Artisti Vari – I Am Of Ireland: Yeats in Song (Merrow Records, 2021)

Figura complessa e contraddittoria, nondimeno centrale nel tessuto della vita culturale e politica dell’Irlanda, William Butler Yeats (1865-1939) visse un periodo di profonda trasformazione. Nato due anni prima dell'insurrezione feniana, fu testimone degli sconvolgimenti della Land War, dell’ascesa e caduta di Parnell, dell’insurrezione del 1916, della guerra d’indipendenza e di quella civile successiva alla nascita dello Stato Libero, di cui fu senatore e di cui assistette al difficile consolidamento. Yeats ha pubblicato un corpus poetico che vanta una lunga storia di adattamenti musicali. Scrisse poesia dai quindici ai settantacinque anni d’età, vagando liricamente tra antichità classica ed esotismo, abbandonandosi al misticismo, attingendo al suo vissuto e alle sue aspirazioni, al contesto politico del suo Paese, al folklore e alla mitologia celtica, alle ballate locali e al paesaggio della sua terra. In passato il mondo del rock e il circuito folk/tradizionale (non solo in Irlanda: si pensi all’album pubblicato da Angelo Branduardi, “Branduardi canta Yeats”, del 1986) ha attinto alle liriche del visionario poeta e drammaturgo, dublinese di nascita ma cresciuto nella contea di Sligo, nel nord-ovest isolano. D’altra parte lo stesso Yeats scrisse liriche per canzoni (qualcuna anche per detestabili committenti come le famigerate Blueshirts di Eoin O’Duffy) e desiderava ardentemente che la sua poesia fosse cantata. Qui, presentiamo “I am of Ireland. Yeats in Song”, un florilegio di ventiquattro canzoni, concepite a partire dalle sue poesie, messe in musica da Raymond Driver, disegnatore e illustratore statunitense, da sempre amante del poeta premio Nobel per la Letteratura, che per l’occasione si è cimentato nella composizione musicale di matrice folk & trad. In realtà, Driver aveva già messo mano ai componimenti di Yeats per l’album “Never Give All The Heart”, in cui la soprano americana Laura Whittenberger era accompagnata al pianoforte da Peyson Moss. Fondamentale per questo nuovo progetto è stata la collaborazione, in qualità di produttore esecutivo, del suo amico e autore Paul Marsteller, che si è dato da fare per radunare un parterre d’eccezione di trentadue cantanti e strumentisti del mondo folk irlandese, irlandese-americano e britannico, a partire dall’indaffaratissimo polistrumentista Seamie O’Dowd (violino, chitarre, percussioni, bouzouki, mandolino, banjo, armonica, piano e controcanti), protagonista di sei tracce della raccolta. Non poteva che essere “I am of Ireland”, brano dal portamento danzante, a siglare l’apertura dell’album, cantato da par suo da Cathy Jordan, lead singer dei Dervish. L’artista, lei stessa nativa di Sligo, è interpreta anche di “Faery Song” in cui suona Kevin Burke, gran signore dell’archetto. Un altro nome di punta è senz’altro il Solas John Doyle, chitarra e voce solista in “He Wishes For The Cloths Of Heaven”, mentre insieme al Lúnasa Cillian Vallely (uilleann pipes e low whistle) è il cantore delle due poesie di segno nazionalista “An Irish Airman Foresees His Death” e “September 1913”. Nel progetto sono entrati anche altri due membri dei Lúnasa, il bassista Trevor Hutchinson e il violinista Colin Farrell, i quali con Vallely cingono la voce di Dave Curley (“He tells of the Perfect Beuaty”); quest’ultimo si produce in uno splendido solo, accompagnandosi alla chitarra tenore in “Never Give All The Heart”. Il violino e il whistle di Farrel fanno squadra anche con l’arpa di Cormac De Barra e il canto dell’americano del Kansas Ashley Davis ne “The Pity of Love”. Non potevano mancare alcuni classici folk del