Arturo Stàlteri – Dodecagon. Arturo Stàlteri plays Philip Glass (Orange Mountain Music, 2023)

L’attività discografica di Arturo Stàlteri negli ultimi anni è stata particolarmente intensa non solo per la pubblicazione di lavori pregevoli come “Low & Loud”, “Trilogy” e “Spirit of the Past”, ma anche per la ristampa di intriganti materiali di archivio come “...e il pavone parlò alla luna”, “From Ajanta to Lhasa” e il più recente “La visione dei Tarocchi”. Dal passato, per certi versi, arriva anche il nuovo album “Dodecagon” che lo vede riprendere in mano il progetto “Circles” del 1998 dedicato a Philip Glass, rileggendo con nuovi arrangiamenti gran parte delle composizioni dello statunitense scelte all’epoca, con l’aggiunta di alcune sorprendenti novità. Ne abbiamo parlato con il pianista, compositore e conduttore radiofonico romano per farci raccontare questo nuovo capitolo della sua produzione discografica, non senza dimenticare uno sguardo verso le produzioni future.

Com’è nata l’idea di realizzare “Dodecagon”?
Non era affatto prevista la realizzazione di questo disco. Un anno fa, mentre stavo lavorando a quello che dovrebbe essere il prossimo album che raccoglierà composizioni mie, mi è arrivata una mail da Richard Guerin, il braccio destro di Phillip Glass e curatore con Don Christensen dell'etichetta Orange Mountain Music, nella quale mi scriveva che apprezzava molto il mio “Circles”, disco nel quale rileggevo nove composizioni di Phillip Glass, uscito nel 1998 per Materiali Sonori. Era un lavoro un po’ dimenticato della mia discografia e voleva sapere se ero interessato a ristamparlo in digitale per la sua etichetta. 
Tuttavia, non amo molto quel disco per diversi motivi, innanzitutto per un fatto pratico avendolo registrato con un pianoforte non era il massimo e poi avrei voluto suonare diversamente i vari brani. Ho colto, così, l’occasione di quella richiesta per rilanciare e proporgli di inciderlo nuovamente, cambiando solo alcuni brani, ma suonandolo con un pianoforte diverso e con una maturità e una consapevolezza differente rispetto a quella di venticinque anni fa. La risposta di Gavin e della Orange Mountain Music è stata positiva, così sono andato in studio, ho reinciso i brani, togliendone alcuni ed aggiungendone altri e poi gli ho spedito le registrazioni. Il lavoro gli è piaciuto molto, tanto è vero che mi hanno chiesto anche di farne le copie fisiche in cd. In download è stato pubblicato dal 29 maggio ed è stato pubblicizzato anche sul sito di Phillip Glass, mentre il 7 luglio è uscito anche su disco. Ha avuto già un bel riscontro a livello internazionale e devo dire che è stata una cosa un po’ imprevista, ma di cui sono molto contento. 

Con quale criterio hai selezionato i brani da rileggere in “Circles” e quelli da eliminare ed aggiungere in “Dodecagon”?
Quando ho inciso “Circles” nel 1998 avevo in repertorio composizioni di Glass come “Metamorphosis” e “Mad Rush” e, infatti, li ho poi incisi nel disco. Sono innamorato di “North Star”, una suite che Glass scrisse per un film negli anni Settanta ed era in origine per ensemble con organo, voce, sintetizzatore e ne incisi un brano per “Circles”. In “Dodecagon” ho ripreso alcune composizioni che avevo già inciso e li ho risuonati con la visione e l’approccio di oggi. Da “North Star” ho cambiato alcuni pezzi e ho aggiunto
“Ange des Orages” che, all’epoca, mi sembrava impossibile da fare e che ho registrato sovraincidendo otto pianoforti. Ho, poi, aggiunto “Etude no. 8” uno studio di Glass, pubblicato recentemente e che trovo molto bello. Diciamo che al 70% è il “Circles” dell’epoca con un 30% diverso ma con nuove esecuzioni. 

