Michele Gazich – Il Vittoriale brucia (Moonlight Records/FonoBisanzio/I.R.D., 2024)

Sin dall'esperienza con La Nave dei Folli, l’approccio di Michele Gazich ai concerti si è caratterizzato per lo straordinario senso di unitarietà della narrazione che intesse tra i brani proposti sul palco. Ognuno di essi non è scelto mai a caso, ma va a comporre una sorta di unica suite nella quale le canzoni si intrecciano a brevi monologhi di presentazione. Allo stesso modo, non casuale è molto spesso la scelta dei luoghi dove si tengono i suoi concerti, location particolari permeati da particolari vibrazioni ed onde di forma che arrivano a pervadere le sue performance. Tutto ciò era apparso chiaro già in quella splendida serata del 18 maggio 2012, quando andò in scena nel Duomo Vecchio di Brescia il concerto realizzato a margine dei tre giorni del convegno “Verso Damasco. Amore e Carità in San Paolo. La parola, la musica e l’arte” presso l’Università Cattolica del Scaro Cuore di Brescia e documentato dal libro, cd e dvd “Verso Damasco”. A distanza di dodici anni, Michele Gazich in occasione del Record Store Day ha pubblicato “Il Vittoriale brucia”, album dal vivo che raccoglie la registrazione del concerto tenuto a Gardone Riviera (Bs) presso l’Auditorium del Vittoriale il 28 novembre 2021. Si tratta di una performance di rara intensità che intreccia canzone e poesia, un viaggio evocativo tra Eugenio Montale, Primo Levi, Pier Paolo Pasolini, Paul Celan, Ingeborg Bachmann e naturalmente Gabriele d’Annunzio, il padrone di casa.  Abbiamo intervistato lo “scrittore di canzoni” bresciano per farci raccontare questo nuovo progetto.

Come si è evoluto in questi anni il tuo approccio ai concerti?
Ricordo, caro Salvatore, la tua presenza al concerto nel Duomo Vecchio di Brescia e soprattutto il tuo intervento critico all'interno del libro che accompagnava "Verso Damasco":  la tua "Guida all'ascolto di Michele Gazich" da allora è rimasta di riferimento per chiunque si sia approcciato al mio lavoro artistico. All'epoca (anche se avevo più di vent'anni di carriera alle spalle) ero un paradossale esordiente! Avevo, infatti, esordito l'anno prima come cantante delle mie canzoni con "L'Imperdonabile". Entravo dunque proprio allora nell'arte del canto, o meglio del recitar cantando, quasi in punta di piedi. Il mio cantato era a quei tempi poco più di un sussurro, ero reduce da una grave malattia, ma sentivo che potevo appendere tutto me stesso a quel brandello di voce. Non ero più "solo" un violinista. Quella sera a Brescia, circondato dall'affetto dei miei concittadini, inauguravo un percorso che, nel corso del tempo, si è fatto sempre più definito e riconoscibile.  Il mio pubblico ha cominciato a riconoscere le canzoni e a riconoscersi in esse. Il concerto si è evoluto in direzione dello scambio con le persone che vengono ad ascoltarmi, che ora si coinvolgono maggiormente. Ogni mio concerto è diventato una sorta di celebrazione, in cui anche il pubblico canta e viene da me "benedetto" al rintocco di campane e campanellini, che io chiamo "percussioni psicoacustiche"... 

Come "Verso Damasco" di dodici anni fa, "Il Vittoriale Brucia" nasce da un concerto particolare nel quale, partendo dal Gabriele d'Annunzio antifascista, si arriva a Pier Paolo Pasolini. Ci puoi raccontare la genesi di questo progetto?
Scrivere (musica e parole) è la mia ossessione, ma non mi viene facile, ci metto sempre tanto tempo. La canzone che dà il titolo a questo album dal vivo "Il Vittoriale brucia" mi ha accompagnato per otto anni (dal 2012 al 2020). Pensavo di non concluderla mai; sotto questo titolo, per anni e anni, ho scritto tante canzoni diverse, che poi si sono cristallizzate in una sorta di "suite", una sorta di compendio, che raccoglie vari momenti musicali e testuali, anche in lingua abruzzese... Ha richiesto tempo anche lo studio dei documenti d'archivio: volevo documentare con precisione la mia "provocazione" di un D'Annunzio antifascista. Provocazione che è stata accolta e mi ha portato a suonare proprio a casa del vate, al Vittoriale. Ho sentito la sua presenza quella sera, tutti hanno sentito una vibrazione particolare nell'aria. La scaletta era dedicata quasi esclusivamente alla poesia e ai poeti, visto il contesto: non solo D'Annunzio, ma anche Montale, Paul Celan, Ingeborg Bachmann, Pasolini, etc...

