Arturo Stàlteri – Spirit of the past (Felmay, 2021)

Arturo Stàlteri non ha più bisogno di presentazioni sulle nostre pagine sulle quali ci siamo occupati spesso delle sue produzioni, lavori di alto spessore artistico come “Flowers 2”, il superbo omaggio al repertorio di Franco Battiato “In Sete Altere”, il raffinatissimo “Preludes” e i più recenti e non meno fascinosi “Low & Loud” e “Trilogy”, senza contare le occasioni in cui abbiamo avuto modo di apprezzare i suoi live act per piano solo o con la partecipazione di ospiti. Non fa eccezione il nuovo album “Spirit of the past” nel quale in pianista romano racconta i quasi cinquant’anni del suo percorso artistico, spesi tra incontri musicali, condivisioni artistiche e sempre nuove esplorazioni sonore. Lo spirito del passato, evocato dal titolo, ritorna in una dimensione nuova e contemporanea con la complicità degli ospiti Antonello Venditti, Roberto Cacciapaglia, Grazia di Michele, Fabio Liberatori, Federica Torbidoni e Carmine Capasso e, nel contempo, viene declinato al futuro negli arrangiamenti e nelle scelte stilistiche. Abbiamo intervistato il pianista e conduttore radiofonico romano per farci raccontare questo nuovo lavoro, approfondirne i brani cardine e le collaborazioni che lo caratterizzano, non senza uno sguardo verso i progetti in cantiere.

Il titolo del disco “Spirt of the past” è molto eloquente. C’è chi festeggia gli anniversari importanti della propria carriera con antologie e box set. Tu, al contrario, ti sei mosso in controtendenza realizzando un disco nuovo che guarda alle esperienze artistiche che hai messo in fila in quasi cinquant’anni di carriera…

Ho cominciato nel 1974 e, ormai, ho alle spalle quasi mezzo secolo di carriera…

Quindi hai più di cinquant’anni…
Si ho più di cinquant’anni. Pochi eh? Il primo disco l’ho fatto a cinque anni… (ride). 

Quindi, dicevi…
Insomma… forse era il momento di rivedere quali erano le musiche che hanno segnato la mia vita tra quelle che ho suonato e quelle che, invece, ho ascoltato perché sono un grande appassionato di musica, come sai. Ho deciso, così, di riprendere alcuni brani che, per me, erano stati importanti. Alcuni li avevo già pubblicati in passato, anche con formazioni diverse, e li ho risuonati completamente, altri invece non li avevo mai incisi. In questi cinquant’anni, ho incontrato anche tante persone, tra musicisti e cantautori, e ho provato a vedere se qualcuno di loro sarebbe stato disponibile a suonare come ospite nel disco. Devo dire che tutti hanno accettato con grande entusiasmo. Ci sono dei nomi a cui sono molto legato come Antonello Venditti, Roberto Cacciapaglia, Grazia Di Michele e Fabio Liberatori, ma anche incontri più recenti come quelli con Federica Torbidoni e Carmine Capasso. Devo dire che tutti sono stati molto disponibili e hanno accettato con piacere di apparire come ospiti nel disco, dimostrandomi grande amicizia. Non è casuale il titolo “Spirit of the past”, spirito del passato, perché ripercorre il mio percorso artistico però riletto attraverso la visione di adesso, di quello che sono diventato negli anni e con gli strumenti di oggi. 

Il disco compendia e documenta tutte le diverse direzioni intraprese nella tua carriera…
Ho avuto la fortuna di ascoltare di tutto, sin da piccolo. A casa mia si ascoltava Chopin perché mia madre suonava musica classica, le mie sorelle amavano la musica beat, mentre mio padre faceva il giornalista televisivo ed era spesso a contatto con la musica. Tutte queste anime sono confluite nella mia formazione e non ho mai avuto un conflitto tra la musica classica, il rock e il pop. Ho cominciato a fare radio negli anni Settanta per cui ho avuto modo di formarmi anche sotto il profilo della divulgazione musicale. Tutto questo nel disco è venuto fuori in modo molto naturale.

