Giovanni Lai, virtuoso suonatore di launeddas stimato da A. F. W. Bentzon

Purtroppo, ai più, è misconosciuto o, per via del cognome, viene spesso confuso con il noto omonimo suonatore di San Vito. Tuttavia Giovanni Lai è stato un soadori de so(n)us de canna (nome localmente dato alle launeddas) tra i massimi interpreti della cosiddetta Scuola di Cabras (OR). Come informatore/collaboratore, venne stimato ed elogiato da Andreas Fridolin Weis Bentzon, il quale sostò nel paese per periodi prolungati, con lo scopo di svolgere rilevanti ricerche sullo strumento tricalamo sardo. Come etnomusicologi, abbiamo avuto modo di valorizzare Giovanni Lai in saggi e contributi testuali ed è nostro desiderio commemorarlo anche a quarantacinque anni dal suo decesso, avvenuto nel 1973, dopo aver passato mesi di terribile sofferenza. 

Giovanni Lai, A.F.W. Bentzon e Giovanni Casu
Alla fine degli anni Cinquanta, Bentzon aveva scritto che Lai era operaio e che, in passato, era stato servo pastore. Nonostante avesse solo ventuno anni, lo considerava l’informatore più importante. Evidenziò che era in grado di eseguire alcuni balli che nessuno, in paese, era in grado di suonare, imparati da un suonatore di fisarmonica di Riola, Efisio Mocci, il quale li aveva direttamente appresi, decenni prima, da “su Bricchi”, leggenda vivente tra i suonatori cabraresi, capace - si dice - di competere in tecnica con i “maestri” di Villaputzu, Efisio Melis e Antonio Lara. Bentzon aveva rilevato come Lai, oltre ad avere appreso e conservato il repertorio tradizionale, si fosse autonomamente istruito, ascoltando al grammofono le registrazioni di Melis e di altri suonatori sardi.  In uno scritto dedicato alle launeddas, il noto organologo Giovanni Dore aveva ricordato Lai come abile costruttore e come «giovane e brillante suonatore... stimato dai compaesani e apprezzato dagli esperti, specie quando accompagnava le serenate alle ragazze, nelle strade della cittadina». L’unico suonatore contemporaneo in grado di parlare con cognizione di causa di Giovanni Lai è Giovanni Casu il quale, il 30 gennaio, ha compiuto ottantacinque anni. È ancora in attività, è apprezzato dai giovani ed è il massimo esponente tra i suonatori del Sinis,. Lo abbiamo di recente intervistato, reduce da un incontro con ricercatori e studenti di un conservatorio francese. Casu era amico di Lai, con lui condivideva un comune amore per le launeddas e le tradizioni locali. 
Commoventi sono le sue memorie. Non riesce più ad ascoltare la musica registrata del suo amico, perché troppo intenso è il ricordo personale. Ha stampato nella mente il loro ultimo incontrò in ospedale, avvenuto alcuni giorni prima del decesso: «“Giuanicu” (così lo chiamavano gli amici) mi raccontò con la consueta serenità del suo calvario ospedaliero, dicendomi nel finale “seu spacciau” (sono spacciato)”».  A Lai, Casu riconosce uno stile unico, poiché «… eseguiva le picchiadas in un modo particolare che gli permetteva di distinguersi tra tutti i suonatori della zona». Inoltre, come notato anche da Bentzon, sapeva suonare i diversi “cuntzertus”, abilità non facilmente riscontrabile tra i suonatori di Cabras. Casu, tuttavia, non si è limitato a elogiare le capacità tecniche, ma ha voluto ricordare anche la sua bontà d’animo: «… non l’ho mai sentito parlare male di nessuno, come pure non l’ho mai sentito elogiarsi pubblicamente»
Bentzon aveva ricordato Lai anche a proposito dello strumento tricalamo denominato su “moriscu” (significa il “moresco”), enigmatico rispetto alla denominazione. Un anziano suonatore, Domenico Madeddu, ricostruì per Bentzon le canne e i relativi fori. Aveva gli stessi calami dello “spinellu” ma, «…contrariamente all’uso corrente in altri luoghi, era suonato con la canna più alta nella mano destra». A Giovanni Lai venne richiesto di costruire le imboccature con l’ancia battente, localmente definite “is launeddas” (interessante dettaglio lessicale). Su “moriscu”, oggi, a nostra conoscenza, viene realizzato solo da Giovanni Casu. 