Il repertorio del disco spazia dal tuo ultimo disco in studio "Argon" a "Guerra Civile" che hai inciso con La Nave dei Folli. Come si sviluppano e cambiano dal vivo le tue canzoni rispetto alle versioni in studio?
Il mio maestro in questo senso è Bob Dylan. Come lui, cerco di non rifare mai le canzoni allo stesso modo. Considero la prima registrazione delle mie canzoni come il documento di un dato momento creativo, la fotografia di un istante. Non mi sento vincolato alle versioni in studio. Quelle esistono già; dal vivo mi piace proporre qualcosa di nuovo e di stimolante per chi mi ascolta. Emblematica in questo senso
la canzone "Come Giona", che personalizzo sempre, a livello testuale, in base alle circostanze, al tipo di concerto, alle persone che mi trovo davanti. Tutti noi siamo "come Giona", tutti noi non possiamo sfuggire al nostro destino quale che sia. Il suo destino era fare il profeta e D-o lo ha convinto con mezzi coercitivi, che includevano anche una balena...

Andando a ritroso sin alla tua opera prima come cantautore, il toccante ed intenso "L'imperdonabile" la tua voce ha acquisito sempre più intensità, si è arricchita di sfumature e di intensità evocativa. Come hai lavorato in questo senso?
Ho osservato e ascoltato soprattutto i cantanti che accompagnavo nel corso del tempo. Ho la grazia di non avere un ego troppo espanso (a differenza della maggior parte degli artisti) e posso mettermi molto felicemente a lato, accompagnando dal vivo e in studio altri cantautori e songwriter. Da Eric Andersen ho imparato a far risuonare la parte più profonda della mia voce; da Mary Gauthier ho acquisito la capacità di far giungere l'emozione con un cantato fermo e controllato, senza troppe sottolineature espressioniste; più recentemente da Moni Ovadia, con cui sono in tour in questi giorni, sto imparando come dare una dimensione più teatrale alle introduzioni alle canzoni (non più semplici didascalie, ma parte esse stesse della performance). Ho poi lavorato molto sul mio respiro, attraverso lo Yoga ma non solo. Oggi riesco a controllarlo con più precisione ed efficacia.

Dal punto di vista musicale "Il Vittoriale brucia" è il primo disco che documenta la fortunata collaborazione con Giovanna Famulari. Quanto è stato importante per te questo incontro?
Incontro decisivo, avvenuto nel 2016 a Ferrara, in uno dei festival dedicati alla canzone d'autore voluti e organizzati da Pino Calautti, oggi purtroppo scomparso. Qualche giorno fa Giovanna ed io l'abbiamo ricordato, con tanti altri artisti, proprio alla Sala Estense di Ferrara, dove ci incontrammo. Quella sera di otto anni fa capimmo che avremmo suonato insieme. Io partecipavo con Marco Lamberti e ricordo che, finito il nostro set, ascoltammo profondamente ammirati Giovanna accompagnare Mario Castelnuovo. Giovanna poco prima aveva ascoltato noi. Immediatamente dopo il concerto ci promettemmo di rivederci. E avvenne, grazie alla pandemia! In quella fase ci trovammo entrambi molto liberi (come tutti i musicisti) e finalmente ci fu modo di incontrarci con la cura e la calma necessaria. Giovanna ed io siamo entrambi di formazione classica. Formazione che non abiuriamo, ma che portiamo con forza nel mondo della canzone d'autore. Giovanna appariva già in realtà, seppur in una sola canzone, nel mio album precedente, "Argon", nella canzone "La Maga e lo Straniero", per la quale girammo un video molto begmaniano mentre giocavamo a scacchi in riva al mare. Quella canzone, in cui oltre ai nostri strumenti, duettano le nostre voci è stata un importantissimo punto di partenza per la nostra collaborazione.

In questo disco al tuo fianco, immancabile, c'è sempre "il Maestro dell'anima" Marco Lamberti. Quanto è stato importante in questi anni?
Da quasi vent'anni suono con Marco. Quando scrivo una canzone, lui è sempre il primo ad ascoltarla. Il suo parere e il suo apporto nell'arrangiamento sono per me sempre fondamentali. Nei miei dischi lui c'è sempre con chitarre acustiche, classiche o elettriche, bouzouki, basso, pianoforte e alle volte anche con la sua voce. Collaboriamo con crescente intensità, recentemente abbiamo anche scritto insieme la musica per alcune canzoni. I frutti più belli della nostra amicizia e della nostra collaborazione sentiamo che devono ancora arrivare.

