Non è nuovo a queste pagine Ian Brennan, musicista e produttore che ha avuto riconoscimenti importanti in ambito discografico: le collaborazioni con Ramblin' Jack Elliott's nel 2006 e quella con Peter Case nel 2007 sono state candidate ai Grammy Award for Best Traditional Folk Album, l’album “Zomba Prison Project” è stato candidato al Grammy Award for Best World Music Album, premio che ha vinto nel 2011 per il disco “Tassili” dei Tinariwen. In ognuno di questi lavori è evidente la sua abilità nell’evitare le sofisticazioni a favore del catturare dal vivo un momento musicale unico. Condivide questa passione con la fotografa e regista Marilena Umuhoza Delli con cui ha viaggiato attraverso i continenti dando vita ad incontri con musiciste e musicisti cercando, per quanto possibile, di coglierne i repertori nel contesto delle specifiche ecologie acustiche in cui prendono vita quotidianamente. Da un lato, il loro lavoro offre straordinarie opportunità di aprire l’ascolto a generi e gamme timbriche cui non siamo abituati; dall’altro, è un invito a evitare di dover incasellare la musica nei generi cari al marketing discografico, così come a mettere in discussione un’idea museale di etnomusicologia e soprattutto la tentazione del pensare che la musica debba riflettere i valori di una società: per questo i loro lavori prediligono artisti “outsider”, difficili da classificare. Entrambi sono anche a loro agio con la scrittura: gli ultimi libri in italiano di Marilena Umuhoza Delli sono “Lettera di una madre afrodiscendente alla scuola italiana” e “Pizza Mussolini”, che integra il percorso autobiografico di “Negretta: baci razzisti” e “Razzismo all'italiana”. Brennan è autore di sette libri in inglese, due sulla rabbia, “Anger Antidotes” (2011) e “Hate-less” (2014); un romanzo, “Sister Maple Syrup Eyes” (2015); e tre sulla musica, soprattutto sulle musiche silenziate dai meccanismi di produzione e distribuzione: “How Music Dies [or Lives]” (2016), “Silenced by Sound: the Music Meritocracy Myth” (2019) e “Muse-Sick: a music manifesto in fifty-nine notes (2021)”. In “Missing! Music; Voices from Where the Dirt Roads End” propongono personali cartografie sonore, “road maps”, ripercorrendo sedici
incontri musicali che hanno generato altrettanti lavori discografici. Abbiamo chiesto a Ian Brennan e Marilena Umuhoza Delli di introdurci attraverso una doppia intervista a queste imperdibili narrazioni testuali e fotografiche, in bianco e nero. Le prime nove domande sono per Ian Brennan; sono seguite da tre domande a Marilena Umuhoza Delli.
Che relazione hai con la scrittura?
È qualcosa su cui bisogna lavorare quotidianamente ed è quello che ho fatto fin dalla mia prima adolescenza. La specificità è tutto, è il paradosso dell'universale cui si arriva attraverso il personale. Scrivere è, in definitiva, riscrivere.
Il tuo nuovo libro presenta sedici narrazioni di produzioni musicali che mirano a "cancellare coloro che per troppo tempo sono stati resi invisibili": come e in che misura stai raggiungendo il suo obiettivo? Cosa intendete quando scrivete che il vostro "obiettivo rimane l'impressione"?
I nostri obiettivi sono modesti. Ci troviamo di fronte a un'industria mediatica multimiliardaria il cui monopolio diventa ogni giorno più potente. Quando parlo di impressioni, significa che il lavoro non è accademico e si concentra sulla poetica e sull'evocazione, invece di cercare di essere autorevole. Non cerco mai di essere definitivo o di "conservare" qualcosa, ma di mettere in evidenza individui che possiedono voci altamente idiosincratiche.
Hai pubblicato oltre 40 album con varie etichette: cosa ha fatto sì che le diverse registrazioni si adattassero alle diverse etichette? Quali album hai in programma di pubblicare nel prossimo futuro?
Sono poche le etichette interessate e capaci di pubblicare musica non commerciale, soprattutto in lingue diverse dall'inglese o dallo spagnolo. Molte delle etichette con cui abbiamo lavorato hanno cessato o ridotto drasticamente le operazioni a causa delle terribili realtà finanziarie dell'era dello streaming, che rendono quasi impossibile non perdere denaro, per non parlare dell’andare in pareggio o fare profitti con quel che si pubblica. Abbiamo avuto la fortuna di avere molti partner, nel corso degli anni, che pubblicano musica per amore. Abbiamo l'album “Rohingya Refugees” in uscita ad aprile e l'album “Bhutan Balladeers” in uscita con Glitterbeat a giugno.
Ci sono persone e luoghi citati nel libro in cui vorreste tornare e avere l'opportunità di registrare altra musica?
