Emanuele Arciuli, viaggio nella musica americana (parte seconda)

Ogni compositore è un “mondo” musicale
Nelle prime pagine del libro, è riportata una cartina geografica, nella quale sono stati segnati gli Stati interessati dall’itinerario musicale, molti dei quali sono concentrati nel Nord America (dal Massachusetts al Montana) e, in parte, nel Sud-Est (grosso modo, dalla California all’Arkansas).
L’ascolto della musica contemporanea è spesso ostico, poiché è scevro da quell’immediatezza auditiva tipica della musica tonale. Richiede spesso un minimo di preparazione che inviti anche a un rinnovato modo di ascoltare lo scibile sonoro e di analizzare le forme organizzate del pensiero musicale, di volta in volta proposte dai differenti compositori. Ogni compositore è un mondo a sé. Arciuli scrive quasi sempre di esperienze personali, disseminando, di passaggio, utili informazioni, riflessioni e tematiche di carattere generale quali, ad esempio, gli aspetti critici della “cancel cultur”, del conformismo, del “politically correct”. Oppure evidenziando il rispetto delle culture autoctone, l’integrazione fra le culture, il colonialismo culturale, la dimensione delle megalopoli al confronto di realtà isolate ma ricche musicalmente, la fruizione della musica, il “kitsch” e l’invenzione di un passato inesistente. Altri temi riguardano l’ibridazione stilistica, la capacità di comunicare, il rapporto con il pubblico, il modo di ascoltare tipico americano, le contraddizioni sociali, i luoghi della musica inclusi quelli letterari, un tempo riferibili anche a “book store”, oggi per lo più chiusi a seguito della massiccia diffusione della digitalizzazione. 
In “American Music of Twentieth Century”, Kyle Gann ha osservato che «la musica americana è un insieme di galassie, ma di solito se ne racconta una parte minuscola. La lettura canonica tende a iscriverla nella più generale vicenda occidentale e dunque essa rimane impigliata nella musica dell’Europa. Ma se invece ci addentriamo nella produzione d’oltreoceano restituendole centralità, recidendo il cordone ombelicale con il Vecchio mondo, cogliamo una larghezza di orizzonti, di linguaggi, di approcci, che rimandano ulteriormente a vernacoli e culture minoritarie». Pur tra numerose contraddizioni e con le dovute cautele, vi è sempre più la tendenza a valorizzare il presente. Da numerosi cittadini americani la musica classica viene percepita “come morta”. Per coloro che intendono seguire questo filone espressivo-musicale, arricchendolo di criteri compositivi moderni e avanguardistici, la strada è in salita. Non è musica contemporanea tipo “jazz, pop, rock, fusion, world, bluegrass o rap” (…) che, in America e nel resto del mondo, ha riscosso e riscuote successo, alimentata (e fortemente sostenuta) dall’industria discografica e multimediale. Tuttavia le ibridazioni sono numerose anche nella musica contemporanea oggetto di trattazione da parte di Arciuli, tanto che viene da chiedersi se debba essere catalogata come musica tipica americana o musica figlia del mondo. È una domanda che sorge spontanea, dopo aver confrontato i diversi stili e i generi musicali che risentono di una continua ricerca, tesa al confronto con le realtà musicali e ambientali più disparate, secondo approcci compositivi estremamente liberi, se paragonati a quelli più convenzionali di alcuni autori europei. Tuttavia, vi è da evidenziare, che proprio grazie all’ibridazione e alla contaminazione tra generi e stili, sin dagli anni Settanta, diversi compositori americani hanno cercato di dare valore all’immediatezza comunicativa, pur senza rinunciare alla profondità del pensiero musicale. In generale, la critica convenzionale e stereotipata verso certa musica “contemporanea” è nota (ormai, da almeno un secolo). Per molti, risulta troppo dissonante. Disorienta l’ascoltatore, essendo troppo slegata dalla cultura musicale tradizionale, inoltre è poco fruibile nel contesto della vita societaria. Certi modi di approcciarsi alla composizione musicale sono radicali, nichilisti e solipsisti, talvolta auto-isolanti, in quanto non strutturati per avere un’ampia diffusione a livello di massa e men che meno per assecondare le imperanti logiche produttive globaliste.  Per meglio comprendere come sia articolato il mondo musicale contemporaneo, pare utile tener conto del contesto generale, nel quale è riscontrabile, a vari livelli (non solo nella musica), la crisi e la pletora dei linguaggi, all’interno di sistemi dove predomina la tendenza a massificare e a omologare, a etichettare acriticamente in modo duale (buona-cattiva, ascoltabile-inascoltabile, tonale-atonale, colta-popolare ecc.).  Come evidenziato da più parti, la musica americana “è giovane e immatura” ma, come ha ben sottolineato Arciuli, pregiudizi a parte, «l’America è davvero un altro mondo … capirla è difficile e forse impossibile per chi non ci viva o non sia nato lì».   