In apparenza “Spirit of the past” sembrerebbe un album anomalo nella tua discografia, ma ascoltandolo bene si comprende esattamente il contrario ovvero che è perfettamente coerente al tuo percorso di ricerca musicale e al tuo essere un musicista in continuo movimento…
Il pianoforte è sempre il protagonista e c’è la mia anima. Dal punto di vista concettuale forse è un album un po’ strano perché si va da Chopin ad Antonello Venditti, dai Pierrot Lunaire a Max Richter, passando per Cat Stevens e i Rolling Stones. Insomma, rappresenta molto bene quello che sono stato in cinquant’anni di carriera e quello che sono attualmente.

Qual è il perimetro in cui ti sei mosso a livello di ricerca sonora in questo nuovo album?
Non mi sono posto il problema, perché è venuto tutto in modo molto naturale o meglio mi sono affidato al pianoforte. Non ci sono stati piani preordinati. Certo è il disco in cui ho rischiato di più come arrangiatore e anche come cantante. Il brano con Antonello Venditti è un brano quasi electro-pop, una cosa un po’ strana per me.

Come si è indirizzato il tuo lavoro a livello di arrangiamenti?
Chi leggerà il libretto del disco vedrà che ci sono molti nomi tra i ringraziamenti. Mi sono basato molto su autori che amo molto e stimo, dai quali non ho dico ho rubato ma utilizzato alcune sonorità. Ad esempio, Brian Eno, nel brano con Antonello Venditti si sente una chitarra nello stile di Robert Fripp, in due brani ho usato addirittura gli archi dal “Lohengrin” di Wagner, ci sono alcune batterie elettroniche come quelle usate da Thom Yorke dei Radiohead che sono un'altra grande passione. Soprattutto ho cercato di trovare mille suoni possibili per il pianoforte. 

Insomma, il pianoforte non ha limiti espressivi…
Non c’è alcuni limite. Mi sono accordo che con il computer si possono fare cose incredibili. Fabio Ferri, il tecnico del suono del disco, mi ha suggerito di registrare tutta la tastiera del pianoforte, tutti gli ottantotto tasti, nota per nota e li tieni come archivio. Con quei suoi, accelerandoli, combinandoli, rallentandoli, rovesciandoli, ho creato tantissimi suoni. Insomma, il pianoforte è una fabbrica di strumenti. 

Il disco si apre con un brano prog “Lady Ligeia”…
Ho cominciato a muovere i primi passi nel mondo della musica con il progressive e mi sembrava giusto aprire il disco con un brano di Gaio Chiocchio, un caro amico che, purtroppo, non c’è più e con cui ho condiviso l’esperienza con i Pierrot Lunaire. Il primo brano che ascoltai a casa sua, suonato al pianoforte, fu proprio “Lady Ligeia” e l’ho reincisa con Carmine Capasso al sitar, giovane e talentuoso chitarrista dei Nuovi Trip. Gaio amava molto il sitar e ne è nato un doppio omaggio alla sua figura. 

Mi ha colpito molto la tua versione di “On the nature of the daylight” di Max Richter. Che cosa ti ha colpito delle sue composizioni?
Richter è una conoscenza più recente rispetto alle altre del disco. La prima volta che ho ascoltato un brano di Max Richter è stato in “Shutter Island” di Martin Scorzese. Mi colpì molto ma non mi rimase così impresso. Qualche anno fa, sono andato a vedere al cinema “Arrival” e nella scena finale che considero da brividi, c’è “On the nature of the daylight” un brano straordinario per archi e che io ho riletto per
pianoforte trattati e flauto. Ho cercato di dare la mia lettura personale perché rifarla allo stesso modo non era il caso. 

Veniamo all’ospite d’eccezione del disco, quello più inatteso: Antonello Venditti….
La presenza di Antonello Venditti è stata una sorpresa anche per me e rappresenta il mio rapporto con la canzone d’autore. Nel disco, ho inserito “Figli di Domani” di e con Antonello Venditti, un brano molto intenso del suo repertorio e di cui mi fece ascoltare il provino. Eravamo nello stesso studio e io stavo registrando con i Pierrot Lunaire e un pomeriggio chiamò me, Gaio Chiacchio e Lilli Greco, che era il suo produttore in quegli anni, per farci ascoltare tre brani. Uno di questi era, appunto, “Figli del domani” che amai subito, “Piazzale degli Eroi” che inserì poi nel disco e “Lo stambecco ferito”, un brano più duro che poi fu pubblicato su “Lilly” nel 1975, un po’ perché era troppo lungo essendo di quasi otto minuti, e poi perché era un po’ fuori le atmosfere del disco. 

