Luigi Lai ricorda i suoi maestri di launeddas Efisio Melis e Antonio Lara

Quale sintesi di un articolato dialogo avuto con il maestro Luigi Lai, di seguito proponiamo un flumen vocis per ricordare con stima i suoi illustri insegnanti. Il contributo ha rilevanza storico-musicale.  Efisio Melis (1890-1970) è stato un artista senza pari delle launeddas.  Della sua abilità strumentale ha lasciato diverse testimonianze sonore anche in duo con Antonio Lara (1886-1979). Di Melis scrissero Andreas Fridolin Weis Bentzon e, negli anni Ottanta, Roberto Leydi e Pietro Sassu, grazie ai quali si deve un’importante pubblicazione discografica (edizioni “Albatros”, con accluso un libretto denso d’informazioni sociali e biografiche). Come etnomusicologi abbiamo già avuto modo di evidenziare i meriti di Melis in diversi saggi tra cui “Launeddas Patrimonio dell’Umanità”.  

Musicalmente esisto grazie a loro
Senza di loro non sarei niente: a loro devo la mia formazione di base. Mi hanno insegnato anche a cercare una mia strada, perché ogni suonatore che si rispetti deve trovare uno stile personale. Di loro non si parla più o se ne parla genericamente come suonatori del passato. Tuttavia, a mio avviso, per la musica sarda, Efisio Melis è il corrispettivo di un grande compositore (come ad esempio Bach, Mozart, Beethoven) per la musica classica. Non è un’esagerazione, perché tecnicamente rappresenta il livello più elevato raggiunto da un suonatore tradizionale di launeddas. Per capire gli aspetti tecnici ed espressivi dello strumento e l’abilità di Melis, tuttavia, non bisogna parlare, ma essere innanzitutto dei musicisti.  Molti parlano di lui senza neppure averlo conosciuto. Come noto non aveva avuto allievi e questo era un po’ il suo cruccio. O meglio, ricordo che suo allievo era stato, per un certo periodo, Felicino Pili, con il quale nel tempo sorsero dei dissapori, con conseguenze poco piacevoli da raccontare. 
Pili si trasferì, in seguito, nel Sinis; mi risulta che anche Melis dovette andarsene da Villaputzu, per via di dissidi con i suonatori locali.  Provo una grande riconoscenza verso i miei maestri, grazie ai quali ho potuto portare avanti questa grande tradizione strumentale sarda, dandogli il giusto valore, adeguandomi quando necessario alle esigenze di rappresentazione tipiche dei nostri giorni. Più volte sono andato a parlare con gli amministratori pubblici, perché gli Enti dovrebbero sentirsi impegnati in prima linea per valorizzare le launeddas. Le parole non servono, io guardo ai fatti. Per questo, quando sento parole generiche, sono solito ripetere loro:- Se volete darmi un fiore datemelo adesso, non domani…, bisogna darsi da fare adesso, anche a favore di coloro che in passato hanno dedicato allo strumento la propria esistenza.
Luigi Lai ha sinceramente a cuore le launeddas e la loro salvaguardia. Nei giorni del nostro dialogo era particolarmente preso per l’organizzazione musicale della festa di Sant’Efisio, patrono di Cagliari. Per il Santo ha scritto una specifica suonata, di recente armonizzata dal Maestro Ignazio Perra, della quale è stata effettuata una registrazione discografica.  Inoltre, Lai sta lavorando alacremente ai fini della realizzazione di un encomiabile progetto multimediale che desidera lasciare ai posteri, quale summa della pratica strumentale riferita allo strumento tricalamo sardo. 

Melis, Lara e Cabras
Ebbi modo di conoscere Efisio Melis tramite Antonio Lara, mio principale maestro. Erano imparentati e, nonostante ci fosse una certa rivalità, rimasero sempre amici, contrariamente a quello che ogni tanto si legge.  Lo incontrai prima a Villaputzu poi a Cagliari, dove si era trasferito e aveva aperto un ristorante, “Il Gennargentu”, situato in via Sardegna. Come suonatori, di tanto in tanto, dovevamo transitare da Cagliari. Ogni volta eravamo suoi ospiti.  Melis si era molto affezionato a me e più di una volta mi chiese di diventare suo allievo, ma andando da lui avevo paura di perdere Lara, al quale ero affezionatissimo, perché mi considerava come un figlio.  
