Bluegrass, banjo e riscoperta dei virtuosi dello strumento

Alla ricerca delle origini
Bluegrass è uno stile esecutivo (relativamente recente) tipico della musica tradizionale americana. Per meglio inquadrare le origini, è opportuno ricordare Bill Monroe (1911-1996), originario del Kentucky e noto esponente del “country”. Suonatore di violino e mandolino, dopo esperienze musicali familiari (“Monroe Brothers”), sul finire degli anni Trenta, costituì il gruppo dei “Blue Grass Boys”, con cui affermò il nuovo stile musicale nel quale, oltre alle chitarre folk, trovarono una speciale collocazione il banjo, la “slide-guitar” e il mandolino. Il banjo iniziò a essere intensivamente suonato, impiegando (e consolidando) la tecnica “picking” detta “three fingers roll”, perfezionata da Earl Scruggs (1924-2012), virtuoso dello strumento. Sono più di cento cinquanta le sue composizioni, molte delle quali scritte in collaborazione con il chitarrista Lester Flatt (1914-1979). Negli anni Sessanta, si è imposto all’attenzione degli amanti del genere Bill Keith (1939-2015), originario di Boston, nel Massachusetts. A lui si devono una particolare tecnica di arpeggio (tipica del cosiddetto “Keith’s style”) e il miglioramento delle meccaniche per facilitare il sistema di accordatura. Arrivò a brevettare il “Keith tuner”, che possiede particolari ingranaggi per raggiungere rapidamente la messa a punto dell’intonazione delle corde. Dal 2015, il figlio Martin continua a commercializzare tale “tuner” (talvolta utilizzato anche sulle chitarre folk).   Rispetto alle origini del banjo, alcuni ricercatori hanno ipotizzato che derivi da strumenti usati, sin dal XVII secolo, da suonatori caraibici provenienti dall’Africa occidentale. Parimenti sono state avanzate ipotesi rispetto all’etimologia del nome, mettendo storicamente in relazione il banjo con la “Kimbundu mbanza” (di origine africana) e la “banza” (un tipo di “vihuela” di origine portoghese). Per chi volesse approfondire gli argomenti relativi alle origini, suggeriamo la lettura di “The Banjo. America’s African Instrument” (2016), scritto da Laurent Dubois.


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Principali caratteristiche organologiche
Il banjo moderno è prevalentemente costruito a cinque corde (la superiore è più corta rispetto alle altre). Nelle forme più arcaiche, possedeva la cassa armonica ricavata da una zucca essiccata. Dai primi decenni del XIX secolo, si è venuta progressivamente a imporre la tipica cassa a tamburello, con la tavola armonica in “plastica” (più raramente in pelle). Il fondo è solitamente aperto, ma in diversi strumenti è amovibile. Sono diversi i dettagli che permettono di valutare la qualità dello strumento. Oltre al tipo di meccaniche per l’accordatura, a cui si è in precedenza accennato, si evidenziano il “tone ring” (anello, di solito in acciaio, posto all’interno della cassa) e il “resonator flange” (situato nella parte posteriore della cassa). Inoltre, i cosiddetti “dual coordinator rods”, che sono due aste di metallo (alcuni banjo possiedono una sola asta, altri neppure quella) le quali, grosso modo, occupano il diametro della cassa circolare, per aiutare a mantenere la forma inalterata nel tempo. Nei banjo antichi (con corde di budello), l’asta (quando esistente) era di legno. I dettagli ai quali si è accennato influiscono sulla qualità e sulla potenza sonora dello strumento oltre che sull’effetto di “sustain”, che si produce quando si strimpella per accompagnare la melodia (talvolta vengono utilizzati i termini “frailing” e “clawhammer”), utilizzando le cosiddette accordature “aperte”.
Infatti, oltre che con le tecniche di arpeggio sopra accennate (nelle dita della mano destra possono essere usati plettri di metallo, di plastica e, talvolta, di feltro), il banjo può essere suonato, strimpellando delicatamente per accordi (come con la chitarra). Esistono anche dei banjos a quattro corde, suonati di preferenza con il plettro. Si è soliti denominarli “tenore, a manico lungo, basso”. Il banjo “tenore” viene accordato come il violino ed è usato, in prevalenza, come solista. Il “basso” trova impiego (quasi esclusivo) nelle “orchestrine” di soli banjos.

La Vision
Il bluegrass (letteralmente “erba blu”, da un detto del Kentucky) ci riporta con la mente agli anni giovanili. Tra gli strumenti a corda, nutrivamo un certo interesse per il banjo, per via delle sonorità brillanti e metalliche, che contraddistinguono le melodie eseguite dai musicisti americani.  Del bluegrass ci attirava la vitalità ritmica e ballabile, contraddistinta nell’accompagnamento (spesso in tempo binario) dal cosiddetto “boom chicka boom rhythm”. Inoltre, la spensieratezza espressiva che, all’ascolto, procurava immediate emozioni ed euforia emotiva.
A quell’epoca, avevamo in progetto di scrivere musica per questo strumento, con l’intento di elettrificarlo compiutamente, al fine di ottenere timbriche aggressive in stile rock, facendo interagire contrappuntisticamente due esecutori (tenendo quindi conto della primitiva concezione dei “duos”, tipica della musica “country”). L’idea è sempre rimasta nel cassetto, ma è a questa che ci siamo riferiti nel realizzare l’opera visuale, che dedichiamo alla memoria di Earl Scruggs, Bill Kheit e del virtuoso contemporaneo Béla Fleck (1958). Quest’ultimo ha contribuito alla “sprovincializzazione” del banjo, collaborando con numerosi musicisti folk, jazz e classici. Note sono le sue trascrizioni sulle musiche di J. S. Bach, come pure le improvvisazioni con il tastierista Chick Corea (recentemente scomparso e che qui - con stima - ci piace ricordare). Come solista concertista, in più occasioni, Fleck ha avuto modo di esibirsi con orchestre sinfoniche. Il lettore non faticherà a rinvenire nel web sue esecuzioni dal vivo, come pure l’aggiornamento relativo ai Festival dedicati alla musica bluegrass. 
Infine, ci sembra utile un accenno all’uso del banjo nelle forme primitive del jazz e nel ragtime. Vi sono quadri pittorici del XVIII secolo che attestano l’uso del banjo durante i momenti conviviali, a seguito del lavoro nei campi. Tra i quadri dell’epoca, menzioniamo “The old plantation” (circa 1790), attribuito a John Rose. Tra la fine del 1800 e i primi anni del Novecento, lo strumento venne ampiamente utilizzato nei “minstrel shows” o per accompagnare i cantanti folk. Nel jazz, prima dell’era dello swing, era in voga il cosiddetto “banjo-guitar”, a sei corde. Tra i suonatori, evidenziamo i nomi di Sylvester Louis (detto “Vess”) Ossman (1868-1923), Johnny St. Cyr (1890-1966), Clancy Hayes (1908-1972) e Freddie Green (1911-1987). Tra i compositori moderni che hanno utilizzato il banjo nelle proprie composizioni, ricordiamo Hans Werner Henze (1926-2012), nella Sesta sinfonia. 

Paolo Mercurio 

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