Per chi conosce la tua discografia, sentirti cantare è una ulteriore sorpresa…
Beh, non tanto perché cantavo già all’epoca dei Pierrot Lunaire. Ho interpretato un mio brano in un quarantacinque giri a mio nome, ma di fatto non ho mai cantato una canzone. Ero molto preoccupato quando mi sono dovuto rimettere a cantare. Quando avevo scritto ad Antonello Venditti per chiedergli se voleva cantare il brano, ero convinto che lo cantasse lui per intero. Invece mi ha inviato solo dei passaggi, degli estratti. Il brano, per altro, è un dialogo tra padre e figlio; quindi, lui ha cantato le parti del primo anche se ha solo cinque anni più di me, e io ho fatto il figlio. Indubbiamente, si sente la differenza tra le due voci.

Nel disco compare come ospite anche un’altra figura storica della scena musicale romana: Fabio Liberatori…
Fabio Liberatori è stato per diversi anni il tastierista degli Stadio, per poi dedicarsi con grande successo all’attività di compositore di colonne sonore. Ricordiamo le sue musiche per i film di Carlo Verdone, tra gli altri. 
Attualmente, è tornato a suonare con la Reale Accademia di Musica, uno storico gruppo prog italiano. L’ho conosciuto, credo nel 1984, durante le registrazioni di “Venere” di Mario Castelnuovo che aveva arrangiato lui. Quell’anno ci proposero di andare in tour con Mario e chiamarono me alle tastiere. E’ nata, così, una grande amicizia perché Fabio è una persona di una sensibilità unica. Gli ho chiesto, quindi, se gli andasse di aggiungere nella nuova versione di “Notturno in Do Minore” le sue tastiere vintage di cui è un grande collezionista.

Uno dei vertici del disco è “Sonanze 3d movement” di e con Roberto Cacciapaglia…
Sono un grande estimatore di Roberto sin dai tempi di “Sonanze”, uno dei dischi tra i più importanti del Novecento, dove ci sono delle trovate e delle idee uniche. C’è il mondo della musica totale. Amando molto quell’album ho voluto risuonare una delle sue composizioni “Sonanze 3d movement” che nel disco originale è concepita per tre pianoforti che si arricchiscono e si intrecciano. Io ne ho fatto una versione molto più scarna per pianoforte e, conoscendo Roberto da diversi anni, gli ho chiesto di aggiungere un suo tocco di colore al brano. 

Tornando alla canzone d’autore, nel disco c’è anche Grazia Di Michele con la sua “Canzone per Daria”…
Negli anni Settanta ho conosciuto anche Grazia Di Michele con cui ho intessuto una grande amicizia e con la quale è nato un ottimo rapporto professionale, avendo prodotto “Cliché” il suo primo album. All’epoca i Pierrot Lunaire incidevano con la IT di Vincenzo Micocci ed eravamo un po’ una realtà anomala perché
quella era l’etichetta dei cantautori con cui pubblicavano Rino Gaetano, Francesco De Gregori, Antonello Venditti. Fu proprio Micocci che mi chiese di dare una mano a questa giovane cantautrice a vestire i suoi pezzi con i miei arrangiamenti. Entrammo in studio ed arrangiammo insieme i brani perché era molto brava anche lei. In quel disco suonai diversi strumenti e lei era bravissima anche alla chitarra. C’era un brano che mi piaceva moltissimo che era “Canzone per Daria” che Grazia aveva scritto con la sorella Joanna, autrice del testo. Quando è stato il momento di scegliere i brani da inserire in “Spirt of the past” mi sono detto: perché non mettere anche “Canzone per Daria” che rappresenta un momento importante della mia carriera. L’ho chiamata e le ho detto che volevo riarrangiare il brano, ma non ero in grado di cantarlo e le ho chiesto di consigliarmi una soluzione, sperando mi dicesse che lo avrebbe cantato lei e, così, è stato. E’ venuta in studio e l’ha cantato in un attimo in modo meraviglioso. 