Giovanni Lai era amico di Francesco Castangia, detto “su Cau” (Cabras, 1933-1992), suonatore di launeddas e di “pipaiou” (flauto di canna), il quale era solito portare in giro per i paesi dell’Isola l’organologo Giovanni Dore, alla ricerca di suonatori e di strumenti musicali popolari. Lai e Castangia si erano conosciuti da pastori e, alla fine degli anni Cinquanta,  pascolavano le pecore in aree contigue, aiutandosi a vicenda in caso di necessità. Loro amici erano anche i due noti cantori a poesia - Salvatore Manca (detto “Gavaurru”) e Salvatore Murtas (detto “Patata”) - e il fratello di Giovanni Casu, Daniele Casu. I suonatori ebbero modo d’imparare qualcosa anche da Felicino Pili (1910-1982), originario di Villaputzu ma residente a Santa Giusta. Dore scrisse di Pili che, «negli anni Cinquanta e Sessanta, era il suonatore più conosciuto e più richiesto nel centro Sardegna, per le sagre paesane e per gli incontri conviviali con gli amici». Tuttavia Pili (abile costruttore di launeddas) era poco interessato a istruire i più giovani e solo saltuariamente insegnava qualcosa. 
Un ballo cabrarese che interessò Bentzon è il “pass’’e dusu”, sul quale scrisse: «Forse è uno dei risultati più importanti delle mie ricerche in Sardegna, poiché esso è un fossile musicale che ci riporta indietro di cento-duecento anni, al momento in cui iniziò lo sviluppo dei balli in tutta l’isola. Mi sono sforzato di registrarlo in tutte le versioni possibili (…) suonato sul punt’’e organu da Peppino Canu, Daniele e Giovanni Casu, e Giovanni Lai; sul fiorassiu, fiuda bagadia e mediana a pipia da Daniele Casu e Giovanni Lai e sulla mediana da Daniele Casu».  Nonostante fossero compaesani, Bentzon osservò le spiccate differenze esecutive tra Lai e i fratelli Casu che, ai tempi, formavano il “Duo Paui”, ben stimato anche all’estero. A Cabras, il ricercatore danese riuscì a registrare in modo esaustivo l’esecuzione del ballo con il cosiddetto “punt’ ’e organu”, trovando però insoddisfacente la documentazione per gli altri “cuntzertus”, soprattutto rispetto all’uso della “mancosa manna”, poiché Daniele Casu era invalido nel mignolo della mano sinistra, mentre Giovanni Lai talvolta confondeva il “pass’ ’e dusu” con il “pass’ ’e tresi”, altro ballo cabrarese. Considerando le trascrizioni musicali e quanto scritto da Bentzon potrebbero essere illustrate diverse particolarità dello stile esecutivo di Giovanni Lai che, tuttavia, preferiamo rimandare a contributi tecnici più specifici.
Lai e Giuseppe Canu (altro suonatore di Cabras) furono determinanti per le registrazioni de “su pass’ ’e tresi”. In merito, Bentzon ebbe a scrivere: «Io registrai il repertorio dei balli del pass’ ’e tresi di Giovanni Lai in due versioni: la prima eseguita nel modo più fedele possibile alla tradizione, come aveva appreso dal suo maestro Mocci, la seconda suonata in uno stile più “moderno”, cioè abbellito con innovazioni personali e frammisto delle nodas prese da suonatori professionisti non di Cabras». Nello specifico, Bentzon registrò Lai nelle versioni più tradizionali con “mediana, fiorassiu e fiuda bagadia”, mentre la versione suonata con il “punt’ ’e organu”, riteneva fosse «… altamente influenzata dai balli professionali, ma presente a Cabras da almeno sessant’anni». Da Bentzon, Giovanni Lai venne citato anche per un’altra particolare esecuzione: «Una curiosa tradizione è legata al pass’ ’e tresi sulla fiuda bagadia a Cabras: ad alcune nodas è riferita una storiella: gli esempi (…) descrivono una ragazza nubile che, pur essendo rimasta incinta, è tuttavia allegra e felice. Le nodas 3 e 4 rappresentano il fidanzato tradito che protesta; la noda 5 rappresenta la madre della ragazza che piange inconsolabile per l’errore della figlia. I vecchi confermarono che questa tradizione era nota nel paese fin dalla loro fanciullezza, e che Su Bricchi suonava e raccontava la storia esattamente come Giovanni Lai. 
Fuori di Cabras nessuno conosceva la succitata storia e solo Dionigi Burranca (noto suonatore della Trexenta) poté riferirmi simili esempi di nodas con un contenuto descrittivo». Di Lai rimangono diverse fotografie scattate da Bentzon, il quale lo immortalò anche con la cinepresa mentre il suonatore era impegnato ad accompagnare una questua paesana. Tali riprese sono state inserite nel film “Is Launeddas”, diretto da Fiorenzo Serra, il quale utilizzò vari spezzoni di pellicola (in 16 mm), girati dal ricercatore danese durante le ricerche sul campo. 