Ogni compositore un pensiero musicale
“Viaggio in America” è un testo suddiviso in pochi capitoli, ognuno dei quali riferito a omogenee aree geografiche degli “States”.  Punto di partenza per Arciuli è stato il “Festival Music X”, che ha iniziato a frequentare, come esecutore e docente (“coach”), nel 1998. Casualmente, qualche tempo prima, a Bari, aveva conosciuto il pianista e compositore Joel Hoffman che di quel Festival è uno dei principali promotori. Gradualmente, è potuto entrare in contatto con numerosi compositori ed esecutori americani, approfondendo i diversi stili e le diverse realtà. In questo contesto, si è concretizzata l’idea di realizzare le “Round Midnight Variations” (2001), sul noto tema di Thelonius Monk, alle quali hanno partecipato parecchi compositori americani e italiani, quali Frederic Rzewski, Roberto Andreoni, Joel Hoffman, Matthew Quayle, Aaron Jay Kernis, Augusta Read Thomas, Alberto Barbero, Milton Babbitt, George e David Crumb, Michael Daugherty, Tobias Picker, Carlo Boccadoro, Michael Torke, John Harbison, Filippo Del Corno, Gerald Levinson, William Bolcom. 
Lasciando al lettore la possibilità di scoprire attraverso la lettura del testo le numerose considerazioni scritte da Arciuli, proponiamo di seguito una rapidissima carrellata sui compositori, tenendo conto della discografia finale alla quale abbiamo in precedenza accennato. 
Nel capitolo “Cincinnati, Ohaio”, oltre al citato Joel Hoffmann, il primo compositore preso in considerazione è George Rochberg (1918-2005), i cui archivi sono stati acquistati dalla “Paul Sacher Foundation”. Ha composto sei Sinfonie e numerosa musica da camera. È stato docente presso la “University of Philadelphia” ed è autore di “The Aesthetic of Survival” (1984), una raccolta di saggi.  George Crumb (1929-2022) è stato sperimentatore di inusuali tecniche esecutive e di tecniche grafiche di scrittura musicale. Per pianoforte, ricordiamo i “Makrocosmos” (quattro libri), dove è evidente l’allusione alle composizioni di Béla Bartók. A Crumb è stato dedicato il film “The voice of the whale” (1976), diretto da Robert Mugge. Un secondo film gli è stato riservato, nel 2009, con la regia di David Starobin. Nel suo stile compositivo, ha inglobato in modo originale la conoscenza di numerose culture musicali, del passato e del presente.  Al pianista e compositore Frederic Rzewski (1938-2021), abbiamo dedicato la precedente Vision. È stato, tra l’altro, allievo di Luigi Dallapiccola. Sin dagli anni Sessanta, ha avuto contatti con gli ambienti musicali sperimentali italiani. Dagli anni Settanta, ha insegnato nel Conservatorio di Liegi. Era noto al pubblico, per il forte impegno sociale e (a suo modo) politico. Oltre alle citate variazioni sul tema (El Pueblo Unido...) del cileno Sergio Ortega Alvarado, ci sembra importante ricordare le “Four North American Ballads” (1978 -’79), composte avendo come iniziale riferimento canzoni di protesta operaie. Ha passato gli ultimi anni della propria esistenza nel piccolo paese di Montiano, in provincia di Grosseto. 
