I'm thinking about eternitySome kind of ecstasy got a hold on me
Capita spesso, quando si va a vedere un mito, un gigante della musica (e Bruce Cockburn lo è) di andar via dalla sala con la sensazione di aver reso omaggio a un simulacro, un vecchio artista che mantiene il ricordo dei fasti di un’antica grandezza, ma che ora è ridotto a recitare sé stesso per nutrire il proprio ego o per accumulare denaro per rimpinguare il proprio già pingue conto in banca o peggio per racimolare qualche spicciolo per stare a galla.
Il concerto di Cockburn è stato il contrario di questo: “Un uomo che ha ancora voglia di emozionare e emozionarsi” come ha detto Maurizio Mazzotti, presentatore della serata e portavoce dell’ADMR, storica, coraggiosa associazione di Chiari, nel bresciano, organizzatrice del tour italiano (e da meno tempo creatrice di una webradio di rango, ADMR Rock Web Radio), nonostante le 79 primavere sulle spalle e una brutta forma di artrite che lo costringe a muoversi con le stampelle. Oltre novanta minuti di show, una lectio magistralis di musica americana, dal blues al ragtime, all’arte della canzone, alle composizioni per
chitarra (la sontuosa “End of all Rivers” dall’album strumentale “Speechless”, eseguita a fine concerto, è uno dei capolavori della letteratura chitarristica di inizio millennio) che hanno tenuto i quasi 300 spettatori della Sala Studio dell’Auditorium romano inchiodati alle scomode poltroncine in un crescendo di emozioni, confortati da un audio eccellente e da una performance di primo livello.
Preceduto dalla breve ma assolutamente decorosa performance dell’italianissimo James Meadow, armato di chitarra resofonica, della fida Manzer verde, e di un chitarrino a 10 corde (un charango ?), il cantautore canadese si è esibito in un repertorio che ha pescato in egual misura dagli ultimi dischi, con ben sette tracce dagli ultimi recenti “O Sun O Moon” (tra cui la splendida "On a Roll") e “Bone on Bone”, e dai storici dischi degli anni ’70, con belle versioni dei tre grandi classici “Blues Got The World”, “All the Diamonds in The World” e “Lord of The Starfields”, fino alle perle pop degli anni ’80 "How I Spent My Fall In Vacation", “Wondering Where the Lions are” e “Lovers in a Dangerous
Time”, per passare al lamento e all’invettiva ambientalista di “Strange Waters” e “If a Tree Falls”, quest’ultima completamente ri-arrangiata rispetto alla versione originale. Infine gli strumentali, la già citata “End of All Rivers”, “Bone on Bone” e il rag di “Sweetness and Light”, dove dimostra che l’età e le condizioni fisiche non eccellenti (che lo hanno costretto, come dirà nel bis scusandosi per non riuscire ad eseguire “Pacing the Cage”, a re-inventarsi le parti di chitarra) non hanno comunque intaccato creatività, tecnica e tocco, doti che ne hanno fatto un punto di riferimento per i chitarristi acustici di diverse generazioni. Il momento più emozionante dello show è stata l’esecuzione di una rarefatta “Bone in My Ear” accompagnato dal charango filtrato attraverso una pedaliera.
Un concerto eccellente di un musicista leggendario: brillante autore, ineccepibile strumentista e cantante ancora oggi straordinario; nei cinquantacinque anni di carriera, costellati da oltre trenta album, ha spaziato fra diversi generi e sonorità, forse non raggiungendo lo status di star che avrebbe meritato, ma assicurandosi sicuramente un posto fra i grandissimi.
Gianluca Dessì
Foto e video di Salvatore Esposito
Tags:
I Luoghi della Musica