Martin Hayes & The Common Ground Ensemble – Peggy’s Dream (251 Records/Faction, 2023)

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Dedicata al compianto chitarrista Dennis Cahill, inestimabile partner di Hayes, questa nuova produzione vede il violinista dell’East Clare (ma residente a Madrid) insieme al Common Ground Ensemble: il pianista di estrazione jazz Cormac McCarthy (dei Cottage Evolution), la violoncellista Kate Ellis (direttrice artistica del Crash Ensemble), il chitarrista Kyle Sanna (tra le sue tante attività è arrangiatore dei Brooklyn Rider) e Brian Donnellan (già con la Tulla Céilí Band) a bouzouki, concertina e harmonium. Come suggerisce il nome stesso, il Common Ground rivela la ricerca di un terreno comune, a partire dai repertori della musica popolare d’Irlanda, ma spaziando tra jazz, avanguardia e classica contemporanea. “Anche se ci sarà molto spazio per sviluppare le proprie parti, il quadro generale sarà guidato dalla mia visione della musica. Vedremo cosa vuole dire la melodia e come la band può sostenerla. Dopo anni di concerti, ho capito cosa mi dà la gioia più profonda e cosa arriva al cuore della musica", dice Hayes. Il prestigio di Hayes è ormai acclarato: il suo suono e il modo in cui lo concepisce (è da leggere la sua autobiografia “Shared Notes”) sono indicatori di una ricerca totale dell’essenza della musica. Ci sono, poi, la padronanza tecnica dello strumento, il rapporto intimo con le espressioni musicali della sua regione, la grande visionarietà, l’attitudine avventurosa a sperimentare e a interagire con altri linguaggi.   
Lirismo, capacità di esplorare i profili melodici di un brano tradizionale, controllo ed equilibrio, senso del ritmo sono tra gli elementi che rendono davvero straordinario questo artista, uno dei pilastri indiscussi della musica irlandese contemporanea, che è anche il direttore artistico di Masters of Tradition, fenomenale incontro di musicisti irlandesi, che si volge annualmente ad agosto nel West Cork. Il titolo dell’album deriva da un’aria della raccolta Goodman e vuole essere anche un omaggio di Martin a sua madre, che non è più. Il programma è aperto dalla marcia “The Boyne Water”, che parte lenta con l’incedere delicato del pianoforte su cui si adagia subito l’archetto di Hayes; la composizione si sviluppa in uno straordinario momento di crescendo, accentuato dall’ingresso di violoncello e bouzouki, poi il violino riprende la testa fino a che tutto si conclude gradualmente con il ritorno del piano solo. Il successivo “The Longford Tinker” è un reel familiare per i cultori della musica tradizionale, ma l’attacco combinato di violoncello e violino pizzicato introduce un’aria minimalista. Il piano si propone prima con note alte per poi aggiungere corpo alla melodia con le note basse; dopo due minuti e mezzo il violino si lancia in un solo che arriva fino in fondo: davvero irresistibile. 
La successiva “Caì Bhfuil An Solas” era stata incisa in “Arís”, secondo album dei Triúr (un trio con Martin, Peadar Ó Riada e Caoimhín Ó Raghallaigh): è un jig firmato da Ó Riada dove la liquidità del piano dialoga magicamente con il violino. Nella title track, un’aria lenta, si susseguono ancora squisitezze: il violino è sostenuto dal pizzicato del violoncello e da sottili interventi di chitarra e pianoforte fino alla metà del motivo, quando l’ingresso della concertina fornisce una spinta timbrica senza peraltro sminuire l’atmosfera meditativa, e a tratti eterea, costruita dagli archi. Nel set seguente sono accostati la hornpipe “Johnny Cope” e il reel “Hughie Travers”; il primo tema è condotto dal violino accompagnato da violoncello e pianoforte, mentre il secondo si giova del supporto determinante di chitarra ritmica e pianoforte, riportando alla mente i superlativi incastri elaborati da Hayes con The Gloaming. Nelle procedure del violoncello e delle corde pizzicate del piano del successivo “Garret Barry’s Jig” emerge il portato sperimentale del Crash Ensemble di Ellis, mentre il violino di Hayes si insinua con maestria tra questi elementi atonali né manca il passo deciso dei plettri. 
“The Glen Of Aherlow” è senza dubbio un’altra composizione superlativa, rivelatrice della costruzione collettiva dell’ensemble e la sua proiezione improvvisativa. La scaletta continua con il valzer “Aisling Gheal”, altro episodio molto lirico, con il violino che guida solitario, il piano che offre un sostegno all’archetto che si distende sempre ben calibrato. A concludere è il set “Toss The Feathers/ The Magerabaun Reel”, che inizia con il fiddle e un accompagnamento di chitarra cadenzato e saltellante. Il pianoforte si prende il suo spazio imponendo un andamento funky-jazz. La seconda parte si sviluppa fino a condurci a un epilogo trionfante. Non ci sono momenti di stanchezza in questo album che, tuttavia, potrà apparire non proprio immediato a qualche ascoltatore di Irish trad ancora perso nelle “nebbie celtiche” o nelle atmosfere retrò delle ballate da pub. Però, allargando gli orizzonti, lasciandosi permeare dal suono, approfondendo le stratificazioni, i passaggi perfino imprevedibili e le sottigliezze timbriche si dischiuderà il senso di un disco dall’inequivocabile fascino. www.martinhayes.com/mh-store


Ciro De Rosa

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