Cenni biografici
A Cabras, operando a fianco di Giovanni Casu, in passato, abbiamo avuto modo di conoscere e intervistare la signora Ermelinda, sorella minore di Giovanni Lai, la quale ci ha fornito importanti informazioni familiari relative al fratello. 
Nato a Cabras nel 1937, durante l’infanzia, a soli cinque anni, Giovanni perse la mamma. Lui e le due sorelle (Ermelinda e Giuseppina) vennero aiutati da alcune zie, tra cui “tzia Giunnicca” la quale, in particolare, si prese amorevolmente cura della crescita dei nipoti. Frequentò le scuole elementari e, sin da bambino, lavorò come aiuto pastore, periodo nel quale iniziò a suonare su “pipaiou”. Talvolta dava una mano al padre ma, negli anni, cambiò diversi lavori. In campagna, il piccolo Giovanni iniziò a prendere dimestichezza con le suonate locali, poiché con su “pipaiou” era possibile eseguire quasi tutto il repertorio tradizionale. A Cabras, uno dei massimi esecutori divenne proprio il suo amico Fancesco Castangia. Giovanni suonò lo strumento per tutta l’infanzia. Intorno ai dodici anni iniziò a costruire anche i “sonus de canna”.  Li realizzava in campagna nel tempo libero, oppure a casa, dove era solito custodirli in una cassetta. Le “launeddas”, come lui definiva le ance, le conservava in una cassettina accuratamente nascosta, perché la sorellina più piccola era solita prenderle e suonarle per divertimento, ma ciò procurava irritazione al fratello. Sono, infatti, cannelli molto delicati di difficile realizzazione per chi non possiede mani esperte. Rappresentano il “cuore” dello strumento e, per divenire inservibili, basta che si scheggino o prendano umidità.  La sorella ha ricordato che Giovanni era spesso impegnato a costruire o a suonare gli strumenti in cucina o in cortile, tenendo in gran cura il coltellino affilato con il quale realizzava le ance e, all’occasione, i fori dello strumento.  Luigi Lai, virtuoso di San Vito (nel Sarrabus), dice che le launeddas sono strumenti ai quali è necessario dedicare la vita, se si vuole suonare a elevati livelli. Giovanni Lai ai “sonus de canna” si dedicò completamente durante il tempo libero e in campagna. In casa non fu incentivato a coltivare la sua arte. La sorella ricorda di alterchi proprio per via della musica suonata dal fratello, il quale si allenava per ore e ore consecutivamente. Le sorelle, invece, apprezzavano maggiormente le melodie dei cantanti alla moda come, ad esempio, Claudio Villa. Tuttavia, ai rimproveri e ai battibecchi, Giovanni era sempre solito replicare con decisione: «A me piace questa musica, e continuerò a suonarla!»
Lai non ricevette insegnamenti diretti, poiché a Cabras non c’era la possibilità di prendere lezioni a pagamento. Imparò ascoltando, osservando e ripetendo con assiduità, quanto appreso oralmente dai suonatori più anziani durante le apparizioni pubbliche. Altro luogo di ascolto era su “magasinu” (bar, bettola), dove i suonatori venivano “retribuiti” solo con consumazioni gratuite di vino. Tale luogo era, però, precluso ai fanciulli, se non accompagnati dai genitori o da parenti adulti. 
Quasi quindicenne, Giovanni Lai iniziò a suonare nelle processioni, importanti occasioni comunitarie. Alla fine degli anni Cinquanta, si perfezionò a tal punto che, con le launeddas, divenne uno dei più autorevoli interpreti della tradizione sarda, come documentato da alcune storiche incisioni, realizzate per la casa discografica “IPM” di Milano. Nel 1964, con il titolo “Danze a launeddas”, venne pubblicato un disco a 45 giri, nel quale suonò con “mediana”, “punt’ ’e organu” e “fiuda bagadia”. Negli anni Settanta, un produttore locale mise in commercio un’audiocassetta che conteneva le principali suonate di Lai, tra cui “su dillaru”, che venne inserito anche in un disco a 33 giri. Tale disco (edito a cura di Giovanni Moretto) era una compilation di brani eseguiti da numerosi musicisti o gruppi tradizionali sardi, la quale mostrava in copertina una foto (scattata nei pressi di un nuraghe) di Lai. I dischi venivano prodotti sia per il mercato regionale sia per quello (forse ancora più florido) degli emigrati, per i quali la musica rappresentava un mezzo di collegamento affettivo con la propria Isola. 
Lai era un musicista tecnicamente preparato, degno di figurare a fianco dei più importanti maestri di launeddas quali Efisio Melis, Antonio Lara, Aurelio Porcu, Dionigi Burranca, Giovanni Casu. Le sonate religiose e quelle di accompagnamento al canto sono caratteristiche del repertorio strumentale “crabarissu”. Tuttavia Lai, negli anni, divenne uno specialista dell’accompagnamento dei balli, soprattutto a seguito del citato sodalizio con Efisio Mocci. Il virtuosismo strumentale di Lai è riscontrabile anche nel sostenuto tactus dei tempi musicali, nella vivacità ritmica delle “picchiadas”, nell’uso variegato dei contrappunti tra le canne melodiche e nell’energica tecnica di soffio, che imprimeva a tutte le sue esecuzioni senso di precisione e sicurezza. La rigorosa meticolosità con la quale, in modo ordinato e accurato, esponeva le frasi musicali, talvolta rischiava di farlo apparire un suonatore espressivamente “freddo”. Ma così non era. A Giovanni Lai piaceva suonare con sentimento. Trasparivano vive la passione e la gioia quando impugnava le launeddas, poiché per lui rappresentavano anche un modo per stare allegramente in compagnia e per rendere felici le persone del proprio paese. La sorella Ermelinda rammenta che “per la musica e per gli amici il fratello perdeva la testa”, talvolta dimenticandosi persino degli obblighi familiari. Nei primi anni Sessanta, Lai si era sposato e dal matrimonio nacquero quattro figli. Nel 1973, il tragico incidente stradale. Gli fu diagnosticata la lesione del midollo spinale: visse per alcuni mesi paralizzato. Assistito dai familiari, terminò la propria esperienza terrena, il 15 settembre del 1973. 

