Arturo Stàlteri non ha bisogno di presentazioni, per lui parla, non solo la sua ben nota attività di conduttore radiofonico, ma soprattutto la sua lunga carriera artistica spesa tra il prog-rock con i Pierrott Lunaire e il suo percorso come solista attraverso la musica contemporanea. Il suo nuovo album “In Sete Altere” lo vede alle prese con il repertorio di Franco Battiato, artista da sempre amato dal pianista romano, ma cui lo lega anche un rapporto di grande amicizia, avendo condiviso diverse esperienze artistiche in ambito cinematografico e televisivo con “Bitte, Keine Réclame”. Abbiamo realizzato una videointervista con Arturo Stàlteri per farci raccontare la genesi, le ispirazioni e le motivazioni alla base di questo suo nuovo progetto.
La Videointervista
Come nasce questo nuovo disco?
Il pensiero di fare un disco dedicato a Franco Battiato risale almeno al 2006, anche se per la prima volta ci eravamo incontrati nel 1999 ai tempi di “Fleurs”. Erano otto anni che pensavo dedicare un disco alla sua musica, perché mi ha sempre affascinato, sin dai tempi in cui suonava musica più sperimentale, quando pubblicò dischi come “Fetus”, “Pollution”, due capolavori assoluti, secondo me. Volevo però che lui mi desse, non un imprimatur che ho avuto subito, ma piuttosto un brano inedito, una partitura particolare. Lui mi ha sempre detto che mi avrebbe inviato qualcosa, ma così sono passati otto anni, quando ad un certo punto, un anno fa mi ha inviato la nuova partitura de “L’Egitto Prima Delle Sabbie”. Si tratta di uno dei suoi brani più ostici e radicali, ma al quale lui è legatissimo perché nel 1978 lo portò a vincere il Premio Stockhausen, musicista che per lui era un mito, che aveva incontrato, e studiato approfonditamente. Voleva che questo brano fosse diverso rispetto a quello originale, e quando mi è arrivata a casa la nuova partitura ho cominciato a registrare il disco, che doveva essere essenzialmente legato alla musica degli anni Settanta, quindi al repertorio che risaliva a prima della svolta verso la forma canzone con “L’Era Del Cinghiale Bianco”. Poi mi sono accorto che c’erano anche altre canzoni che avevano una trama musicale particolare, che potevano essere rese con uno o più pianoforti e così è nato “In Sete Altere”, da un pezzo di un testo di un suo brano che amo molto “La Porta Dello Spavento Supremo”, e che ho inserito in tutte e due le sue parti nel disco.
Da dove è nata l’esigenza di utilizzare pianoforti differenti? Qual è stato il tuo lavoro in fase di arrangiamento dei brani?
Inizialmente la scelta era quella di utilizzare un pianoforte e un violoncello, ma poi le cose man mano che si lavora tendono a cambiare, perché mi piaceva far emergere l’immagine classica di Franco Battiato a cui lui tiene molto. Mi sono accorto che un pianoforte non era sufficiente, e a quel punto era necessario utilizzarne anche altri, ma dovevano essere trattati, e dunque ho lavorato moltissimo sulle timbriche del pianoforte. Nel disco utilizzo due pianoforti di base, un Fazioli e uno Yamaha che sono usati in maniera tradizionale, ma poi gli stessi pianoforti sono stati incisi mentre suono altre parti, che ho trasformato rallentandoli e rovesciandoli attraverso riverberi e una particolare cura del suono. In questo senso in fase di mixaggio è stato fondamentale il lavoro di Pino Zingarelli. Insomma questa sorta di pasta sonora è un po’ la caratteristica del disco. Franco Battiato ha seguito poi la lavorazione del disco passo dopo passo, man mano che incidevo e finivo i brani, gli inviavo gli mp3 con la posta elettronica. Lui puntualmente il giorno dopo mi dava i suoi consigli, i suoi suggerimenti. Non ha mai detto fai in questo modo, ma sempre “io farei così” che è una cosa molto carina. Io ho sempre seguito però le sue indicazioni. Affrontare questo repertorio era un rischio perché sono brani che molti conoscono anche per le parole e per la sua voce. Nella vita però bisogna osare.
