Peppe Cuga, amico della musica sarda e dei popoli uniti dall’armonia sonora

Mentre eravamo con gli occhi puntati su un mondo in apprensione, a causa dei possibili esiti nefasti di una guerra locale ma dai risvolti internazionali, nel giorno della Liberazione, abbiamo appreso che Peppe Cuga era passato a miglior vita. La notizia ha aperto il cuore e la strada dei ricordi, riferiti ai lunghi dialoghi passati a parlare della sua Isola, di Ovodda e dell’amore che nutriva per la sua gente e le tradizioni popolari. Sin dagli anni Settanta, era particolarmente ambito, perché atipico tra i launeddari, in quanto il suo repertorio risentiva della cultura musicale barbaricina. Aveva imparato a suonare dal nonno (Giuseppe Cau) il quale, a sua volta, aveva appreso dal padre (Salvatore), originario di Tiana. Peppe suonava e costruiva “bídulas” e, con la semplicità che lo contraddistingueva, aveva chiaro il messaggio da mandare al pubblico durante i concerti e le rassegne: «Sulla memoria di chi siamo e dei nostri predecessori si basa la storia dei paesi e dei popoli. Io lo ripeto sempre ai giovani: senza memoria perdiamo le radici e senza radici non esistiamo, siamo destinati a essere spazzati via. Non possiamo vivere solo schiacciati sul presente e sul nostro futuro, serve armonia tra il passato e il nuovo». Negli anni, gli abbiamo dedicato diversi contributi anche online, ai quali rimandiamo i lettori che vorranno approfondire la sua storia e il suo modo d’intendere le tradizioni. Emblematici resteranno i versi scritti in suo onore da Nicola Loi e dal poeta locale Pietrino Curreli, il quale lo valorizzò anche per l’aspetto fisico - «Zuseppe pares unu monumentu/ a barba longa e de aspettu rude» (Giuseppe sembri un monumento/ con la barba lunga e di aspetto rude) - e per il ruolo sociale che incarnava nella comunità e nell’Isola: «… ma nde divertis tanta gioventude/ cun custu florcloristicu istrumentu» (ma fai divertire tanta gioventù/ con questo strumento folclorico) ». 


Copyright © Paolo Mercurio - Peppe Cuga

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