Quali emozioni ti sono rimaste di quella serata del 28 novembre 2021 al Vittoriale?
Sono passati tre anni, ma mi pare ancora un miracolo aver cantato di D'Annunzio al Vittoriale proprio al Vittoriale! Credo che questo disco sia il primo album di canzoni d'autore registrato presso l'Auditorium del Vittoriale. Sentivo che stavo facendo qualcosa di nuovo, sentivo che stavo ricaricando di senso e di urgenza vera me stesso, la mia arte e in fondo anche quel luogo.

Concludendo, "Il Vittoriale brucia" anticipa la pubblicazione nel 2025 del tuo nuovo disco in studio "Solo i miracoli hanno un senso stanotte in questa trincea" al quale ti stai avvicinando con la serie di concerti "Miracoli in viaggio". Ci puoi raccontare questo percorso?
Il nuovo album è registrato solo con Giovanna: le nostre voci, il pianoforte, violino, viola, violoncello, melodica e qualche campanellino. Si tratta di un album in cui recuperiamo la nostra eredità classica, come dicevo prima, e la facciamo dialogare con la canzone. I maestri del classicismo e del primo romanticismo viennese (Haydn, Mozart, Beethoven, ma anche Schubert) dialogano con la canzone d'autore. Le mie canzoni (tutte originali tranne una per la quale lascio ai miei ascoltatori il gusto della sorpresa) incorporano elementi musicali e allusioni a questi autori. Penso che sia l'opera che più mi rappresenta, a livello musicale e testuale. A proposito di tempi lunghi, ci ho lavorato per quindici (!) anni. E non sono pentito. Un ultimo spunto: la realtà che ci circonda è talmente incredibile, cioè difficile a credersi, tanto è dolorosa e faticosa. Per me è più semplice credere ad un miracolo. E sperarci, sperare in una scaturigine di luce in questi tempi violenti e oscuri: "solo i miracoli hanno un senso stanotte in questa trincea".