Identità e differenze tra i due dischi…
Ci sono venticinque anni di differenza tra i due dischi. Ci sono di mezzo, oltre agli anni, tantissimi ascolti, esperienze differenti, dischi. Tutto rientra nel modo in cui si suona, ma soprattutto in “Dodecagon” c’è una maggiore sicurezza. All’epoca, “Circles” era un tentativo di rielaborare Philip Glass, mentre questo nuovo disco l’ho affrontato con la consapevolezza che il precedente era andato molto bene e questo mi ha consentito di approcciare le riletture con più tranquillità. Certo l’aver avuto il sostegno dell’entourage di Phillip Glass è stato un valore aggiunto, così come sapere che il progetto era nato da una loro richiesta. Tutto sommato, l’approccio è stato simile perché trovo Glass tra i più importanti compositori del Novecento. 

Quali accorgimenti hai utilizzato per la registrazione di “Dodecagon”…
All’epoca di “Circles” utilizzammo uno Yamaha a mezza coda non particolarmente fantastico, in questo caso ho utilizzato sempre uno Yamaha ma a gran coda. A differenza del disco del 1998 in cui avevo utilizzato il pianoforte solo con qualche sovraincisione, questa volta ho utilizzato alcuni trattamenti come
in “Opening” ho ripreso l’incisione di “Circles” e l’ho rovesciata sovrapponendola alla nuova registrazione e il risultato ha un effetto molto particolare. Su “Ave” da “North Star” ho curato molto i riverberi facendoli passare da un canale all’altro”, mentre come dicevo per “Ange des Orages” ho utilizzato otto pianoforti, impossibili da mettere a tempo all’epoca, ma che grazie ad un computer sono riuscito a farli andare in sincrono. Quando vidi, Glass che eseguiva questo brano con il suo ensemble negli anni Settanta a Roma rimasi veramente sconvolto perché erano una macchina da guerra, erano precisissimi, non c’era un suono fuori posto. La tecnologia oggi consente di migliorare le caratteristiche delle singole composizioni come i livelli e la dinamica e questo mi ha consentito in poco tempo di registrare le varie tracce e di lavorarci con calma, rispettando i tempi della casa discografica.

Rispetto alle composizioni originali hai aggiunto qualcosa di tuo alle varie tracce?
Ho aggiunto il mio essere romantico, l’amore per Wim Mertens, i miei studi classici, Chopin, Schubert, Beethoven e, pensa, che qualcuno ha detto che “Metamorphosis Three” sembra “Chiaro di luna”. Per me è stato un bel complimento.

Che cosa ti ha colpito della scrittura di Glass?
Nella mia carriera ho ascoltato sempre tre grandi compositori: Terry Riley che mi piaceva per l’aspetto mistico e il suo modo di raccontare in musica l’India; Steve Reich per la matematica portata all’estremo pur usando ritmi provenienti dall’Africa; e Philip Glass perché era una sintesi di questi due mondi. Lui faceva il tassista e nelle sue composizioni c’è questa atmosfera metropolitana con un incedere ciclico, ma rigoroso. Penso a “Metamorphosis” che è degli anni Ottanta e nella quale si trovano chiavi di lettura sempre nuove, o alcune colonne sonore che ha scritto, o ancora in altre composizioni in cui si trovano le influenze indiane, perché aveva studiato il Prāṇatha e il Dhrupad (stile musicale) con Pandit Pran Nath, importante artista pakistano. Mi piaceva questa combinazione tra l’America con le sue atmosfere urbane e questa tensione verso il misticismo che non è mai predominante. Glass è stato ed è una grande fonte di ispirazione perché ascoltando le sue composizioni si scopre sempre qualcosa si nuovo.
 
