Peppe Cuga e Pietrino Curreli, riflessioni sull’ars poetica in limba

Nella cultura tradizionale sarda, musica e poesia sono forme di comunicazione gemelle, poiché entrambe si nutrono di substantia sonora. Tra quelli di mia conoscenza, sono rari gli studi etnomusicologici che hanno trattato in modo compiuto del rapporto musica-poesia all’interno delle singole comunità, valorizzando i soli poeti locali. Quando ci si riferisce alla poesia in limba, i libri di letteratura sono soliti riportare i componimenti di poeti colti o semi-colti. Più nell’ombra (se non nell’oblio) sono rimasti numerosi poeti illetterati (o con basso livello di scolarizzazione), i quali avevano acquisito avanzate capacità di poetare utilizzando, secondo uso, gli schemi metrici della tradizione (ad esempio, “mutos”, ”ottava”, “gotzos” etc.). La poesia popolare in limba veniva utilizzata per descrivere situazioni che comprendevano l’arco di tutta la vita: “dalla culla alla bara”. Talvolta il poeta elogiava un proprio concittadino che aveva ottenuto successo in qualche ambito. Abbastanza raramente, però, il personaggio era un suonatore o un cantore, perché all’interno della società contadina e pastorale non erano considerati dei veri professionisti (caso a parte sono alcuni suonatori di launeddas del Campidano), bensì dei concittadini che, in alcuni precisi momenti dell’anno, dismettevano gli abiti da lavoro per suonare o cantare a favore della comunità. Rare erano le situazioni nelle quali i suonatori o i cantori popolari venivano retribuiti. Talvolta era per loro prevista una modesta ricompensa con beni naturali, ma i più si accontentavano di divertire (divertendosi) e di acquisire, tramite i suoni o il canto, un momentaneo prestigio sociale. In considerazione di quanto premesso, all’interno della comunità di Ovodda (NU), trovano rilievo le poesie che Peppe Cuga - noto suonatore di “bidulas” (denominazione locale delle launeddas) - ha raccolto in un fascicoletto contenente alcuni componimenti a lui dedicati. Una parte dei testi è di poeti anonimi o che desiderano restare tali. Tre componimenti sono del suo concittadino Pietrino Curreli, soprannominato “Canete”. Per gli abitanti di Ovodda tziu Petrinu era uno stimato poeta, capace con i versi di dare risalto ai personaggi della comunità barbaricina, nota in tutto il mondo per la longevità degli abitanti. Cuga ha riferito che Curreli (1925-2014) aveva studiato fino alla quinta elementare, poi, come numerosi fanciulli dell’epoca aveva iniziato a lavorare come pastore. 
Da grande, aprì una piccola azienda per la produzione di laterizi. Viene ricordato come persona di spirito e di compagnia, ma al contempo uomo di carattere, capace anche di essere diretto e immediato nelle risposte. Da una prima osservazione dei testi, balza all’occhio l’uso dei versi introduttivi in “ottava” (con rime “abba”), seguiti da una “sestina” (con diversi tipi di rime). Il verso è l’endecasillabo. Il primo dei componimenti è titolato “A Peppe Cuga”. Nel primo distico (l’ortografia utilizzata è quella originale; le traduzioni in italiano, riportate nelle parentesi, sono assai libere) viene elogiato il proprio concittadino per l’aspetto fisico: Zuseppe pares unu monumentu/ a barba long’ e de aspettu rude (Giuseppe sembri un monumento/ con la barba lunga e di aspetto rude). Nel secondo distico si evidenzia il suo ruolo sociale (ma nde divertis tanta gioventude/ cun custu florcloristicu istrumentu (ma fai divertire tanta gioventù/ con questo strumento folcloristico). Di seguito, per dare risalto al protagonista, vi è l’avvicinamento delle doti del suonatore a una figura mitologica (tali figure sono spesso richiamate nella poesia dialettale sarda), evidenziando la bonaria invidia per le sue virtù, in quanto capace di suonare, ballare e di vivere contento: pare chi apas d’Eolo su entu/ e sas cannas de una palude/tindap’invidiadu sa virtude/ca sonas, ballas e istas cuntentu (sembra che tu possegga il vento di Eolo/ e le canne di una palude/ ti ho invidiato la virtù/ poiché suoni, balli e sei contento). Nella sestina conclusiva, il focus si sposta dalla comunità di Ovodda al Continente e viene messo in risalto l’importante ruolo del suonatore che, con i propri strumenti popolari, tiene alto il valore (musicale e culturale) di tutta la Sardegna, essendo stato chiamato a suonare insieme ai ballerini in un paese della Spagna: Già chi depes andare a Talavera/ cun s’echipe de sor de Nugoro/ten’inaltu sa nostra bandiera/ ca cun s’aspetu du’e cun su goro/ ses presentande sa Sardigna intera/Campidanu, Barbagi’e Logudoro (Siccome devi andare a Talavera (Spagna)/ con l’equipe (Gruppo Folk) di quelli di Nuoro/tieni alta la nostra bandiera/ poiché con l’aspetto tuo e con il cuore/ stai presentando la Sardegna intera/ Campidano, Barbagia e Logudoro). 
