Artisti Vari – Africatown, AL, Ancestor Sounds (Free Dirt Records, 2024)

Sud degli Stati Uniti, Alabama. Se osservate la sua mappa rettangolare, proprio in basso a ovest, lambita dal Golfo del Messico, è rintracciabile la seconda città dello stato, Mobile. Cinque chilometri a nord del suo centro storico c’è Africatown: un quartiere di circa 2000 abitanti, cento di loro discendenti di chi venne sbarcato dalla goletta Clotilda, l'ultima nave negriera statunitense che portò persone rese schiave dall'Africa agli Stati Uniti. Attraccò a Mobile Bay nell'autunno del 1859 (o, secondo un’altra versione, il 9 luglio 1860) con il suo carico di persone africane deportate: centodieci uomini, donne e bambini. Dal 2009, il quartiere è stato designato fra i siti del Mobile's African American Heritage Trail e è stato inserito nel Registro nazionale dei luoghi storici nel 2012. “Africatown, AL, Ancestor Sounds” è stato registrato qui dal produttore Ian Brennan. A far germogliare l’idea fu l’insegna di un negozio di barbiere dipinta a mano che recitava “Alabama Barbershop” che catturò la sua attenzione durante uno dei suoi viaggi nelle zone rurali del Ghana settentrionale: un segno che rimandava alla memoria della schiavitù attraverso l’Atlantico. Successivamente, a Mobile, un musicista blues fece conoscere a Brennan il kologo, uno strumento tradizionale del Ghana settentrionale, un nuovo ponte, questa volta sonoro, fra Africatown e le sue origini in Africa occidentale. Se la maggior parte dei progetti di Brennan prendono forma con Glitterbeat, Six Degrees e Toy Gun Murder, queste registrazioni in Alabama hanno preso forma in collaborazione con Free Dirt Records, etichetta indipendente fondata nel 2006 da John Smith e Erica Haskell e dedicata al folk. Solo un terzo delle diciotto tracce sono fra i due e i quattro minute, le altre hanno tutta durata inferiore, sei sotto il minuto. È proprio il kologo, abbinato ad una voce maschile profonda che canta sottovoce un blues, ad aprire l’album con “Run, If You Can (Don't Go Down that Road)”. A volte ad essere protagonista è la voce, per esempio nel rap “Africatown in their Face”; altrove, compaiono il pianoforte acustico, nella ballad “Do You Hear Me Now”, o il sax, nella breve narrazione “Black Part of Town”; mentre nei brani centrati su una voce narrante vengono campionati a suoni ambientali percussivi o, nel caso di “Lead Me Home”, la voce solista e il coro vengono parzialmente filtrate. L’insieme delle registrazioni è inteso come una mappa, “un documento impressionistico, piuttosto che una precisa narrazione storica”. Come per i precedenti lavori che documentano artisti e comunità ben lontani dai circuiti discografici, la parte visuale è stata curata da Marilena Umuhoza Delli e tutte le registrazioni sono state realizzate a Africatown, senza prevedere ripetizioni. Brennan sottolinea come l’averle effettuate all'aperto catturi anche i suoni industriali, veicolandoli l’invadenza e il senso di minaccia che attraversa la vita quotidiana delle persone, sorta di documento del “razzismo ambientale che affligge la comunità", anche quando è intersecato al canto degli uccelli, e che si ascolta esplicitamente in brani come “Illegal factory” e “Graveyard Shift Emissions”. Non conosciamo i nomi di musicisti e cantanti: è una scelta che è stata presa per dare all’intero lavoro il senso di una storia raccontata collettivamente e che, a volte, rimanda esplicitamente ai momenti sociali e religiosi, come nella preghiera cantata a cappella da una voce femminile “Kept Me”. Il senso generale del lavoro è quello di frammenti capaci di brillare ognuno per conto proprio, con voci e colori diversi, che vanno a comporre un più ampio spazio sonoro, una narrazione collettiva che cerca il senso di questa memoria oltreoceano, un processo in evidenza nelle note del lamellofono che guida “Reconstructed Memory”. Il ricavato dalle vendite dell’album va a beneficio di Africatown Drummers, LLC e di altre organizzazioni locali. africatown.bandcamp.com/album/ancestor-sounds 


Alessio Surian

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