I due avevano un modo diverso di suonare, ma erano stati entrambi allievi di Giuanicu Cabras. Le suonate che eseguivano erano le stesse, ma avevano distinte personalità che si riflettevano nello stile. Melis era più artista ed estroverso. Se vogliamo anche più raffinato e perfezionista, dotato di una tecnica superiore. Ho appreso molto da loro, ma ho sempre cercato di essere me stesso. Ho dovuto lavorare molto per trovare il mio stile, ogni suonatore che si rispetti deve trovare il proprio, ma ciò che è importante è che quello che si suona sia eseguito bene. Ricordo che Melis suonava un pochino anche la fisarmonica, ma non era il suo strumento. Non aveva studiato musica, ma era un raro talento naturale che aveva dovuto sviluppare da solo lavorando sodo, svolgendo parallelamente altri mestieri. Un po’ tutti i suonatori erano dei calzolai, anch’io lo sono stato fino all’età di ventidue anni.  Vivere di sole launeddas era difficile, per questo diversi suonatori come Melis si erano avvicinati alla fisarmonica che, gradualmente, in quegli anni stavano soppiantando i suonatori di launeddas. Anch’io per un certo periodo, a Cagliari, presi delle lezioni di fisarmonica con il maestro Pillolla.  Efisio Melis era il migliore e per questo motivo era sempre esposto a critiche. Come ho detto, anche per via delle rivalità, era dovuto andare via dal suo paese. Anche a Cagliari ricevette una “batosta”, proprio perché era il migliore e si dovette confrontare con suonatori scarsi, che concepivano il suono come un passatempo. Per Melis lo strumento era considerato più professionalmente, studiava tantissimo e per suonare in pubblico chiedeva una ricompensa. Altri suonavano gratis oppure si accontentavano di un pranzo o di una bevuta. Per questo lo avevano preso di mira e su di lui giravano male lingue. 
Di questo sono sicuro ne soffrisse, ma sapeva come rispondere agli altri suonatori per le rime. Sia detto chiaramente che un po’ di rivalità esisteva anche con Lara. A volte c’era anche attrito e tra loro se le dicevano, ma poi si rappacificavano e si stimavano. Melis era più sagace, Lara più equilibrato. Melis mi diceva “… lascia stare Antonio che non è capace di suonare… vieni con me a studiare che t’insegno io come si deve…”. Io lo stavo ad ascoltare ma non gli davo retta, lo ascoltavo suonare e imparavo quando m’insegnava. Sentirlo suonare con Lara era una meraviglia. Le lezioni di questi due maestri erano centrate sull’ascolto e sulla ripetizione delle nodas. Per imparare bisognava saper ascoltare. A volte stavo davanti al maestro Lara, altre volte mi chiedeva di stare nel loggiato mentre lui suonava in cucina. Entrambi mi volevano bene. Melis mi elogiava e diceva che dopo di me non c’era nessun altro, lo aveva ripetuto anche alla figlia poco prima di morire. Avrei voluto tanto rivederlo prima di quella data, ma in quel periodo lavoravo in Svizzera. Quando sono tornato a vivere in Sardegna era deceduto da poco. La lezione tipo era basata sull’ascolto. Tipico di Melis era il fraseggio con lo “staccato”, un effetto che andava bene se applicato al ballo; altrettanto efficace in altri contesti è il “legato”, ma allora era meno usato. Melis mi faceva ascoltare, poi io dovevo ripetere. A volte mi canticchiava le nodas com’era nel suo stile, molto ritmico e preciso nel tactus. Non lasciava niente d’improvvisato, era molto tecnico e attento ai vari dettagli esecutivi. Lara suonava in modo più disteso, quello era il suo stile, che trovo scorretto contrapporre a quello di Melis. 
