Musica contemporanea, versus America
Prima di entrare nel vivo della musica contemporanea americana, pare opportuno introdurre alcune (brevi) riflessioni generali. La Musica, nel suo complesso, è “cosmica”, nel senso che possiede globale unitarietà, ma ha infinite sfaccettature e numerosi livelli di densità e profondità. Se concepita nella sua essenza originaria e usata senza strumentalizzazioni e coercizioni, potrebbe aiutare socialmente a far emergere “humanitas”, incentivando il dialogo e la pace tra i popoli, valorizzando le differenze e superando steccati culturali che, verosimilmente, possono tornare utili solo a chi, di volta in volta, riesce a imporre il proprio potere o è (per varie ragioni) interessato a confinare la musica nell’alveo delle ideologie e del commercio. Non basta guardare solo a estetica, tecnica, forma e contenuti. In generale, nelle società occidentali, rispetto alla fruizione e alla diffusione della musica contemporanea, potere, finanza e commercio sono indicatori da tenere presenti, per meglio comprendere come nel mondo esista una miriade di musicisti e compositori di valore e di estremo interesse che, fenomenologicamente, rimangono ai più misconosciuti e valorizzati solo in circoli ristretti, nonostante i mezzi tecnologici straordinari di comunicazione massmediatica che caratterizzano la nostra epoca. Paradossalmente, per varie ragioni, molta musica contemporanea colta rimane misconosciuta, incompresa e spesso discriminata. Coloro che la compongono spesso devono accontentarsi di ambiti ristretti nei quali poterla eseguire, facendola ascoltare a un pubblico limitato e (in generale) disorientato. In merito a tale condizione, va inoltre notato che il mercato musicale è in continua evoluzione. Le librerie musicali e i negozi di dischi stanno progressivamente scomparendo e i testi dedicati alla musica contemporanea sono sempre più rari, soprattutto quelli stampati nell’idioma nazionale. Eppure, analizzando il Novecento musicale e i primi decenni del nuovo millennio, ci s’imbatte in una straordinaria ricchezza d’idee e di pratiche in continua caleidoscopica mutazione creativa, in percorsi personali di crescita umana e intellettuale in costante rinnovamento che rifiutano etichette standardizzate. Ogni opera è un mondo a sé. Vi è la necessità di calarsi senza pregiudizi e cliché precostituiti nel “mare magnum” dei nuovi linguaggi, in relazione a un universo sonoro che non pone limiti creativi. Nuovi linguaggi che, peraltro, hanno portato a rinnovati paradigmi interpretativi, rispetto ai tradizionali concetti occidentali di musica, musicalità e pratica istituzionalizzata. Nuovi linguaggi espressivi (talvolta autoreferenziali) che manifestano interesse per il grafismo sonoro e richiedono la presenza di ascoltatori non ancora anestetizzati dai martellanti messaggi sonori pseudo-culturali, in prevalenza propugnati dai media “mainstream” e dalle case discografiche più influenti internazionalmente. E ancora …, nuovi linguaggi che, difficilmente, mirano agli immediati ritorni economici e che meritano adeguate riflessioni storico-antropologiche, sociali e scientifiche, capaci di evidenziare le ricchezze espressive delle facoltà umane relative a biologia, pensiero, comunicazione e cultura. Partendo da tali (brevi e sommarie) riflessioni generali e con l’intento di fornire un nostro piccolo contributo a favore della musica contemporanea - “in memoriam” - abbiamo scelto di dedicare la “Vision” a Frederic Rzewski (1938- 2021), compositore libertario (passato a miglior vita nel paese di Montiano), autore delle variazioni su “El pueblo unido jamas serà vencido” (“The people united will never be defeated”), il cui motto rimane di estrema attualità. Inoltre, desideriamo dedicare la “Vision” al pianista Emanuele Arciuli (1965), audace pontiere tra passato e presente, il quale insegna nel Conservatorio di Bari e all’Accademia di Pinerolo. È particolarmente attivo come concertista e divulgatore. Ha inciso per diverse case discografiche e, negli ultimi venticinque anni, si è encomiabilmente impegnato per far conoscere vari aspetti della musica americana contemporanea, della quale ha scritto in “Viaggio in America” (Curci, Milano, marzo 2022), presentato da Joseph Horowitz e inserito nella Collana di saggistica “Correnti”, diretta da Carlo Boccadoro. Tale Collana si propone come spazio libero al confronto e alla riflessione, aperto al dibattito e chiuso all’omologazione. Ha come obiettivo quello di «accompagnare i lettori lungo avventurose rotte inesplorate del passato e del presente, della musica classica e non». In sintonia con gli obiettivi della Collana “Correnti”, il viaggio proposto da Emanuele Arciuli (summa di numerosi viaggi) persegue scopi divulgativi. È un testo sintetico e autobiografico, ricco di incontri (talvolta casuali) e di eventi vissuti in prima persona. a diretto contatto con numerosi musicisti e compositori americani.
In prefazione al testo, Joseph Horowitz ha evidenziato che “la musica classica negli Stati Uniti rimane tuttora eurocentrica”. Domandiamoci: - Quali sono le radici culturali musicali degli States? Quando hanno iniziato ad emergere i primi compositori americani? Le risposte (da ricercare negli sviluppi della musica occidentale) rimangono confinate a periodi storici recenti. I cosiddetti “nativi americani” sono stati gradualmente spodestati delle loro immense terre, della loro identità, della loro cultura anche se, come vedremo, grazie all’attività delle diverse Tribù, sopravvivono svariate tradizioni rituali che alcuni musicisti e compositori cercarono o cercano tuttora di valorizzare. Tra questi, ricordiamo, ad esempio, Charles Wakefield Cadman (1881-1946), Arthur Farwell (1872-1952), Amy Mary Cheney Beach (1867-1944) ed Edward McDowell (1860-1908) i quali, a vario titolo, furono stimolati dall’opera di Antonín Dvořák, illustre rappresentante delle cosiddette Scuole Nazionali che, negli anni Novanta del XIX secolo, dedicò attenzione alla musica afroamericana e dei nativi americani, durante le visite negli Stati Uniti. Oltre ai compositori citati, menzioniamo Louis Wayne Ballard (1931-2007), Carlos Nakai, Brent Michael Davids, Delta David Gier, Raven Chacon, David Yeagley, Curt Cacioppo, Madeline Williamson, Ruth Lomon (Canada, deceduta nel 2017).
Il sociologo Jean Baudrillard (1929-2007) ha scritto che «l’America non ha il culto dell’origine, non ha un passato. Non avendo conosciuto un’accumulazione primitiva del tempo, vive in una sua perenne attualità». Lo stesso Arciuli, all’inizio delle avventure oltre oceano sul finire degli anni Novanta, ha riconosciuto (con onestà intellettuale) che le sue conoscenze sulla musica americana erano riferite a pochi nomi noti, quali Ives, Varése, Copland, Cage, Glass, Gershwin, Reich e Bernstein. Inoltre, conosceva Rzewski e poco più. Solo viaggiando ha potuto scoprire un mondo ricco e vasto quanto sconosciuto che ha iniziato ad apprezzare e che, nel tempo, ha voluto valorizzare in vario modo. A lui sono state dedicate decine di composizioni originali. Inoltre, oltre oceano gode di stima e fiducia da parte di organizzatori e promotori culturali i quali, ormai con regolarità, lo invitano a tenere concerti e “masterclass” anche presso università e accademie americane. I principali contenuti della sua ultima opera, “Viaggio in America”, verranno approfonditi nella trentacinquesima “Vision & Music”, di prossima pubblicazione. (fine prima parte)
Paolo Mercurio
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