Verso Damasco, il box set che documenta in cd e dvd, lo splendido concerto del 18 maggio 2012 tenuto nel Duomo Vecchio di Brescia, chiude un importante ciclo del percorso artistico di Michele Gazich, lo abbiamo intervistato per approfondire con lui le tematiche, gli aspetti poetici e spirituali della sua opera.
Un concerto, un disco, un dvd, e finanche un libro di approfondimento alle (sue) canzoni. Il progetto Verso Damasco risulta alquanto articolato, perdoni la didascalia, ma gradirei cominciare dall’inizio. Come, quando e perché è nata l’idea di questo cd/dvd?
La realizzazione di questo progetto ha richiesto due anni circa. È tutto iniziato con la scrittura dell’omonima canzone: una composizione ampia, che, muovendo dall’imprescindibile inno all’amore, contenuto nella Prima Lettera ai Corinzi di San Paolo, invita noi tutti ad arrenderci all’amore. Possiamo parlare la lingua degli uomini e quella degli angeli, ma, se non abbiamo l’amore, che facciamo della nostra vita? Il libro di 100 pagine, in italiano ed inglese (con traduttori eccellenti come Mark Olson ed Eric Andersen) contiene i testi delle mie canzoni ed approfondimenti su di esse, ma anche la notizia del convegno che avevo organizzato, nei giorni attorno al concerto, presso l’Università di Brescia, con esperti da tutta Italia, che hanno approfondito la figura e il pensiero di San Paolo, non solo in maniera confessionale: si è parlato, ad esempio, dei San Paolo di Pasolini e di Rossellini, ma anche di taranta, nella quale San Paolo ha un ruolo non indifferente… Ma non vorrei dilungarmi troppo. Per queste cose ed altro, c’è, appunto, il libro. Mi piace qui ricordare Enrico Fappani, il brillante regista che ha girato il film-concerto e il documentario, a cura del critico musicale Luca Barachetti, che lo accompagna.
Nel recensire il disco ho individuato nella ricerca il filo rosso tematico di gran parte delle tracce. Ricerca di senso e di autenticità prima ancora che del divino. Si trova d’accordo con questa lettura?
Sono d’accordo. Sacro è anche un vino buono. Il senso del sacro e del divino viene accantonato dalla nostra contemporaneità avida e scientista, ma rientra da ogni finestra. La vita è troppo breve, meglio almeno tentare di viverla in maniera autentica.
Un’altra cosa che mi è sembrato evincere dall’ascolto del cd è la sua divergenza da temi e musiche consueti. Fino a che punto ha calcolato i rischi di un’operazione concettualmente ardita, sotto molti punti di vista elitaria?
La cosa peggiore è presumere che il pubblico sia stupido. Non l’ho mai pensato; non ho mai pensato di diluire, di svilire il mio messaggio, di banalizzare la mia musica per strizzare l’occhio a un presunto mercato, che, tra l’altro, ormai esiste solo per i prodotti di nicchia come il mio. Il sistema è a pezzi, il pop di plastica e sterco non si vende più neanche con la TV. Ho fiducia in chi mi segue e in questo fecondo tempo di crisi in cui i cuori stanno tornando al cuore.
Il focus anti-conformista (anti-consumista?) dell’album mi sembra rafforzato dalle citazioni (non casuali) di due scrittori-poeti civili del secolo passato. Mi riferisco a Pier Paolo Pasolini di "L’angelo ucciso" e a Ezra Pund di "Poeta in gabbia". Le andrebbe di spendere due parole in tal senso?
Pasolini e Pound, oscenamente strumentalizzati politicamente dopo la loro morte, sono facilmente stati etichettati e poco letti. Mi fa immensamente piacere che lei abbia colto un punto fondamentale del loro messaggio e che io condivido, cioè: non tutto si può comprare. Molte cose non sono in vendita: un tempio, una chiesa, la nostra speranza. La Guerra Civile dei nostri giorni è tra i soldi e l’amore.
La galleria di figure contro-vento non si esaurisce con Pound e Pasolini. Penso anche al “santo bevitore” di matrice letteraria dell’omonima canzone e alla misconosciuta ai più Cristina Campo ("L’Imperdonabile"). Un piccolo drappello di anime controcorrente a sostegno del fatto che oggi come oggi l’autenticità e il coraggio autentico si rintracciano nelle “crepe dei centri commerciali”?