repertorio poetico di Yeats: “The Lake Isle of Innisfree”, cantata dalla mannese Christine Collister, accompagnata dal violino di Joel Zifkin, dal Gabriel Rhodes e dal whistle di David Gossage. Il timbro caldo e profondo della Collister ritorna anche in “The Two Trees”, dove ritroviamo il violino del maestro Burke e le corde (chitarra e basso) di Cal Scott, e in “The Mask”, pezzo in cui Rhodes e Danny Levin costruiscono un intrigante arrangiamento d’archi per sottolineare il breve componimento yeatsiano. La bellezza duratura ricercata in un mondo di cambiamenti è espressa nella poesia “The Wild Swans at Coole”, resa dal folk-rocker nordirlandese Fergal McAloon, con il corregionale Niall Hanna alla chitarra. Conosciuto da Martseller dai suoi video con i Whistlin’ Donkeys su YouTube. Alla versione intima di “The Wild Swans at Coole” fa da contraltare il lesto incedere di “The Ballad of the Foxhunter”, in cui troviamo un organico più ampio, con l’apparato di cordofoni portato da O’Dowd e le uilleann pipes di Leonard Barry, fine solista del Kerry. Il cantante McAllon interpreta anche “When You are Old” (Mick O’Brien è alle pipes e Hanna alla chitarra), una delle prime grandi liriche di Yeats e la malinconica “He tells of a Valley of Lovers” (con Seamie O’Dowd a chitarra, violino e mandolino e suo figlio Stephen alla cornamusa irlandese). Un altro capo d’opera è “The Song of Wandering Aengus”, che è affidato ancora al onemanband O’Dowd, il quale esegue anche in forma di jig il brano di chiusura, il celebre “The Fiddler of Dooney”, testamento musicale di un fiddler che si immagina di ricevere il riconoscimento per la sua arte davanti a San Pietro. Tra i non irlandesi coinvolti spicca Jackie Oates, impegnata magistralmente in tre brani. Il primo è la briosa canzone “Brown Penny”, in cui un giovane – forse lo stesso Yeats – lancia una moneta per vedere se è abbastanza grande per amare. C’è poi il valzer con cui è trattata “The White Birds”, altra poesia ispirata dall’amore non corrisposto per l’attrice e patriota Maude Gonne e caratterizzata da grande musicalità e senso ritmico nella versificazione: qui, la musicista inglese è con tre campioni: John Spiers (organetto), Natalie Haas (violoncello) e Jack Rutter (bouzouki). In veste di solista (voce e violino) Oates propone, invece, la toccante ninnananna “The Cradle Song”. Altre voci femminili che riempiono il cuore sono Eleanor Shanley (“The Falling of the Leaves”) e, soprattutto, Bríd O’Riordan, che mostra il proprio fresco estro canoro in “Ephemera”, brano prodotto da una delle personalità più influenti del sound engeneering irlandese, Philip Begley, e suonato in compagnia di Mick O’Brien al low whistle. Il contrasto tra un’Irlanda idealizzata e il mondo reale traspare dalla poesia “The Lover Tells of the Rose in his Heart”, in cui interviene un altro membro fondatore dei Solas, Mick McAuley (voce, chitarre, tin e low whistle, organetto), interprete anche di “The Folly of Being Comforted”, eseguito con la violinista newyorkese Dana Lyn. Qualcuno dirà che nell’elenco manca un altro classicone folk come “Down to the Salley Gardens” o magari altri celebri componimenti di Yeats. Però, si può ben dire che i sessantanove minuti di “I am of Ireland” – davvero difficile trovare album che durino tanto di questi tempi – non mostrano cedimenti e sono da ascoltare nell’interezza. Il doveroso tributo alla poetica del letterato irlandese è stato pubblicato in formato digitale, però, su richiesta, è disponibile anche il CD. Nel sito web, trovate i testi e le note che accompagnano le tracce (https://yeatsinsong.com). 


Ciro De Rosa

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