Come si inserisce questo disco all’interno della tua produzione artistica?
Credo si inserisca molto bene. Primo perché le mie radici sono nel progressive e nella musica classica, che ho sempre interpretato. Poi perché ho sempre fatto omaggi ad altri musicisti in passato. Ho realizzato un disco dedicato a Phillippe Glass, uno a Brian Eno, nei due “Flowers” ci sono brani anche di altri autori come Sakamoto, i Sigur Ros, ed altri. Tutto sommato le mie rivisitazioni rientrano nell’idea di rendere omaggio a personaggi che, secondo, me rimarranno nella storia, e parlo di Sigur Ros, Radiohead, Rolling Stones ovviamente, che saranno la musica classica del futuro, attraverso un'altra chiave di lettura rispetta a quella contemporanea.
Sei un compositore, oltre ad essere un eccellente interprete di musiche altrui. Che cosa bolle nella tua pentola per il prossimo futuro?
Penso sempre che bisogna stringere i tempi, perché non sappiamo quanto ce ne rimane, ho già scritto i miei venti preludi, che sarà il seguito del disco di notturni “Child Of The Moon” del 2007 in cui raccolsi alcuni brani dedicati alla luna. Questa volta pensando a Debussy e ai suoi “Prelude”, che hanno tutti un titolo, ho scritto i miei venti preludi, con il dovuto rispetto verso il maestro. Sono molto diversi dagli altri miei brani, e venti perché sono più brevi, quindi quello che era la mia caratteristica o forse il mio difetto, cioè quando componevo un pezzo lo elaboravo troppo, erano troppo arzigogolati e questo era un retaggio classico, in questo caso sono più immediati, c’è un motivo di base che resta per tutta la durata del brano. Sono brani che vanno dal minuto e mezzo ai due minuti, non oltre, e contavo di registrali entro la fine di questo mese, e credo di concludere il progetto molto velocemente. Ormai però prima del prossimo autunno non riuscirò a pubblicarlo.
Quanto Franco Battiato ti ha influenzato dal punto di vista compositivo?
Mi ha influenzato talmente tanto, e senza che me ne accorgessi, al punto che ne gli anni Settanta, quando suonavo con i Pierrot Lunaire con cui incisi due dischi, il secondo si chiamava Budrun, e ad un certo punto una delle critiche più belle tra le recensioni che uscivano oltre a parlare molto bene del disco, precisava che nella nostra musica c’era il Battiato più riconoscibile. Quindi già negli anni Settanta dischi come “Fetus”, “Pollution”, “Click”, “Sulle Corde Di Aries” che per me è un altro gioiello, erano entrati un po’ nel mio modo di sfruttare il pianoforte, lui era abilissimo a sfruttare al massimo le tastiere. Battiato fu il primo ad usare il VCS3, e molto prima che venisse usato all’estero lui aveva già un prototipo, e mi ha raccontato che lo inserì nel suo primo disco. Franco Battiato era molto avanti già all’epoca e la sua musica non era progressive, era più vicina alla musica tedesca, ai concretisti, alla musica atonale, c’erano le ricerche sulla voce, sulle frequenze della radio, era veramente oltre.
Restando in tema di influenze nella tua musica, oltre ai Rolling Stone che sappiamo rientrano tra le tue grandi passioni, quali sono stati gli artisti, gli autori che ti hanno influenzato?
