deus” ho inciso anche “Undas” nel 2010 che è uscito solo in Sardegna, e in questi anni ho fatto anche altre cose come “Bella Ciao”. In generale mi piace molto lavorare in studio, ma del fare dischi non amo quello che c’è intorno come la promozione. Queste sono cose che se posso, cerco di evitare. Considera anche che ho una attività concertistica molto intensa, c’è il lavoro che facciamo da tanto tempo con “Mare e Miniere” e per fare un disco è necessario fermarsi, sedersi e pensare. Certamente non registro un disco per fare più concerti. Un album è un punto di arrivo che va fatto quando si ha qualcosa da dire. Mi è capitato anche di fare tre dischi in un anno come nel 1984 quando ho pubblicato “Is arrosas”, ma non avendo una casa discografica che mi obbliga a farli, agisco con grande libertà. Per anni ho fatto spettacoli nuovi senza avere un disco nuovo. Abbiamo realizzato uno spettacolo splendido come “La Via del Pepe” con musiche straordinarie, ma non lo abbiamo mai registrato. Forse, siamo un po’ pigri da questo punto di vista. Nel caso di “Làntias” abbiamo bloccato un periodo da ottobre a dicembre per la produzione e ci siamo concentrati sul lavoro. Per fare questo tipo di discorso bisogna avere coraggio perché si può pubblicare anche un disco all’anno, ma la domanda è: frega ancora a qualcuno?
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Foto di Pierluigi Dessì |
Il brano che apre il disco “Nora”, è uno splendido ritratto di donna…
“Cantu Luxis”, De Arrùbiu” e “Arenas”, il primi brani che abbiamo inciso per il disco affrontavano delle tematiche molto forti e per questo motivo abbiamo deciso di mettere in apertura una luce che rischiarasse il buio da cui vogliamo uscire. “Sa làntia” in sardo vuol dire lume, quello che si metteva davanti alle carrozze per illuminare la strada o quello che si posizionava davanti alle porte, o ancora le lampade votive dei morti. Sono tutte “lantias” quelle che devono in qualche modo illuminare un passaggio. “Nora” racconta di questa donna che “aberendi est is fenestas/amirendi est is banderas” apre le finestre, ammira le bandiere e vede la gente in strada che va alla festa, ha voglia di ballare, di divertirsi, di sentirsi libera. Ci sembrava anche giusto che ad aprire il disco fosse un personaggio femminile sia perché era più giusto per questa storia, sia perché io sono una donna.
Uno dei brani più toccanti è la versione in sardo di “Ninna Nanna in Re” di Bianca d’Aponte, che tu avevi già interpretato in italiano…
Avevo già cantato questo brano quando sono stata madrina dell’edizione 2010 del Premio Bianca d’Aponte. Gaetano e Giovanna, i genitori di Bianca mi chiesero di interpretare un brano del suo repertorio e come fanno tutte le madrine, ho ascoltato tutti i brani che lei aveva scritto. Seppur giovanissima, lei era veramente un grande talento perché scriveva testi incredibilmente maturi.
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Foto di Pierluigi Dessì |
In “De Arrùbiu” spicca la partecipazione di Enzo Avitabile con il quale hai inciso un brano per il suo ultimo disco “Lotto Infinito”…
L’incontro con Enzo risale a molti anni fa, forse venti o anche di più. Lavorando negli stessi ambiti ci siamo incontrati spesso per varie produzioni sia in Sardegna che fuori. Il suo ultimo album “Lotto Infinito” è un disco di incontri e durante le registrazioni mi ha chiesto di intervenire in un suo brano. Quando sono andata ad incidere la mia parte, gli ho detto che stavo lavorando anche io ad un disco e gli ho chiesto di restituirmi il favore e così è stato. Gli ho proposto due brani e lui ha scelto “De Arrùbiu” che sentiva a lui più vicina ed ha aggiunto la parte finale del testo. E’ una delle canzoni più forti del disco perché “arrùbiu” vuol dire rosso e rimanda al sangue, quello che ricopre le strade. E’ stata scritta ,sulla musica di Mauro Palmas (autore di buona parte delle musiche di Lantias), pensando ai morti che c’erano in Iraq, ma potrebbe rimandare anche alla situazione attuale della Siria o ad una delle capitali europee come Parigi o Londra.