Deve essere accettato per quello che è, lo stile di un altro grande maestro e suonatore, peraltro all’epoca assai apprezzato. Per imparare a dovere ci voleva un sacco di tempo. Con Lara ho studiato fisso sei anni. Inizialmente andavo da lui anche due volte al giorno per imparare.  In seguito andavo una volta al giorno. Principalmente con lui ho imparato i diversi stili, perché un maestro non insegna solo la tecnica, ma ti fa capire come comportarsi quando si suona nei diversi paesi. Ad esempio nei paesi dell’Ogliastra il ballo era diverso da quello del Campidano. I balli sono sempre in sei ottavi ma, a seconda delle aree, ci sono delle variazioni che un suonatore doveva sapere. I ballerini erano preparati, s’intendevano di musica sarda e chi suonava doveva stare attento e conoscere i passi dei ballerini, con il suono doveva sapere come guidarli, seguire i loro passi e i loro sguardi. Per me è stato molto istruttivo stare a contatto con Lara e Melis anche nei momenti conviviali e in quelli festivi. Quando si ritrovavano a Cagliari, due erano gli argomenti prediletti, il cibo/l’organizzazione dei pranzi e il loro Maestro, Giuanicu Cabras.  Lara era un uomo serio ed equilibrato, Melis dicevano era più “donnaiolo”. Il loro atteggiamento era diverso anche quando andavano a suonare nelle feste. Lara mi ripeteva sempre di stare attento, di non perdermi a fare lo sciocco durante i momenti festivi, perché eravamo stati invitati per fare degnamente i suonatori. L’educazione di allora era molto severa; il rapporto con le ragazze seguiva precise norme. Durante le feste, Melis era più disinvolto, parlava con tutti, ballava anche con le ragazze più giovani, gli piaceva scherzare. Ricordo che una volta, dopo aver suonato, si era messo a parlare con delle giovani ragazze e aveva voluto che lo seguissi, voleva farmele conoscere. 
Per darmi importanza aveva detto che ero suo figlio, poi aveva iniziato a chiedere pareri alle ragazze su di me, ma io preferivo seguire i consigli di Lara, bisognava stare attenti a quei tempi. Comunque anche per questo atteggiamento disinvolto Melis veniva criticato, ma lui era così, gli piaceva essere simpatico e scherzare.  Durante i pranzi i due Maestri spesso parlavano o ricordavano di episodi riferiti al loro Maestro che stimavano anche per il suo virtuosismo. In proposito ricordo che dicevano “pariana proendi a landiri “ (sembrava piovendo come grandine, pareva grandinasse), cioè suonava con passaggi velocissimi secondo la tecnica dello “staccato”, quella che dava particolare grinta al ballerino. Pure Cabras, mi risulta, dovette scappare da Villaputzu a causa della rivalità tra i suonatori e andò a vivere a Decimomannu. Certo è che i miei erano due grandi Maestri. Morti Melis e Lara nell’Isola sono venuti alla ribalta suonatori meno dotati. Io glielo ricordavo con un detto - “Mortusu is gattusu b’essiusu is topis”(morto il gatto escono i topi). 
Durante il dialogo, in più occasioni, Luigi Lai ha messo in risalto lo spirito creativo di Melis il quale, oltre a essere suonatore, si cimentava in ricerche tecnologiche che poteva condurre e realizzare con i soli mezzi finanziari personali. Le innovazioni tecnologiche rappresentavano uno degli argomenti preferiti nelle discussioni familiari, durante i pranzi conviviali, talvolta usando anche toni scherzosi.

Un genio inventore
Per me Melis era un genio e non solo come suonatore ma anche per le sue trovate. Ricordo che uno dei suoi obiettivi era di realizzare una macchina ecologica per “il moto perpetuo”, una macchina che, una volta azionata, avrebbe potuto generare movimento a basso costo. Mi ricordo di aver visto questi suoi congegni, con manovella e pedale. La moglie, signora Barbara Casula, scherzava di queste sue invenzioni, delle quali si parlava durante i pranzi con Antonio Lara e sua moglie, signora Chiara.  Talvolta veniva preso in giro per queste ricerche e s’irritava perché non veniva compreso e perché non veniva preso sul serio. Comunque mi ricordo che parlava anche di contatti con l’università, dove andava per approfondire le proprie conoscenze e per spiegare le proprie innovazioni. La sua idea era di costruire una macchina che, una volta avviata, potesse andare da sola, senza benzina, basata appunto sul moto perpetuo.  Sua moglie (che era un’ottima cuoca) una volta ci accolse dicendoci con tono ironico, “ … oggi siete arrivati a Cagliari con la corriera, la prossima volta prenderete la macchina azionata con il moto perpetuo…”. 