Nel capitolo titolato “Lungo la East Coast” è stato dato risalto a compositori di consolidato prestigio come Elliot Carter (1908-2012), ultracentenario insignito due volte del premio Pulitzer e particolarmente prolifico artisticamente anche in tarda età. Le sue opere sono eseguite in tutto il mondo. Marga Richter (1926-2020), negli anni Settanta, è stata co-fondatrice, con Herbert Deutsch (1932), della LICA (“Long Island Composers Alliance”), emerita associazione artistico-musicale non-profit. Di lei, ricordiamo i tre paradigmatici “Landscapes of the Mind” e le “Variations and Interludes on themes from Monteverdi and Bach”. Allievo di Paul Hindemith e Walter Piston, Yehudi Wyner (1929) è figlio di Lazar, compositore di canzoni yiddish. Wyner è pianista e concertista. È stato insignito del premio Pulitzer per il concerto “Chiavi in mano” (2005). Morton Subotnick (1933) è da annoverare tra i pionieri della musica elettronica e della digital-computer music; è noto anche per le “perfomance” sperimentali e multimediali. È stato tra i fondatori del “California Institute of the Arts” e del “San Francisco Tape Music Center”. È sposato con la vocalista e compositrice Joan Linda La Barbara (1947), apprezzata virtuosa di musica contemporanea. Inoltre, Arciuli ha evidenziato l’opera di Martin Bresnick (1946), che ha composto parecchia musica da camera e per pianoforte, inoltre, si è inoltre cimentato nella musica per film. La suggestiva “Ishi’s song” (Ishi è stato l’ultimo superstite della tribù indiana “Yahi”), per solo piano, è stata dedicata a Emanuele Arciuli. Anche Curt Cacioppo (1951), con padre di origine italiana, si è dimostrato sensibile nei confronti della musica dei nativi americani. In Italia, ha spesso lavorato in collaborazione con il “Quartetto di Venezia”. John Luther Adams (1953) ha vissuto, per circa trentacinque anni, in Alaska. Batterista e percussionista particolarmente sensibile ai temi ambientali, nelle sue composizioni trae spesso ispirazione dagli elementi della Natura, come verificabile, ad esempio, in “Songbirdsong”, “Clouds of forgetting”, “Become Ocean”.  Chris Shultis (1957) è anch’egli percussionista, assai apprezzato per le esecuzioni della musica di John Cage. Diverse sue composizioni traggono spunto dai suoni della natura selvaggia e incontaminata del New Mexico. È docente presso l’Università di questo Stato.  Peter Garland (1952), la cui produzione si contraddistingue per la ripetitività variata degli elementi ritmici, viene annoverato tra i compositori del post-minimalismo. Egli è anche esperto di musica dei Nativi americani. Un altro compositore che ha dedicato attenzione alla musica dei Nativi è Kale Gann (1955), i cui lavori sono spesso microtonali, ricchi di “loop”, ostinati, ripetizioni e di effetti elettronici ottenuti (anche) con il “disklavier” (pianoforte computerizzato). La composizione pianistica “Earth-Preserving Chant” è dedicata a Emanuele Arciuli. Hang Ruo (1976) è un giovane intraprendente compositore cinese, il quale ha studiato e vive negli USA. Figlio d’arte, si è distinto come esecutore e performer multimediale con il suo gruppo FIRE (Future in Reverse). 