Sono tempi difficili, di strade strette ma che sento allargarsi e riempirsi di nuovi passi giorno dopo giorno. Nell’VIII secolo Isidoro di Siviglia scriveva ai suoi amici che ormai in Europa erano in otto a sapere il greco antico. Grazie a questi otto che sono andati avanti a trascriverlo, possiamo leggere Sofocle e Platone oggi. La storia ha avuto tanti passaggi stretti; sono momenti che devono responsabilizzarci e spingerci a fare: non a piangere e a compiangere l’esiguità del drappello. Passeranno, prima di quanto crediamo, i centri commerciali, ma si andrà avanti a leggere Sofocle o il Cantico dei cantici, anche se forse si ricomincerà a stampare al torchio…
L’ultima mia citazione era una parafrasi da "Guerra Civile", una traccia quasi alchemica per la riuscita combinazione tra musica e parole, detto e evocato, anche sotto l’aspetto musicale. Vuole accennare all’origine di questo brano?
È la composizione a cui sono più legato, nata nel 2007 mentre attraversavo in tour con Mark Olson l’America e i suoi centri commerciali e percepivo le avvisaglie di quella crisi che in tempo brevissimo ha raggiunto anche la vecchia Europa. “Alchemica” è la parola giusta: auspico una trasformazione e un nuovo inizio per il nostro barcollante Occidente.
"Verso Damasco" è quasi interamente percorso da un afflato divino. Non posso non chiederle del suo rapporto con le sacre scritture. Come e quando è cominciato, e soprattutto perché, a un certo momento, ha avvertito l’esigenza di farne il filo conduttore della sua discografia?
Le scritture, e ciò che si è scritto attorno ad esse nei millenni, accompagnano la mia vita e dunque la mia scrittura: per me le due cose coincidono. Shekinah è il titolo di uno dei brani inediti presentati in questo concerto. È una parola ebraica: indica la presenza di Dio nel mondo: il faccia a faccia uomo Dio. La mia vita è da sempre stata percorsa dalla Shekinah, da quotidiane epifanie del divino. Mai confortanti, mai rassicuranti, mai mi hanno fornito certezze. Io sono un uomo dalla fede problematica, checché possa sembrare. Come scriveva il poeta tedesco Hölderlin, un vero imperdonabile, non a caso rinchiuso per anni in una torre-prigione: “Vicino e difficile da afferrare è Dio, ma dove cresce il pericolo cresce anche ciò che ti salva”.
Ho come l’impressione che questo lavoro possa rappresentare per la sua carriera artistica un punto di arrivo e di-ripartenza insieme. Cosa intravede lei, infine, oltre Damasco?
È così. Si chiude una fase. Nel corso del 2013 riproporrò questo concerto in Italia ed Europa, non solo in luoghi sacri. Per la prossima primavera è prevista anche una stampa in vinile almeno di parte di questo concerto a cura della Meyer Records, etichetta di Colonia con la quale condivido idee e percorsi. Mi fa piacere ringraziare, prima di concludere questa intervista, Marco Lamberti e Francesca Rossi, ottimi musicisti e meravigliosi esseri umani, che mi sono stati accanto nell’affinamento del mio percorso musicale e che, non a caso, erano con me nel Duomo di Brescia, in occasione della registrazione di quest’opera. Mi seguiranno anche in futuro, insieme ad altri musicisti, nella mia prossima produzione discografica: già da tempo ci sto lavorando e ci lavorerò ancora a lungo. È un’opera più articolata a livello sonoro e caratterizzata da una scrittura più narrativa che lirica. Narra la storia della mia famiglia, dalla fine dell’Ottocento alla metà del Novecento, partendo dalle memorie della mia bisnonna. La famiglia Gazich si è mossa, in quel periodo, da Istanbul alla Dalmazia; poi in America e in Italia. Da anni sto studiando le tradizioni folk e popolari di questi luoghi. Sarà un disco con forti influenze folk, etniche. Ricordo, infine, che il BOXSET "Verso Damasco" è distribuito in Italia da Synesius Distribuzione, ma che può essere acquistato anche e soprattutto attraverso il mio sito: www.michelegazich.it. Amo istituire un contatto diretto con chi mi segue e condivide la mia Guerra Civile.
Le immagini a corredo dell'intervista sono tratte dal DVD, "Verso Damasco"
Michele Gazich - Verso Damasco (FonoBisanzio)
CONSIGLIATO BLOGFOOLK!!!
