Sainkho Namtchylak – Where Water Meets Water: Bird Songs & Lullabies (Ponderosa, 2023)

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La voce di Sainkho Namtchylak si leva alta e sicura mentre intona le prime note di questo secondo lavoro realizzato in collaborazione con Ian Brennan. Il suo repertorio ha a disposizione varie lingue (quella madre di Tuva, il russo, l’inglese, il tedesco), ma qui la voce sceglie di essere “nuda”, scevra da parole e versi e cantata a cappella. Meno di un minuto più tardi, la stessa voce si trasforma in soffio, esile tentativo di comunicare una posizione quasi soffocato dal ritmo ostinato prodotto da metallofoni che si prendono tutta la parte centrale del brano, quasi fossero flutti in grado di silenziare il canto che, però, pur indebolito, riemerge per un attimo nel finale. Il titolo di questo secondo brano, “Search and rescue”, rimanda all’esperienza vissuta da Sainkho Namtchylak e Ian Brennan, sorpresi dagli elicotteri di una missione di ricerca e salvataggio di un gruppo di nuotatori in difficoltà al largo dell’Adriatico mentre registravano nell’area del forte di Sant'Andrea.  Le sette tracce dell’album sono, infatti, un’esplorazione della laguna di Venezia, del luogo dove “l’acqua incontra l’acqua” e, quindi, delle sue isole, metafore della modernità che crea invisibilità: quelle dove imporre la quarantena o stabilire sanatori i cui rinchiudere matti ed appestati, oggetto di racconti sugli “spiriti” che ancor oggi esprimerebbero l’inquietudine di chi è stato messo ai margini, punito, sorvegliato. Isole come Poveglia, in dismissione da parte del demanio e tutt’ora contese fra chi le vede come “bene comune” e chi preme per privatizzarle come è già avvenuto per parte dell’arcipelago. 
Il titolo del primo brano, “Inside Asylum”, e le sorde percussioni che fanno da eco e sgrammaticato contrappunto alla voce della cantante ben trasmettono queste tensioni. E sono solo il preludio: sia nella durata (il secondo, terzo e quarto brano moltiplicano per tre il minutaggio del precedente passando da tre a sei a quasi diciotto minuti); sia perché affrontano, con malinconica dolcezza, due temi di scottante attualità quanto ad ingiustizie sociali ed ambientali: migrazioni e crisi climatica. “Migration Trails” introduce la chitarra a tessere una trama sonora di bordoni intorno alle evocative melodie vocali che verso metà bano vengono raggiunte dal canto di stormi di uccelli, a sottolineare l’immanenza della dimensione della migrazione e lascia proprio agli uccelli della laguna le ultime battute. La nuda voce riprende la sua narrazione senza versi in apertura di “Rising Tides”ve qui il rimando alle ninne nanne incluso nel titolo dell’album appare evidente, ad affrontare i guasti ambientali cercando una tonica in grado di curare l’ansia di fronte ai pericoli incombenti; tonica amplificata da una corda di basso che scandisce, quasi fosse una percussione, un rituale meditativo. 
L’acqua irrompe negli ultimi brani, con lo sciabordio che in “At Piers Edge” su cui Sainkho Namtchylak improvvisa variazioni che sembrano prendere spunto da “Stanote m’ho insognà”, per poi lasciare spazio ad un breve momento dolente (“Reverse Healing”) in cui Ian Brennan interseca alla voce di Sainkho Namtchylak armonici sollecitati alle corde con l’aiuto di un archetto, preludio al potente utilizzo del canto difonico nel conclusivo “Singing to the Sea”. L’album è stato registrato in presa diretta e senza l’utilizzo di sovraincisioni, quasi a leggere, come fosse uno spartito laguna di Venezia: “Le persone spesso non si rendono conto di quando grande sia e di quante isole abbandonate la compongano.” – ha commentato Ian Brennan - “Questa città si compone di una storia dai numerosi strati, una moltitudine di persone che cercano come sopravvivere". Una battaglia metaforica che continua anche oggi, in una dimensione in cui, a causa del turismo di massa, la maggioranza dei residenti si è dovuta spostare e la popolazione è diminuita al punto tale che addirittura lo stesso centro della città ha subito un grande abbandono. 


Alessio Surian

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