Michele Gazich – Il Vittoriale brucia (Moonlight Records/FonoBisanzio/I.R.D., 2024)
I concerti di Michele Gazich sono forse troppo riduttivamente definibili come tali. Sono piuttosto degli spettacoli che si muovono su piani espressivi differenti, delle esperienze uniche nel loro genere da vivere con intensità, lasciandosi coinvolgere dalla poesia, dalle storie e dalle suggestioni che pervadono le sue canzoni, toccando l’anima fino a commuoverci. Ognuna di esse, infatti, affonda le radici in un immaginario poetico che abbraccia la letteratura, la canzone d’autore e l’arta figurativa, ma soprattutto sono straordinariamente permeabili alle vibrazioni che emanano luoghi particolari nei quali prendono vita le sue performance. Sul palco, mentre suona il violino o canta, accade spesso di coglierlo con gli occhi chiusi, trasportato quasi in una sorta di trance, attraverso cui si sembra ricongiungersi con le ispirazioni che hanno dato vita alle sue canzoni. Nelle sue liriche, c’è la sua formazione classica, i chilometri di strada fatta in giro per il mondo, i tanti incontri che hanno caratterizzato il suo cammino di “ebreo errante col violino”, immagine questa a lui molto cara e che rimanda alla sua passione per Marc Chagall. Michele Gazich è, dunque, un artista in continua ricerca, animato da una curiosità febbrile per la conoscenza e dalla ben chiara progettualità ermeneutica. In questo percorso si inserisce “Il Vittoriale brucia”, disco dal vivo registrato a Gardone Riviera (Bs) presso l’Auditorium del Vittoriale il 28 novembre 2021, durante uno dei concerti di presentazione di “Argon”. Pubblicato in occasione del Record Store Day, questo nuovo album è un prezioso documento di una serata speciale, che prende le mosse da una rilettura “a-fascista” se non, addirittura, antifascista delle ultime opere e dell’ultimo tratto dell’esistenza di Gabriele D’Annunzio per toccare le storie e le vicende di scrittori e poeti come Primo Levi, Shelomò Ibn Ghevirol, Eugenio Montale, Ingeborg Bachmann, Paul Celan, Jean Flaminien e Pier Paolo Pasolini. Il repertorio scelto per questo concerto spazia dal primo album con la Nave dei Folli e giunge fino ai brani più recenti, perseguendo non già un criterio antologico, ma piuttosto componendo una sorta di lunga suite per settanta minuti di emozioni. A caratterizzare i brani sono molteplici sfumature musicali dal folk al rock, passando per la poetica di Bob Dylan e Leonard Cohen, ma soprattutto una cifra stilistica personale che, con il passare degli anni, si è fatta sempre più riconoscibile, muovendo dal recitar-cantando dei primi album come solista, ad un approccio al canto unico nel suo genere. Ad affiancare Michele Gazich (voce, violino, pianoforte) sul palco sono Giovanna Famulari (voce, violoncello) e il “maestro dell’anima” Marco Lamberti (voce, chitarra) a cui si aggiunge la voce della cantante armena Rita Tekeyan. L’ascolto rivela un sound diretto ed essenziale con gli arrangiamenti cesellati per sottrazione, a far emergere le strutture e le melodie originarie dei brani. Ad aprire il disco è “Guerra civile”, un brano prepotentemente attuale, con il violoncello e il violino che tessono la melodia sonora su cui si adagia il canto sofferto di Gazich. Colpisce il riferimento alla strage terroristica che il 28 maggio 1974 si consumò in Piazza della Loggia a Brescia e l’ultimo verso, pesante come un macigno, che racchiude buona parte della storia della nostra nazione: “Dio sopravvive nei dettagli/nelle carte nascoste nei muri d’Italia”. Si prosegue con le atmosfere noir da murder ballad di “Storia dell’uomo che vendette la sua ombra”, un dialogo a due voci in cui una madre parla al figlio che ha venduto la propria anima al maligno. Uno dei vertici del disco arriva con “Argon” proposta in una versione più scarna di quella in studio ma non meno affascinante con violino, violoncello e chitarra a tratteggiare la linea melodica, fino all’ingresso della voce di Rita Tekeyan che, sul finale, duetta con Gazich in una preghiera in uso nella comunità ebraica piemontese. Si torna al primo disco de la Nave dei Folli con “Come Giona” a cui è affidato il racconto delle vicende del profeta Giona, mentre in “Canticchiare aiuta” si scopre il ritratto di Eugenio Montale da anziano e a cui è affidata una riflessione profonda sulla morte. Momento cardine del disco è “Il Vittoriale brucia”, introdotta da un breve monologo di Gazich e nella quale vengono tratteggiati con profondo lirismo gli ultimi anni di vita di Gabriele D’Annunzio, vissuti confinato dal regime fascista nel monumentale Vittoriale, lontano dalla scena politica, ma che scrive ancora in “segreto” brevi liriche introspettive che riflettono la tristezza di lunghi sedici anni. Il brano si conclude con un breve sonetto in abruzzese dello stesso D’Annunzio che Gazich ha musicato immaginandolo come un canto tradizionale. Arriva, poi, “Alice, la bambina” da "Temuto come grido, atteso come canto" del 2018 ed ispirato ad una delle storie raccolte dall’archivio del manicomio di San Servolo a Venezia. L’arpeggio della chitarra di Lamberti e il violoncello della Famulari avvolgono la bella rilettura de “L’angelo ucciso”, da “Dieci esercizi per volare” con la Nave dei Folli del 2010, in cui è racchiusa la storia di Pier Paolo Pasolini, la cui scomparsa ha segnato profondamente la cultura italiana privandola di una delle sue voci critiche più sensibili. Ascoltiamo in sequenza il dramma della distruzione della Biblioteca di Colonia de “La biblioteca sommersa” da “La via del sale” del 2016 e il poetico valzer “Il fuoco freddo della luna” da “Argon” che ci conducono alla struggente rilettura “Il latte nero dell’alba” da “L'imperdonabile”, tratta da una poesia di Paul Celan (1920-1970), che chiude il disco. “Il Vittoriale brucia” ci restituisce intatte le emozioni che suscitano i concerti di Michele Gazich, una testimonianza di vivida bellezza di una serata che resterà a lungo nella memoria di chi ha avuto la fortuna di esserci. Il disco è in tiratura limitata e numerata in vinile con cd e QR Code per scaricare i brani in alta risoluzione. Le prime sette copie, dedicate ai collezionisti, conterranno il testo manoscritto di uno dei brani contenuti nel disco in vinile.

Salvatore Esposito

Foto di Maurizio Malabruzzi (1, 3, 4, 5), Umberto Favretto (2), Andrea Orlandi (6) e Alle figlie del Lupo (7)

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