E’ la stessa speranza di cui è intrisa la traccia che da il titolo al disco “Làntias”, una invocazione a Santi Efisio, Giocondo e Isidoro…
Sono santi legati fortemente alla Sardegna ed in particolare Sant’Isidoro è il patrono della campagna e dei contadini e rimanda ad una festa molto importante. “Lantìas” come “Nora” rimanda a questa atmosfera di festa, ma è una preghiera laica, come lo è “Torrandi”, il brano che chiude il disco ed è una richiesta di perdono ai nostri padri per quello che stiamo facendo alla Terra, intesa sia come mondo che come umanità.
“Cantendi a Deus” rivolgeva la sua attenzione al repertorio religioso. Quanto è importante per te questo contatto e questa dicotomia tra preghiera laica e l’aspetto liturgico, spirituale?
Non ero e non sono in crisi mistica, né sono una praticante, ma assolutamente rispettosa di tutte le religioni. Amo moltissimo la musica sacra perché è musicalmente ricchissima e perché ritengo che in questo momento ci sia una grande necessità di spiritualità tra noi. Stiamo vivendo momenti di odio e di violenza fortissima in qualsiasi campo, i social network istigano all’intolleranza e non riusciamo a fare niente per tornare indietro. Sento l’esigenza di dare qualcosa in più al pubblico. La musica popolare è molto affascinante e bella, e se ti fa pensare lo è ancor di più. Mi fa molto piacere quando, al termine di un concerto sacro, la gente mi ringrazia e mi rivela di essersi commossa. Non c’è bisogno di essere credenti per avere una spiritualità.
In “Làntias” compare anche il maestro Luigi Lai alle launeddas…
E’ stata una delle tante magie di questo disco. Inizialmente non era prevista la sua presenza, poi ad un certo punto in studio parlando con Michele ci siamo detti che questo era il brano perfetto per Luigi Lai. Lui, l’ho dichiarato mille volte, è un monumento non solo della musica sarda ma di quella mondiale, perché ha lasciato un segno profondo e quel brano necessitava delle sue launeddas.

Tra i brani più intensi del disco c’è “Cantu Luxis”…
In un’opera lirica, c’è l’interrogativo se nasca prima la musica o le parole. In quasi tutti i nostri brani viene prima la musica e poi Gabriela lavora sui testi. In questo caso la musica è firmata da Marcello Peghin. Ci abbiamo lavorato e io ho fatto le mie variazioni. Il brano è anche per me uno dei più belli, ma non voglio fare graduatorie perché i figli sono tutti uguali. Gabriela poi si è espressa in modo incredibile nel testo. Noi dovremmo vergognarci per quello che succede nel nostro mare. In Italia come in Sardegna o in Sicilia continuano gli sbarchi e noi ci facciamo il bagno senza sapere cosa sta galleggiano sotto di noi. Quando guardiamo queste persone che arrivano da noi, lo facciamo come se tutto questo succedesse sulla luna e non ci riguardasse più di tante. Poi senti, leggi e vedi le polemiche della gente, l’intolleranza. Io non dico che quello che sta accadendo non crei dei problemi, ma al contrario capisco come il mondo spinga da sotto, proprio come spingevamo noi quando siamo emigrati negli Stati Uniti o in Germania. La gente va dove pensa di stare un po’ meglio e noi guardiamo come spettatori. Ci siamo seduti e guardiamo. Recentemente facevo una riflessione su come negli anni Ottanta e Novanta ci fossero moltissimi festival che avevano nel loro nome la parola Mediterraneo.

“Beni” racconta la storia di una donna che cerca la figlia scomparsa…
“Beni” è ispirata al canto delle donne che lavoravano il torrone a Tonara, e che viene eseguito in una fase precisa della lavorazione perché ha un ritmo particolare. In verità, avremmo voluto scrivere questa cosa anche nel booklet ma quando ci abbiamo pensato, il disco era già in stampa. Con Simonetta Soro, fantastica cantante e grande amica presente in tutto l’album, l’abbiamo ripreso e magari in questa versione non gli somiglia nemmeno più esattamente, ma rimanda a quel canto ben preciso. Il brano è un crescendo incredibile di ritmi e vibrazioni grazie al bellissimo arrangiamento ritmico e ai suoni di Andrea Ruggeri. Avevo chiesto a Gabriela di scrivere un testo sul tema del femminicidio e lei ha immaginato di questa mamma che perde la ragione perché il suo dolore è molto forte per la perdita della figlia, il cui unico problema era la sua bellezza. Il brano si sviluppa da due punti di vista narrativi. Il primo è quello della mamma che aspetta che sua figlia rientri e ferma tutte le ragazze che, in qualche modo le somiglino, per raccontare loro la storia della sua grande perdita.