I Rolling Stones sono un grande amore che però non rientrano nel mio modo di scrivere, perché nella mia musica non c’è nulla di rock. Però da un punto di vista classico mi ha influenzato molto la musica di Debussy che ho sempre amato molto, per questa sorta di pulviscolo sonoro e per il fatto di aver allargato la tonalità. Amo moltissimo Chopin, anche non rientra molto nel mio modo di suonare. Per rimanere alla musica pop e per quello che riguarda i pianisti, ho una grande ammirazione per Wim Mertens che ho incontrato qualche anno fa e mi piace moltissimo il suo modo di legare il minimalismo alla musica tardo romantica, sicuramente i minimalisti come Glass, Raich, Terry Ray, Keith Jarrett fino agli anni ottanta dopo di che penso si possa eliminare gli ultimi suoi trent’anni almeno per quanto riguarda la musica solistica e non perderemo molto, mentre dischi come Colonia, Brema, Losanna, Brigens e i concerti giapponesi sono fra le cose più belle che sono mai uscite. In campo pop i miei grandi amori sono negli ultimi tempi per il post rock di Radiohead, Sigur Ros, Mogwai, e Good Speed Your Black Emperoor, questi gruppi a volte molto romantici altre volte molto estremi, molto freddi. La musica nordica mi piace molto, e ancora ho avuto una sbandata per la musica celtica negli anni Settanta, che non ho dimenticato, personaggi come Alan Stivell, Dan Ar Braz e i Clannad mi sono piaciuti sempre molto, quelle voci femminili come Moya Brennan ho cercato in qualche modo di ricrearle liricamente con il pianoforte, ed in questo sono vicino a Chopin che diceva che bisognava sempre imitare la voce umana anche con uno strumento a percussione come il pianoforte.
Come nascono le tue composizioni? Qual è il tuo processo creativo?
E’ una domanda difficile, ma ogni brano che arriva nasce per caso. Io ho un piccolo registratore digitale molto pratico e quando non sto studiando o preparando cose che sono già state scritte, spesso improvviso al pianoforte, per dieci venti minuti e registro e trovo sempre tre, quattro cedole sonore che mi piacciono. Le isolo, da quelle poi sviluppo il pezzo. Qualche altra volta mi è capitato addirittura di sognare le melodie mentre stavo dormendo e me le sono registrate subito. E’ accaduto per Child Of The Moon, per il Signore degli Anelli, ho sognato queste melodie come se uno entrasse in casa e mi dicesse ho sentito questo nuovo disco c’era un motivo che mi colpiva e se riuscivo a svegliarmi in tempo me lo ricordavo. A volte mi svegliavo la mattina e avevo perso il ricordo, ma sapevo di aver sognato qualcosa. Diciamo che la prassi normale è suonare, improvvisare, non mi viene mai l’illuminazione improvvisa per una melodia.
Tornando al disco dedicato a Franco Battiato, nel quale c’è anche la tua mano di compositore, tanto è vero che sei stato onorato della doppia firma su alcuni brani…
Non ho fatto altro che prendere le armonie di Franco Battiato, a volte sulle sue armonie ho giocato di più, lavorato di più, ma non ho mai pensato di chiedergli di co-firmarli. E’ successo che io gli avevo mandato il disco già finito, e che lui comunque aveva sentito in corso di lavorazione, in modo che potesse sentirlo di seguito con le distanze giuste tra un pezzo e l’altro, ero a Parma a provare con un amico per un concerto per due pianoforti, e mi arrivò la sua telefonata. “ho sentito il disco per intero, e devo dirti un paio di cose”. E mi sono detto: eccolo là c’è qualcosa che non gli è piaciuto. “volevo dirti che ci sono questi due brani “Centro Di Gravità Permanente” e “Meccanica” che li hai reinventati, ad esempio la seconda parte è veramente tua ed è molto bella e ho deciso che li firmiamo insime. Io gli chiesi se era sicuro di voler fare questa cosa e lui si è anche arrabbia perché non ama essere contraddetto. Al che gli ho detto guarda è come se Keith Richards mi avesse chiesto di firmare Satisfaction insieme e lui si è molto divertito. Ci siamo visti un po’ di tempo dopo, ho portato i bollettini SIAE e lui senza chiedermi edizioni o quanto prendeva ha firmato, dicendomi che avremmo diviso tutto a metà. Questa è stata una cosa bellissima perché non è facile trovare una persona così disponibile. Infatti abbiamo cambiato leggermente i titoli dei brani perché non potevamo chiamarli allo stesso modo. Uno è diventato “The Instrumental Centro Di Gravità Permanente” che lo ha proposto lui, e l’altro “Meccanica 2” che ho proposto io, questo per far capire che i brani nascono da quella fonte, però poi nella seconda parte potrebbero essere qualcos’altro.