Registriamo solo secondi album o oltre quando sentiamo che c'è qualcosa di nuovo da offrire che lo giustifica. The Good Ones - con cui collaboriamo dal 2009 - ne sono un esempio: ogni disco offre qualcosa di più e di vitale oltre alle bellissime armonie e canzoni che ci hanno già offerto.
Come avete sviluppato "Sei semplici pratiche quotidiane per recuperare il vostro ambiente immediato" con cui si chiude il libro? Stai progettando altre pratiche simili?
Cerco di imparare continuamente dalle esperienze e spero di migliorare come persona e artista. La pratica consiste nel rimanere attenti e nel dubitare delle proprie capacità, indipendentemente dalla quantità di esperienza passata. La disponibilità ad ammettere quando si sbaglia o non si sa qualcosa è tutt'altro che una mancanza, ma una necessità per la crescita personale. Per quanto riguarda l'insegnamento, il mio obiettivo è sempre l'utilità: si tratta di cose semplici che possono essere facilmente attuate, ma che spesso hanno un impatto positivo enorme.
In che modo il lavoro di Dame Evelyn Glennie, che ha scritto la prefazione, dialoga con il suo lavoro?
È una delle più grandi musiciste soliste del nostro tempo. La sua abilità e il suo impegno nell'ascolto sono fonte di ispirazione. Il prossimo album di improvvisazione che abbiamo realizzato insieme al poeta Raymond Antrobus è straordinario. È stato registrato tutto in un giorno, con singole riprese e senza prove o demo.
Questo è il tuo quarto libro sulla musica: che rapporto hanno tra loro?
I libri sono tutti pensati per essere parte di un disegno più ampio. Il nuovo libro, “Missing! Music”, si concentra sugli aspetti narrativi piuttosto che sul materiale puramente didattico.
Qual è la tua opinione sul feedback che hai ricevuto sui tuoi libri e sulla tua scrittura sui media? E del feedback che ricevono i musicisti quando viaggiano e si esibiscono all'estero?
Tutte le opinioni dovrebbero essere ascoltate. Ma, in genere, sono gli schemi ad essere più eloquenti rispetto alle singole opinioni o alle idee isolate. Per la maggior parte dei musicisti con cui lavoriamo, gli album rappresentano la prima opportunità di lasciare il proprio Paese. Per The Good Ones e i Malawi Mouse Boys questo ha significato poter viaggiare in America, Europa e Australia. Tuttavia, le opportunità rimangono tristemente limitate e le band continuano a lottare economicamente.
Che rapporto prevedi da parte del music business con le "missing musics" nel futuro prossimo e remoto? Quale sarebbe un bel futuro?
Un bel futuro sarebbe quello in cui si celebrasse la vera diversità: tutte le regioni, le lingue più disparate, le età, gli stili, ecc. Ma ci sono pochissimi segnali che ciò stia accadendo. Non dobbiamo lasciarci ingannare da misure superficiali. Per esempio, ai razzisti è sempre piaciuta o addirittura hanno copiato la
musica nera. Quindi, la popolarità non è certo una misura del progresso culturale, politico o emotivo. Michael Jackson è stato l'artista più venduto di tutti i tempi a partire dagli anni '80, ma abbiamo visto pochi miglioramenti a livello globale nell'eliminazione delle disuguaglianze.
L'obiettivo è una costante tolleranza delle differenze e la ricerca di ciò che è "estraneo" o nuovo alla nostra esperienza. Nonostante l'opportunità di ascoltare più voci che mai, i media sono riusciti come mai prima d’ora a concentrarsi su poche e selezionate "superstar". Il suono della musica popolare è diventato sempre più omogeneo, ma gli elementi visivi che lo accompagnano lo mascherano dando l'impressione di varietà, cambiamento o ribellione. Nel frattempo, il 90% dell'attività di streaming a livello globale riguarda l'1% degli artisti. Alla fine, sono gli ascoltatori a essere ingannati da questo dominio mercificato del suono.
Tre domande a Marilena Umuhoza Delli.
Come hai selezionato le foto incluse in Missing Music?
Ognuna di esse è stata scattata durante le sessioni di registrazione e rispecchia la realizzazione di un disco in tempo reale. Una delle mie preferite in assoluto è la foto di Sargiz, una donna di 103 anni, che canticchia una canzone seduta sul suo letto. Ricordo distintamente il suono del fuoco che scoppiettava nella stufa, la stanza riempita dal calore del fuoco mentre fuori la neve copriva tutto. Credo che questa foto rifletta l'immobilità che tutti abbiamo percepito in quella stanza. Sembrava che il tempo si fosse fermato.
C'è un collegamento tra una o più foto e uno specifico brano musicale?