Un suonatore da non dimenticare
A quarantacinque anni di distanza, sul solco della memoria collettiva, per noi continua a essere importante commemorare Giovanni Lai con stima e auspichiamo che anche le autorità locali si diano da fare per omaggiarlo degnamente, magari ricordandolo contestualmente ad Andreas Fridolin Weis Bentzon, chiamando in causa Giovanni Casu, illustre suonatore che - con grande generosità – continua, da decenni, a tenere alta la fama della Scuola strumentale di Cabras. Le launeddas sono strumenti millenari che presto potrebbero ricevere il riconoscimento da parte dell’UNESCO, tuttavia dietro ai beni materiali ci sono sempre l’humanitas dei suonatori e la cultura di un popolo, grande o piccolo che sia. Ogni paese ha il dovere di valorizzare l’operato dei propri illustri suonatori. Come segno tangibile di riconoscimento, noi riteniamo sarebbe auspicabile dedicare loro una Sala all’interno del Museo Civico locale, nel quale sono esposti i “Giganti” di Mont’e Prama. Sarebbe un pregevole biglietto da visita per ospiti e turisti e un incentivo per le nuove generazioni, alle quali riteniamo sia fondamentale trasmettere amore nei confronti del sapere musicale tradizionale, in un’ottica di “musica glocale”, la quale arricchisce i confronti interculturali, abbattendo rigidi steccati concettuali, nel rispetto delle specifiche individualità e delle singole comunità.


Paolo Mercurio

In memoriam. A contributo concluso, abbiamo appreso dell’improvviso decesso di Matteo Pinna, noto “cantadore” di Cabras il quale, negli ultimi anni, si era esibito in coppia con Giovanni Casu. Aveva cinquantasei anni ed era figlio del poeta-cantore Giuseppe Pinna (soprannominato “la Mora”). Ai familiari e ai parenti porgiamo le nostre più sentite condoglianze. 

1 Commenti

  1. Complimenti per l articolo
    Una precisazione tecnica
    Su Brichi era originario del medio Campidano trasferitosi poi a Cabras, da notare sulla mediana di Giovanni Lai le influenze dello stile tresxenta.
    Altra cosa Matteo Pinna "la mora" aveva 72 anni e non 56

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