Come sarà in concerto “Spirit of the past”?
Essendo un disco fortemente incentrato sul pianoforte, molti brani li eseguirò in solo, altri invece con l’ausilio delle basi. Per esempio “Figli del domani” con Antonello la suonerò con una base in cui c’è la sua voce con cui duetterò virtualmente, allo stesso modo accadrà con “Sonanze 3d movement” con Roberto Cacciapaglia dove ci saranno certamente i suoi suoni ad accompagnarmi. Quando abbiamo presentato il disco in alcune occasioni è venuta Grazia Di Michele, in un prossimo concerto in programma ci sarà con me Carmine Capasso. 

So che hai già alcuni nuovi progetti in cantiere…
Sto lavorando a due progetti. Uno vedrà la luce a breve scadenza e ne sono particolarmente contento. A settembre dello scorso anno ho incontrato Fabio Cinti a Montalbano Elicona,
durante la rassegna “Tra centro miliardi di stelle”, dedicata a Franco Battiato, dove interpretava la sua versione gentile de “La voce del padrone” con il quartetto d’archi. In quell’occasione mi ha proposto di lavorare su alcuni pezzi che Franco Battiato aveva scritto per alcune interpreti come Milva, Alice, Giuni Russo e Sibilla. E’ nata, così, l’idea di realizzare un disco per pianoforte e voce in cui rileggiamo queste canzoni e che si intitolerà “Incantate”. Tra i vari brani ci sarà sicuramente “Non conosco nessun Patrizio” che cantava Milva e nella nostra versione per pianoforte e voce viene molto bene. Ho lavorato molto all’arrangiamento di questo brano perché ha una struttura molto particolare. Davvero incredibile, così come la storia della sua genesi che mi ha raccontato Fabio Cinti. Pino “Pinaxa” Pischetola, aveva un assistente che si chiamava Patrizio. Sembra che una volta Franco abbia chiamato “Pinaxa” e ha risposto questo ragazzo dicendo: “Sono Patrizio, un’attimo..” e in tutta risposta Battiato ha replicato: “Non conosco nessuno Patrizio”. In seguito, vorrei pubblicare un album che si chiamerà “The snow is dancing” ispirato ad una composizione di Claude Debussy. Solo per pianoforte e con tutti brani nuovi. 