Concludendo come saranno i concerti di “In Sete Altere”…
Le rare volte in cui suono nelle sale dove c’è solo il pianoforte acustico, e non c’è un impianto ho un mio arrangiamento dei brani per pianoforte solo, ma è solo un aspetto del disco. Per il resto suonerò con delle basi che ho già preparato con i pianoforti di sottofondo su cui suono poi il pianoforte io, ma non c’è un vero solista e una base, ma ci tengo molto a dire con i tecnici che i livelli devono essere identici. Quello che senti in sottofondo deve mescolarsi a ciò che suono. Mi sembra che sia l’unica soluzione possibile perché diversamente dovrei chiamare quattro o cinque pianisti e sarebbe improponibile per problemi pratici ed economici.
Arturo Stàlteri – In Sete Altere. Arturo Stàlteri suona Battiato (Felmay, 2014)
La notizia dell’imminente pubblicazione di un disco dedicato alla musica di Franco Battiato, l’avevamo colta durante un concerto a Roma, nel corso del quale Arturo Stàlteri ne aveva offerto al suo pubblico un piccolo assaggio suonando una entusiasmante versione per piano solo di “Centro Di Gravità Permanente”. Era, dunque, molto atteso “In Sete Altere”, disco che attraversa in lungo ed in largo il genio compositivo di Franco Battiato, spaziando dai dischi più sperimentali degli anni Settanta, alle produzioni più recenti. Il pianista romano approccia la rilettura di ogni brano, servendosi delle strutture originarie come base di partenza per la sua opera di reinvenzione attraverso la lente della sua poetica minimale, fatta di note ora morbide ora “trattate” di due pianoforti, un Fazioli F228 e uno Yamaha C7. Stàlteri ha curato con grande passione l’esecuzione di ogni brano, e non è stata casuale la scelta di relazionarsi in modo costante con lo stesso Battiato con il quale ha dato vita ad un osmosi creativa sorprendente tra autore ed interprete, con quest’ultimo che diventa lui stesso autore. E così lo ritroviamo anche a co-firmare alcuni brani segno evidente non solo della vibrante vitalità ispirativa che racchiudono le composizioni di Battiato, ma anche della capacità di Stàlteri di saper aggiungere del proprio alle partiture originali. Aperto da un “Intro” costruito su frequenze dissonanti che ci schiudono alle complesse tessiture sonore di “Meccanica Due”, il disco ci regala subito uno dei suoi momenti più lirici con la toccante versione de “L’Oceano Di Silenzio”, in cui il pianoforte di Stàlteri costruisce un atmosfera di grande suggestione sonora. Si prosegue con “Propiedad Prohibida”, della quale ne viene esaltata la complessa struttura musicale, ma a sorprenderci sono le reinvenzioni di “Instrumental Centro Di Gravità Permanente” e “Caliti Junku” in cui l’uso dei due pianoforti si intreccia ad una ricerca sonora di grande pregio in cui spicca l’uso del sequencer. Il tono lieve e le atmosfere nordiche di “The Meeting Of The Gods (Un’improvvisazioni), ci conducono prima alle atmosfere ambient de “La Porta Dello Spavento Supremo”, e poi all’ambientazione sonora quasi onirica de “La Porta Dello Spavento Supremo (Il Sogno)”. Altro vertice del disco è la rilettura in chiave sperimentale de “Il Vuoto” nella quale l’elettronica avvolge il pianoforte dando vita ad una vera e propria cavalcata sonora che si dipana tra beat accellerati e improvvisi spaccati di quiete in cui a dominare la scena sono di nuovo i soli tasti bianchi e neri. Quasi fosse finito il lato A, dopo quindici secondi arriva il lato B del disco, con la nuova versione de “L’Egitto Prima Delle Sabbie”, basata su una partitura nuova dello stesso Franco Battiato, in cui i cluster (note adiacenti percosse quasi simultaneamente) dell’originale vengono eseguiti più lentamente, quasi glissati, dando vita ad una trama armonica raffinatissima. “In Sete Altere” è dunque un lavoro di grande pregio, sia per la cura con la quale è stato realizzato, quanto soprattutto per la ricchezza musicale che racchiude.
Salvatore Esposito
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