Un'altra macchina che aveva costruito Melis era quella per fare gnocchetti sardi. Mi risulta fosse stato il primo in Sardegna ad averla inventata. A Villamar aveva acquistato un mulino per il grano. A Cagliari aveva aperto un laboratorio (non ricordo bene se in via Nuoro o in via Oristano) ben avviato, poi lo fregarono. Lui non si tenne per sé la scoperta e qualcuno se la brevettò a sua insaputa.
Tra quelli contemporanei, Lai è senza dubbio il suonatore che più si avvicina per mentalità a Melis, avendo come lui cercato di innovare il linguaggio delle launeddas. Tuttavia tiene a precisare che l’innovazione è sempre il risultato di un percorso personale, di una ricerca talvolta sperimentale tesa a scoprire nuove strade espressive. Altro argomento a lui caro è quello concernente la regolazione dello strumento, soprattutto nell’imboccatura dove è sistemata l’ancia, localmente detta su cabitzinu. 

L’importanza delle ance
Contrariamente a quanto talvolta ho sentito dire, Efisio Melis era un uomo buono e umile, per alcuni versi incompreso. Sicuramente non voleva essere preso in giro da inconcludenti suonatori capaci solo di parlare. Per suonare le launeddas al suo livello servono tenacia e tanta umiltà nello studio. Lui lavorava sodo e aveva sacrificato la vita per le launeddas. Chi non suona a quei livelli non può capire tutto il tempo che serve per avere sempre lo strumento intonato. Io lo ripeto sempre ai miei allievi, le launeddas ti rubano la vita, devi continuamente dedicargli del tempo. Di Melis, anche in famiglia, dicevano che era sempre “accuzzende” (affilando), per preparare le ance dei suoi strumenti. Noi l’ancia la chiamiamo “su cabitzinu” ed è la parte a mio avviso più importante dello strumento. Se questa non è perfetta, non si riesce a suonare come si deve. Inoltre è delicata e sensibile, si spacca con facilità e ha durata limitata. Bisogna sempre averne a disposizione per il ricambio. Melis era anche costruttore di strumenti. Oggi gli strumenti sono più rifiniti. In casa di un compaesano ho avuto modo di ritrovare uno strumento di altri tempi. Allora erano legati con spago di canapa, ora si usano spaghi molto più resistenti, i quali danno maggiore stabilità, ma quello che conta è l’ancia. Costruirle non è semplice. Fai e butti, fino a quando non viene quella giusta: è un’arte saperle costruire. Aurelio Porcu diceva che per suonare questi strumenti bisogna essere “pazzi” anche per questo motivo.   Io penso che i tempi siano maturi per iniziare a realizzare delle ance di plastica o in metallo, sfruttando la tecnologia moderna. L’ancia era il cruccio di tutti i grandi suonatori, ho ricordi sia di Lara sia di Melis con l’ancia rotta nel mezzo di una suonata. Quando ciò avviene, per il suonatore è un disastro. Che io sappia nessuno ha ancora provato, ma bisognerebbe ricercare in questa direzione, come hanno fatto i suonatori di cornamusa, i quali ormai usano per lo più ance di plastica che tengono molto bene l’intonazione. Su cabitzinu è quello che fa impazzire i suonatori, dura al massimo un paio di mesi poi si devono buttare via. Bisogna sempre averne di scorta. A San Vito, nel mio paese, era attivo un costruttore di ance bravissimo, dal quale si servivano in tanti. Si chiamava Giuanicu Locci, era nato, se non ricordo male, nel 1890, quindi coevo di Melis. Era bravissimo e rinomato, poi si era dovuto trasferire a Monastir. La base degli strumenti, i calami in canna non sono un problema, durano molto se trattati con cura, ma l’ancia no, si spezza facilmente. Io ho una trentina di strumenti. Se si tiene conto che per ogni strumento è bene tenere a disposizione almeno tre ance, io devo averne disponibili quasi un centinaio. Anche Melis e Lara all’occorrenza acquistavano da Locci. Le teneva in un cassettino, ordinatamente per tonalità. Non ha mai voluto insegnare a nessuno il segreto di come le tagliava. 