La maggior parte delle foto che scatto hanno come protagonista un artista che canta o suona uno strumento piuttosto che qualcuno in posa: il collegamento tra foto e brani musicali è totale. Kenneth, uno dei musicisti che hanno partecipato al disco "Saramaccan Sound (Suriname)", è ritratto nel bel mezzo di una canzone scaturita dal periodo in cui ha perso il suo villaggio a causa delle inondazioni - i suoi occhi sono chiusi mentre si piega all'indietro urlando note di dolore.
Qual è il tuo approccio a questi progetti musicali? Il tuo modo di lavorare è cambiato nel corso degli anni e/o in base a contesti specifici?
Mi avvicino a ogni progetto con il cuore aperto al nuovo, abbandonandomi all'ambiente che incontrerò con amore e desiderio di imparare e crescere. Il mio lavoro orbita intorno alla preziosa attività di registrazione di Ian e cerca di catturarla dal vivo, per rendere la stessa sensazione e l'unicità del momento. Poiché lavoriamo con artisti sottorappresentati, per lo più provenienti da zone rurali ed economicamente svantaggiate, sento una responsabilità ancora maggiore: voglio mostrare il loro talento, il loro potere e la loro dignità, perché la decolonizzazione può iniziare anche da uno scatto fotografico. Dobbiamo educare il nostro sguardo e le nostre orecchie, decostruendo gli stereotipi e valorizzando ogni voce. Il mio lavoro e quello di Ian, insieme, cercano di fare questo: fornire una piattaforma per far sì che chi è troppo spesso trascurato venga visto e chi non viene ascoltato venga ascoltato.
Ian Brennan, Missing! Music. Voices from Where the Dirt Roads End, PM Press 2024, pp. 168, $ 15, 95
In “Missing! Music” Ian Brennan e Marilena Umuhoza Delli propongono personali cartografie sonore, “road maps”, ripercorrendo sedici incontri musicali che hanno generato altrettanti lavori discografici. Una dedica speciale e autobiografica riguarda la sorella di Ian Brennan, al dono del crescere con una persona cara “intellettualmente limitata e spiritualmente superiore”. Il volume è introdotto da Umuhoza Delli e prefato da uno scritto dalla percussionista e compositrice scozzese Dame Evelyn Glennie. La mappa prende le mosse e si conclude (per ora) in Africa con due incontri già condivisi con i lettori di Blogfoolk: si apre pensando al decesso di un musicista, Mbabila “Small” Batoh, protagonista con il suo liuto a due corde delle musiche funebri di tutto il nord rurale del Ghana con il trio fra fra. L’ultima tappa passa per il Rwanda, la terra natale della madre di Marilena Umuhoza Delli e dei The Good Ones in occasione della registrazione (nel periodo segnato dal Covid) del loro quarto lavoro discografico. Per Ian Brennan, The Good Ones sono l’equivalente contemporaneo di Nick Drake, mentre, invece, il gruppo viene costantemente relegato genericamente fra le uscite di "world music", scambiando gli elementi acustici della loro musica per "tradizionali" e mettendo in ombra l’originalità delle loro canzoni, altamente personali. Come tentare “di affermare che Elliott Smith, Joni Mitchell o Leonard Cohen siano artisti tradizionali solo perché hanno un sound acustico”. In mezzo si fa tappa in Botswana fra i Taa e nell’isola Grande Comore nell’Oceano Indiano, dove la possibilità di far suonare all’estero il duo Comorians - protagonisti di un album della collana Glitterbeat Hidden Musics - è dovuta passare per le forche caudine di sessantasei pagine di visti e documentazione allegata. Gli Ancestor Sounds strappati all’Africa, sono rintracciati dagli autori tanto negli Stati Uniti, di Africatown in Alabama, e della Parchman Prison nel Mississippi, così come nel Sudamerica dei Saramaccan, nel Suriname. Attenzione particolare viene prestata alle voci delle persone anziane, con alcune perle: Yanna Momina, la cantante AfarAfar purtroppo deceduta l’anno scorso nella sua Gibuti e alcune delle voci più anziane in assoluto al mondo, registrate in Azerbaijan. Recentemente, Ponderosa aveva raccolto anche l’intuizione di Brennan del registrare la magistrale voce di Sainkho Namtchylak (Tuva) in dialogo con le diverse acque di Venezia, marine e di laguna. Ma il libro contiene altre sei tappe di cui ancora non avevamo dato conto in queste pagine, dedicate ai rifugiati Rohingya, alle ballate del Buthan, alle lacrime del Kashmir, a São Tomé dove gli antenati seppero nuotare fino a riva, agli inni Himba in Namibia. Una dedica speciale e autobiografica riguarda la sorella di Ian Brennan, al dono del crescere con una persona cara “intellettualmente limitata e spiritualmente superiore”
Alessio Surian