Nel capitolo, “Dalla California al Midwest”, i principali compositori presi in considerazione sono John Cage (sul quale non ci soffermeremo data la notorietà) e Lou Harrison (1917-2003), che era stato allievo di Henry Cowell e Arnold Schönberg. Nelle sue composizioni aveva integrato elementi microtonali e timbrici ripresi dalla musica orientale e dalle “gamelan” giavanesi, facendo ampio uso degli strumenti a percussione. Convinto esperantista, era impegnato anche sul fronte politico, in difesa della pace e dei diritti civili. Michael Daugherty (1954), compositore prolifico e di carattere solare e gioviale, viene elogiato da Arciuli per «la sincerità e la liberta di un approccio che, piaccia o meno, è onesto e coerente». Ann Millikan (1963) è moglie del compositore e flautista Brent Michael Davids (1959), appartenente alla comunità dei Mohicani “Stockbridge”. Appassionato conoscitore della musica jazz, in diverse opere utilizza strumenti dei nativi americani. Nei concerti talvolta suona particolari flauti indiani di (cristallo) quarzo. Anna e Brent sono molto sensibili alle tematiche sociali e al rispetto dei diritti dei nativi americani nonché alla valorizzazione della loro cultura.
Nel capitolo “Rotta Sud-Ovest”, Arciuli ha dato rilievo, in particolare, ai compositori William Grant Still (1895-1978), Luois Wayne Ballard (1931-2007), Raven Chacon (1977), Karola Obermüller (1977), Jennifer Elaine Higdon (1962), Raymond Carlos Nakai (1946), Daniel Asia (1953). William Grant Still è stato un prolifico compositore di colore (oltre 200 opere), ed è l’autore di “Afro-American Symphony” (1931). Personaggio simbolo, è stato anche il primo direttore di colore a dirigere un’orchestra di prestigio. La sua casa di Los Angeles è divenuta monumento storico-culturale. Altro compositore simbolo è stato Luois Wayne Ballard, essendo il primo nativo americano (discendenza Cherokee-Quapaw) a scrivere “musica nella tradizione musicale occidentale”. Una sua nota opera è “Incident at Wounded Knee” (1974), riferita al massacro di centinaia di “Oglala Sioux”, dopo una cerimonia di “Ghost Dance”. Un più giovane compositore nativo è Raven Chacon, il quale non disdegna di ibridare le composizioni con elementi stilistici ripresi dal rock, dalla musica elettronica e dalla cosiddetta “noise music”. Raymond Carlos Nakai è un flautista, riconosciuto come il massimo rappresentate strumentale dei nativi americani; ha venduto milioni di dischi nel mondo. 
Nel capitolo conclusivo del suo “Viaggio”, titolato “Tornando a casa”, Arciuli ha scritto in particolare di Peter Garland (1952, opera nel Maine), Talib Rasul Hakim (1940-1988, nome che ha assunto dopo essersi convertito al sufismo islamico), Kyle Eugene Gann (1955, compositore e scrittore), William Duckworth (1942-2021, marito di Nora Farrell (artista interattiva e multimediale). Inoltre, ha scritto di Philip Glass, assai noto al pubblico internazionale.  
In totale, sono una trentina i compositori valorizzati da Arciuli nella discografia finale alla quale abbiamo in precedenza accennato, che al lettore potrebbe fungere da “incipit” per investigare la musica americana moderna e contemporanea. Il suo “Viaggio” merita di essere approfondito. È viaggiando che, anche nella nostra esperienza di ricercatori, abbiamo imparato a incontrare “l’altro”. È conoscendo l’altro che ci si arricchisce e ci si confronta, che si scopre il nuovo e si valorizza il vecchio. È insieme agli “altri” che possiamo acquisire continui rinnovati stimoli espressivi, ed è con gli altri che, musicalmente e socialmente, abbiamo il compito di costruire un mondo pacifico, nella tolleranza, innalzando le arti e la creatività ai livelli umani più elevati, che per noi sono indirizzati verso una benefica convivenza fra i Popoli, nel rispetto della Natura e delle sue leggi universali. Auspicando un proficuo e cooperativo incontro “glocale” tra le diverse civiltà musicali nel mondo, con gioia, dedichiamo la nostra “Vision “Modern Piano” ai compositori e agli esecutori i quali - con libertà espressiva “et humanitas” - riescono a far viaggiare il cuore, la mente e lo spirito degli ascoltatori: il nostro percorso “musicHologico” nel cosmo sonoro continua.  

Paolo Mercurio

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