“Aoka”, dal Madagascar, riassume il messaggio, poetico e attivista, di “Our Island”: il titolo significa stop e non è difficile capire cosa si voglia fermare: il brano comincia con i rumori sommessi di insetti ed uccelli nella foresta, poi un rumore di passi si intreccia al suono di un berimbau e, all’improvviso, una voce, in inglese, scandisce: “La foresta pluviale è sotto attacco. Su queste parole si scatena una sega elettrica e si ode lo schianto di un albero”. Le registrazioni di questi suoni ambientali vengono dall’Upper Kelabit Highlands, Sarawak, nel Borneo (Malesia) e le quattordici canzoni dell’album tessono connessioni fra dodici artisti attraverso il “continente liquido”, il Pacifico.
Il debutto di questo progetto è del 2018, del nuovo secondo capitolo i due produttori, la taiwanese BaoBao Chen e l’australiano Tim Cole, dicono: “Con quest’album chiediamo di mobilitarci rispetto ai cambiamenti climatici. ‘Our Island’ vede la collaborazione fra artisti dell'Indo-Pacifico. Ci siamo incontrati online durante la pandemia tutti fermi nelle rispettive isole: Madagascar, Tahiti, Taiwan, Papua Nuova Guinea, Isole Marshall, Australia e Mauritius. Attraverso incontri zoom quindicinali, abbiamo condiviso le nostre preoccupazioni ed esperienze, l’erosione ambientale e culturale che affrontano le nostre isole e abbiamo iniziato a scrivere canzoni in modi collaborativi. Abbiamo cominciato ponendo enfasi su come attingere dal patrimonio musicale delle nostre isole, ma in modo meno restrittivo rispetto al nostro primo album basato solo su strumenti e lingue tradizionali. Come produttori abbiamo collegato al mix anche un KORG MS-20”.
Il viaggio attraverso l’oceano non poteva che cominciare sospinto dalle onde del mare, dal soffio del Pūtātara, la conchiglia con cui, da Aotearoa il maestro Maori Taonga Pūoro Horomona Horo, risponde al ritmo delle onde e comincia a costruire un ponte su cui sale il canto “Marasudj” dei Paiwan di Sauljaljui (Taiwan) e una delle voci protagoniste dell’album, quella di Putad: attraverso il Pacifico le voci si chiamano e si fanno da specchio, intrecciano vie d’acqua che si uniscono in luoghi e canti comuni. C’è anche spazio per una cover, “Merci, Merci Me” (1971) di Marvin Gaye, che qui viene riferita all’Ecologia ed offre la sponda per collegare una decina di artisti e di ecologie acustiche diverse, ma in particolare per ricordare, attraverso la voce di una bambina, l’incendio che nel 2019 e 2020 devastò in Australia le foreste del Monte Gulaga, e cui scampò per un soffio.
Sempre dall’Australia vengono i suoni ambientali registrati da Steve Simpson per “Hiro’a” (radice), il brano interpretato da Vaiteani in dialogo con Kunyung Beach a Shorebreak subito prima di un grave sbiancamento dei coralli della barriera corallina, per lo stress termico dovuto all'aumento della temperatura del mare.
In chiusura emerge soprattutto la dimensione spirituale. “Ata Renga Ko” (sei una creatura speciale) è sia una canzone sia un viaggio spirituale guidato dalla chitarra acustica e dal canto di Yoyo Tuki che l’ha incisa dall’Isola di Pasqua: “Ho scritto questa canzone per noi, le creature umane. Per ricordare ai miei fratelli e sorelle umani che siamo parte della natura, figli della natura e come umani dobbiamo prenderci il tempo per guardarci e apprezzarci; così come quando ci fermiamo a guardare un vecchio albero e ammiriamo l’opera della natura, dovremmo prenderci il tempo per guardare noi stessi per come siamo, per ricordare chi siamo veramente. Allora capiremo che non possiamo controllare la natura, è la natura che ci ha creato e noi non siamo separati da essa. La natura ci fornisce tutto, è nella natura che guariamo e cresciamo”. L’ultima “parola” non può essere che quella della battigia accarezzata dal ritmo delle onde e dei canti che intonano il “Lament for a Dying Ocean” dalle isole di Taiwan, Mauritius, Hawaii.
“Small Island Big Song” sarà in tour in Europa in primavera e ai primi di maggio approderà a Procida (NA), nell’ambito delle manifestazioni dell’isola come capitale della cultura 2022.
Alessio Surian
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