Gli stili e la trascrizione musicale
In conclusione un accenno alla musica ascoltata dai due maestri e della possibile influenza sui loro stili. Inoltre, un accenno alla difficoltà di trascrivere la musica su pentagramma in relazione alla pratica esecutiva.
Lara ascoltava ed era dedito esclusivamente alla musica sarda. Facendo riferimento alla nostra musica si è formato Efisio Melis, tuttavia egli visse per un lungo periodo a Cagliari e i suoi riscontri musicali furono diversi. È possibile che avesse avuto modo di ascoltare repertori del mondo classico, sicuramente quello delle canzonette del periodo che, a loro volta, erano spesso influenzate dagli stili della musica straniera. Il suo repertorio era esclusivamente sardo e non saprei dire se altri stili musicali potessero aver influito sul suo modo di suonare. Di certo ritengo che non avesse avuto confronti diretti con musicisti del jazz americano. Lui suonava tutto a orecchio, tutto sardo. All’epoca tutta la musica nell’Isola ruotava intorno al ballo sardo. Sono stato io ad aver iniziato il confronto con i musicisti della musica leggera, ma ciò è avvenuto dopo il mio rientro dalla Svizzera, quando Melis era ormai deceduto. Melis era un innovatore e attento alla novità, per cui se avesse avuto la possibilità, io ritengo che avrebbe utilizzato i propri strumenti per sperimentare nuove strade espressive con le launeddas, le quali sono uno strumento completo. Sulla scrittura delle suonate bisogna accontentarsi di quello che è possibile segnare sul pentagramma, ma l’esecuzione richiede tante piccole sfumature che solo un musicista può comprendere nel vivo della pratica. Ho letto le trascrizioni di Bentzon e ho potuto osservare che sono stati utilizzati solo raramente i mordenti. Le suonate per launeddas sono piene di questi abbellimenti. Le trascrizioni della musica per launeddas non sono semplici, ma per chi suona sono utili. In generale sono scettico sull’uso della tecnologia nella trascrizione, non per i risultati che può dare ma perché il cuore del problema è quello esecutivo, non quello di scrivere la musica ma di saperla suonare come si deve, avendo una conoscenza approfondita dello strumento e dello stile di riferimento. E per capire questo serve tanta esperienza. Per ottenere certi effetti devi sapere come fare, devi conoscere, altrimenti uscirà un suono diverso. 
È una pratica fatta di tanti dettagli, i quali però garantiscono la qualità complessiva del suonatore. A parole sono tutti bravi, nei fatti molti rimangono al più dei buoni soffiatori. Trovare allievi disposti ad approfondire ai più alti livelli è difficile, perché bisogna dedicarci la vita e le possibilità di lavoro con questo strumento al momento sono troppo scarse. La gente non balla più come una volta, le launeddas sono state prima soppiantate dalla fisarmonica, poi dall’organetto che, oggi, va per la maggiore. Molti allievi sono demoralizzati, per le launeddas non c’è sbocco, bisogna studiare ed esercitarsi di continuo. Poi, per sopravvivere, bisogna essere preparati, io ho un nome, leggo la musica e la scrivo e riesco ad adeguarmi anche alle diverse esigenze sonore. Quando serve, amplifico lo strumento, soprattutto quando devo suonare con la banda o con i musicisti più moderni. La tecnologia quando serve va utilizzata, in futuro desidero adoperarla per spiegare dal vivo, per far comprendere passo passo il linguaggio delle launeddas. È un dono che vorrei lasciare ai posteri, a favore di questa meravigliosa arte musicale, tipica della cultura sarda.
Ringraziando il maestro Luigi Lai per il prezioso dialogo, riteniamo doveroso dare risalto all’opera di Efisio Melis, proponendo un ulteriore contributo riferito alla sua produzione discografica. Prosegue il nostro impegno etnomusicologico per valorizzare le launeddas, clarinetti sardi, inestimabile patrimonio dell’umanità.


Paolo Mercurio

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