Arturo Stàlteri – Spirit of the past (Felmay, 2021)
Ogni album firmato da Arturo Stàlteri nasce da un’idea concettuale ben precisa e strutturata e, intorno ad essa, si compongono le sue architetture sonore, le suggestioni poetiche della scrittura e la narrazione che, permeata dalle passioni musicali e letterarie, muove dall’esigenza primaria di raccontarsi, attraverso le sue composizioni. “The spirit of the past”, il suo nuovo album, ha preso vita dall’esigenza di volgere lo sguardo verso il passato, tornando a ripercorrere i diversi sentieri battuti in quasi cinquant’anni di carriera per proiettare verso il futuro le esperienze maturate con la consapevolezza e la maturità acquisita negli anni. “Se è vero che il presente è illusorio e il futuro è in movimento, allora il passato ci definisce e ci incatena”, scrive il pianista romano nella presentazione alla stampa, per poi sottolineare come lo spirito del passato sia “un ingannatore imperturbabile”. Il riannodare i fili del tempo è, dunque, solo una astrazione, perché il passato non si ripete, non ci si bagna due volte nello stesso fiume per dirla con le parole di Franco Battiato che citava Eraclito in “Di Passaggio”. Consapevole di tutto ciò Arturo Stàlteri non si abbandona alla nostalgia, ma anzi sposta ancora più avanti i confini delle proprie esplorazioni sonore, perché il passato è fonte ispirativa e riferimento costante con cui confrontarsi. Un confronto che nella sua produzione discografica non si è mai interrotto. Il prog-rock degli esordi con i seminali Pierrot Lunaire, i raffinati gusti musicali che lo hanno formato, la musica classica e le intersezioni con la canzone d’autore e poi ancora la musica contemporanea e il minimalismo, hanno concorso nella composizione di un immaginario creativo e una cifra stilistica personalissima in cui si incontrano mondi musicali solo in apparenza lontani. Laddove nei dischi precedenti ad essere preso in esame era un aspetto in particolare di questa articolata galassia, “The spirit of the past” ne fotografa la suggestiva complessità dell’insieme, rielaborando le esperienze artistiche vissute, gli incontri e gli amori musicali. “L' amore per la musica mi ha permeato e, a volte, salvato, e condividere con altri questa passione mi ha profondamente arricchito”, sottolinea nelle note stampa di accompagnamento all’uscita del disco. L’ascolto rivela un lavoro rigorosamente coerente nella narrazione, attraversato da una forte tensione nel riportare alla luce l’essenza poetica e compositiva dei vari brani per poi soffermarsi a decostruirla e riattualizzarla. L’ascolto si apre con il prog-rock di “Lady Ligeia” dal songbook dei Pierrot Lunaire, qui riletta con la complicità di Carmine Capasso al sitar che dialoga con il pianoforte, e la songnante “The Grey Havens’ Lullaby nella quale ritornano i riferimenti alla saga del “Il Signore Degli Anelli” di J.R.R. Tolkien a cui il pianista romano ha dedicato quel gioiello che è “Rings, Il Decimo Anello” del 2003 e la gustosa retrospettiva con materiali d’archivio “Early Rings, Compositions 1974-1975”. Si prosegue con gli omaggi a Cat Stevens con la brillante riscrittura per piano solo di “Moonshadow” e a Max Richter con l’evocativa "On The Nature Of The Daylight” in cui spicca Federica Torbidoni al flauto ad impreziosire il tutto. Dal disco di debutto “Andrè Sulla Luna” del 1979, Stàlteri ripesca “Viaggiando tra i Riflessi” facendola risplendere di luce nuova che ne esalta l’originale struttura compositiva e l’intreccio di influenze convergenti che la caratterizza. La prima sorpresa dell’album arriva, però, con Figli del Domani di Antonello Venditti, brano del 1974 tratto da “Quando verrà Natale” e che il pianista compositore romano interpreta in duetto con l’autore in una versione che esalta la riflessione esistenziale racchiuse nel testo. Dalla canzone d’autore italiana si passa al minimalismo di Philip Glass con la raffinata “Ètoile Polaire- North Star”, ma è solo un momento perché si torna alle composizioni autografe con le atmosfere eteree di “Notturno in Do Minore” da “Child of the moon” del 2007 qui resa ancor più suggestiva dalle tastiere di Fabio Liberatori.  Non manca un tributo agli amati Rolling Stones con la riscrittura di “Ruby Tuesday (to D.)” e a quel “Sonanze” di Roberto Cacciapaglia, album considerato tra i più rappresentativi della musica sperimentale italiana, con l’esecuzione di “Sonanze 3d Movement” in duo proprio con il pianista e compositore milanese. La romantica “Passione d’amore”, unico inedito del disco ed ispirata al film omonimo di Ettore Scola, ci introduce alla bella versione per piano e voce di “Canzone per Daria” di e con Grazia Di Michele, tratta da “Clichè” del 1978 alla cui realizzazione aveva collaborato lo stesso Stàlteri. Completano il disco "Etude in A flat major op 25 no.1" di Chopin, la nuova versione di “The Quiet Road to the Sea-a Lullaby” con Federica Torbidoni al flauto da “Low & Loud” del 2018 e una malinconica ed accorata “Ma il cielo è sempre più blu” di Rino Gaetano proposta in versione strumentale per piano solo. Insomma “Spirit of the past” ci regala un’ora di grande musica, un diario di viaggio sonoro che dal passato guarda al futuro ancora da scrivere e che, siamo certi, sarà ancora pieno di musica, suoni e colori da disvelare. 


Salvatore Esposito

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