Nel libro-booklet di Verso Damasco l’indice dei nomi e delle opere citate non compare. La lunga sequela di rimandi si evince dall’ascolto, e/o dalle note esplicative alle canzoni. Facendo un po’ di conti - in rigoroso ordine di apparizione/suggestione/traslazione - si susseguono in scaletta: Ingmar Bergman (traccia 1), Flannery ‘O Connor (traccia 2), Akira Kurosawa (traccia 4), Joseph Roth (traccia 5), San Paolo (traccia 7), Allen Ginsberg (traccia 8), Giona (quello della Balena, traccia 9), PierPaolo Pasolini (traccia 10), Ezra Pound (traccia 13), Cristina Campo (traccia 14), Paul Celan (traccia 15). E mi auguro di non essermi perso nessuno: ti ci puoi smarrire tra le pieghe fratte delle ballate di Michele Gazich, demiurgo del Progetto. L’elenco dei famosi evocati in impronta non è fine a se stesso: serve a restituire l’idea dell’imponente lavoro di assemblaggio, scrittura-riscrittura messo a punto dal post-cantautore, di disco in disco, col tempo e nel tempo. Questo suo live numero uno è qualcosa di diverso e di più di un live-antologia di senso comune. Prima ancora che il riassunto fedele (anche attraverso il DVD compreso in cofanetto) del concerto al Duomo Vecchio (Brescia) dello scorso 18 maggio, è una partitura poetica per voce e strumenti soli. Una suite poderosa. Settantaquattro minuti e spiccioli di musica colta, trasversale, suggestionante, ultramondana e civile al contempo, salmodiante, indignata, affatto sloganistica. Qualcosa di collocabile trasversalmente tra il Cohen più metafisico, l’opera classica e il Bubola di Segreti trasparenti. Un album a tesi, come si sarebbe scritto una volta, la summa esaustiva del Gazich-pensiero sull’armonia musicale, su Dio e sul mondo. Chi ha visto il post-cantautore esibirsi dal vivo non se ne dimenticherà facilmente. Gli altri che se lo sono perso potranno ricorrere senz’altro a Verso Damasco (14 tracce audio, 16 video), per rifarsi orecchie & cervello torturati dal pop (per non dire di peggio). Un viaggio senza bussola sulla rotta di magnetismi vari ed eventuali (filosofici, biblici, letterari), un concerto a-tipico, rarefatto, irretente, in formazione scabra, quasi da soirèe: chitarra classica, pianoforte, violino, viola, violoncello (con Gazich hanno diviso la scena Marco Lamberti e Francesca Rossi, anche seconda voce). Ne discende un suono asciutto, impeccabile, con molti vuoti: nessuna concessione all’effettistica e nemmeno ai generi musicali di convenzione. Più che in zona islam-punk di lindoferrettiana memoria, siamo in terreno biblico, dalle parti del folk franco/piemontese, delle ballate stilnoviste, dei salmi kaddish. In presenza di un recitar-cantando, misurato quanto basta per distillare/assaporare appieno le parole dentro alle canzoni che – alla faccia della coercizione della rima – pesano (e volano) come poesie. Le ingerenze tematiche sono dialettiche: dalla metafisica tout-court (Shekinah, viene dall’ebraico e indica la presenza di Dio nel mondo), alla stigmatizzazione del degrè zero quotidiano (la stra-ordinaria Guerra civile: “Dio sopravvive nei dettagli/ nelle crepe dei centri commerciali”), dagli omaggi a Pasolini (L’angelo ucciso), Pound (Poeta in gabbia) e alla parca & fiammeggiante Cristina Campo (L’Imperdonabile), alle citazioni cinefile-letterarie (L’angelo ubriaco, Leggenda del santo bevitore) e bibliche (Verso Damasco, Come Giona, Fuoco nero su fuoco bianco). Figurano anche due ballate d’amore, peraltro non di senso univoco (Leggenda degli amanti che camminano sul filo, Ultima canzone d’amore). Ma nella circostanza si cita per citare, chè le canzoni non si spiegano, quelle di questo disco meno che mai. Andrebbero piuttosto assunte come i capitoli di un discorso unitario sulla ricerca: del divino - che, a ben guardare, altro non è che ricerca di senso, autenticità, amore. In ultimissima analisi: Verso Damasco suona come un disco adamantino, elegante, controcorrente (per forma e contenuti) e dunque imprescindibile. Prova provata di come si possa (di debba) essere divergenti, contro-vento ai diktat del mercato (discografico, ma non solo), scrivere-suonare-cantare per necessità interiore, quasi per istinto di conservazione. Un album denso e rarefatto come i silenzi che si ri-trovano solo in alta quota.