Di abbandono si parla in “Ojos azules”…
E’ un brano tradizionale andino che hanno cantato un po’ tutti, e a me piaceva molto l’arrangiamento che abbiamo realizzato per uno spettacolo sull’emigrazione che facemmo per Italiani in Sudamerica, così abbiamo deciso di inserirla nel disco. Stesse sensazioni per “Serenada”, un brano meraviglioso di Antonio Placer, grande compositore galiziano e mio caro amico, che ho cantato sempre con enorme piacere.
“Ses Andau” nasce da una musica firmata da Silvano Lobina…
“Ses Andau” riprende il tema della guerra. E’ la storia di un amore che muore nel senso letterale del termine perché i protagonisti del brano: due giovani, restano vittime di un attentato. C’è la ragazza che dice “sesa andau/ e ita arrogu est abarrau a mei/de cuddu mundu chi fias/imoi a mei”, “sei andato e ora quale pezzo rimane di quel mondo che eri?”.

“Ca sa terra est tunda” è una filastrocca…
Ha un ritmo zoppo, un tempo dispari trascinante. Anche questo brano è di Mauro Palmas, lui una ne pensa e cento ne fa. Gabriela ha scritto il testo che sembra una filastrocca per bambini ma che racchiude una riflessione profonda sulla consapevolezza del passaggio dell’uomo sulla terra. E’ bellissimo quando dice “ca sa terra est tunda no tenit nexit”, “la terra è tonda e non ha colpa”.
Nel disco spicca la partecipazione di Gabriele Mirabassi con il quale hai lavorato spesso…
Gabriele suona in “Làntias”, “Serenata” e “Cantus Luxis”, dove ha fatto uno dei soli più strazianti di tutto il disco nel quale lavora per sottrazione. Io e Gabriele ci conosciamo da molto tempo e insieme ci siamo ritrovati spesso sullo stesso palco oltre ad incidere “A volte ritornano” di Mauro Palmas. Quando capita l’occasione di esibirci insieme è uno dei piaceri più grandi che ho. Lui insieme a Luigi Lai è uno dei miei musicisti preferiti in assoluto. Non sempre si chiama una persona a suonare in un disco perché è un amico, ma quando si pensa che è il momento giusto.
Hai già avuto modo di suonare dal vivo i brani di “Làntias”?
Il disco è quasi totalmente inedito dal vivo, perché l’unico brano che abbiamo già suonato è “Torrandi” che chiude il disco.

Guardando in retrospettiva, quali sono le identità e le differenze tra “Làntias” e i dischi precedenti?
Nella mia carriera artistica ho fatto un percorso e non ho mai pensato di cambiare, né ho avuto l’esigenza di registrare un disco per cambiare il mio punto di vista musicale. Quando ho pubblicato “Cantendi a Deus” avrei potuto fare già allora “Làntias”. In quel momento avevo materiale per incidere tre dischi diversi e ho scelto di fare quello sacro perché erano passati trent’anni dal mio primo disco e volevo mettere un punto sul quel repertorio, registrando almeno una parte dei brani. Probabilmente la differenza tra “Incanti” e questo è che il mondo è cambiato. Sono passati venticinque anni da allora e non potrei registrarlo allo stesso modo. Negli anni Novanta eravamo diversi, era un altro mondo e avevo venticinque anni di meno. La realtà oggi è cambiata. Gli argomenti tra “Amargura” e questo non sono poi così differenti, quello che cambia è il modo in cui è stato realizzato. Tutte le cose, ma gli argomenti dieci anni fa già si somigliavano.
Concludendo, come si è evoluto il tuo approccio alla voce in questi anni…
Non lo so perché quando canto mi metto a disposizione di quel testo di quella musica. Ho certamente la mia personalità e il mio modo di cantare. Mi auguro che in ogni disco la mia voce sia migliore. “Amargura” è un disco cantato bene ma se lo incidessi oggi lo farei in modo differente, perché alcune cose le ho cantate già molte volte dal vivo. Nel mondo della musica succede il contrario fai prima il disco e poi lo spettacolo, quando dovrebbe essere esattamente il contrario. In verità il disco bisognerebbe farlo quando le canzoni sono state cantate già dal vivo, perché si trovano altre cose, perché vivono una loro vita. Solo in pochi casi c’è la magia della prima volta, ma con le canzoni è come per il vino, è meglio lasciarle decantare.
Elena Ledda – Làntias (S’ardmusic/JazzIn’Sardegna/Egea, 2018)

Salvatore Esposito