Come si evolve dal vivo “Dodecagon”?
Sin ora, ho avuto modo di suonare questo disco una sola volta dal vivo perché i concerti di questa estate erano già programmati. Il disco presenta una prima parte con un solo pianoforte, la seconda in cui rileggo “North Star” con più pianoforti da due a otto e un omaggio a Michael Riesman che era uno dei collaboratori di Philip Glass e che aveva rielaborato per tre pianoforti “Aria from Act III of Satyagraha”. Dal vivo, l’unico modo che ho per proporre questo disco è usare alcune basi, mentre io farò due pianoforti 
dal vivo con mano, destra e sinistra. Potrebbe capitare l’occasione di eseguirli anche dal vivo con il supporto di altri strumentisti. Per esempio, mi hanno proposto anche di andare in America a suonarlo e in quel caso potrei chiedere di essere accompagnato da due pianisti e, in quel caso, potrei riuscirci. 

Concludendo, in cantiere hai altri progetti?
Ho tre progetti, uno che è quello a cui stavo lavorando e che è dedicato alla neve. Si chiamerà “The snow is dancing” come una composizione di Claude Debussy del quale ci sarà un omaggio ma ci saranno tutte composizioni mie. Poi mi hanno chiesto di risuonare per pianoforte solo “André sulla luna” e poi c’è il mio secondo volume dedicato alle musiche natalizie e in cui sarò anche cantante. Sono dischi che vorrei pubblicare nell’arco di un paio di anni.


Arturo Stàlteri – Dodecagon. Arturo Stàlteri plays Philip Glass (Orange Mountain Music, 2023)
Pioniere nel rileggere e riarrangiare il repertorio di Philip Glass, Arturo Stàlteri nel 1998 diede alle stampe “Cicles” per Materiali Sonori e, nonostante il suo percorso abbia incrociato spesso le composizioni del pianista americano, quel lavoro era rimasto un unicum nel suo percorso artistico. A distanza di venticinque anni, su impulso della Orange Mountain Music, etichetta dello stesso Glass, il pianista romano ha ripreso in mano il progetto e dall’iniziale idea di rieditarlo in digitale, è nata la sua proposta di reinciderlo con nuovi arrangiamenti e una selezione di brani diversa. Il risultato è un album di assoluto spessore artistico, concettuale e culturale, suonato magistralmente e caratterizzato da una meticolosa cura del sound. Composto da dodici brani, come i lati di un ipotetico dodecagono, il disco si apre con il breve frammento di “Opening” da “Glassworks”, novanta secondi in cui si intrecciano la traccia che apriva “Circles” proposta al contrario e la nuova versione, ed entra nel vivo con i movimenti “Two” e “Three” di Metamorphosis, nelle quali lo stile pianistico di Stàlteri esalta il lirismo delle composizioni originali. Sorprendente poi è il segmento dedicato a “North Star”, colonna sonora che Philip Glass compose nel 1977 per un doscumentario sullo scultore Marc di Suvero, e nella quale ascoltiamo in successione “Etoile Polaire”, “Victor’s Lament”, “River Run”, “Anges Des Orages” e “Ave” rielaborate da Stàlteri per otto pianoforti, mettendo in luce un continuo intersecarsi di prospettive e distanze differenti. Si arriva, poi, agli anni Novanta con “Etude N. 8” che ci introduce verso la magniloquente versione di “Mad Rush”, originariamente composto da Glass per solo organo in occasione della visita del Dalai Lama negli Stati Uniti. Le atmosfere indiane di “Aria from Act III of Satyagraha”, scritta nel 1979 con i testi della francese Constance DeJong tratti dalla “Bhagavadgita”, e proposta per tre pianoforti ci accompagna verso il finale con “Closing” da “Glassworks” che suggella un disco prezioso da ascoltare con grande attenzione e partecipazione emotiva. www.orangemountainmusic.com - philipglass.bandcamp.com/album/philip-glass-dodecagon
 

Salvatore Esposito

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