Peppe Cuga appare come “bantu e onore” (vanto e onore) per la cultura musicale sarda la quale, dagli anni Cinquanta, è stata sempre più studiata e promossa in campo internazionale, permettendo a numerosi suonatori di effettuare concerti e tournée, per far ascoltare a pubblici eterogenei le tipiche sonorità che, nel caso delle launeddas, potrebbero verosimilmente appartenere a quella che viene genericamente definita musica primitiva. Il secondo componimento - “Sos sonadores de bidulas” (I suonatori di “bidulas”) - permette di evidenziare alcune storiche peculiarità ovoddesi nel rapporto tra musica (strumentale e polivocale) e i balli popolari. Nella prima quartina, Curreli pone in risalto lo spirito con il quale si ballava: Na ghi faghian ballos a tenore/ a tempus de antigu in dogni janna/ ca de ballare aian gana manna/e non be fu manc’unu sonadore (Dicono che facevano balli “a tenore”/ al tempo antico in ogni porta/ perché di ballare avevano grande voglia/e non c’era manco un suonatore). Poi è giunto tiu Bobore grazie al quale, nel ricordo del poeta, vennero introdotte “sar bidulas” a Ovodda: Tando ennidu fu tiu Bobore/ e batid’ha sas bidulas de canna/ e tando a cuminzare ’e Pascmanna/ fu sa festa po dogni balladore (Allora venne tiu Salvatore/ e ha portato le bidulas di canna/ e così a cominciare dalla Pasqua grande/ fu la festa per ogni ballerino). Da Bobore imparò a suonare ziu Cau (chi curriat sa zente a l’iscultare/ che correva la gente ad ascoltare). Successivamente è giunto Peppe Cuga (e poi A Peppe Cuga l’es toccau; successivamente è toccato a Peppe Cuga). In pochi versi è stata immortalata la successione dei suonatori di Ovodda, a favore dei quali abbiamo già scritto uno specifico articolo (si veda Peppe Cuga, sar “bídulas” di Ovodda e il ricordo di Giuseppe Cau)  pertanto non ci soffermeremo oltre. Nella terzina finale, Curreli desidera rendere evidente che Cuga, rispetto ai suoi predecessori, non solo sa suonare lo strumento ma ha pure imparato a costruirle (custu non solu l’ischid’a sonare/ ma a las costruire ad’imparau). Chiude il componimento un verso esclamativo, carico di interrogativi: Chissà poi a chie ad’a toccare! (Chissà poi a chi toccherà!). Purtroppo, nel paese è venuto a mancare il ricambio generazionale tra i suonatori di “bidulas”. Ha riferito Cuga che, per un certo periodo, aveva iniziato a suonare lo strumento tricalamo suo nipote Pier Paolo Vacca il quale, però, ha poi preferito specializzarsi nell’organetto. Gli Enti pubblici e culturali che cosa fanno? Si stanno attivando per promuovere la continuazione di un repertorio locale, unico in tutta l’Isola? La domanda “is blowin’ in the wind” e Peppe Cuga ci ha ricordato che ha quasi settant’anni. 
Vorrebbe tanto suonare e fissare il repertorio, insegnando ai più giovani quanto lui ha appreso nell’arco di una vita. Vorrebbe, in particolare, suonare con il “cuncordu” (così viene denominato localmente il gruppo del “tenore”), unendo la modalità strumentale a quella polivocale profana. Tuttavia, al momento, tutto è fermo e i giovani sembrano attratti soprattutto dalle canzoni moderne, i cui testi plasmati dai suoni digitali riescono evidentemente a garantire emozioni più immediate. Il terzo componimento di Curreli è un “ringraziamento”. Il titolo è uguale a quello della prima poesia (“A Peppe Cuga”) ma, in coda, è stata riportata una data: 14.8.1992. Il motivo del ringraziamento è il regalo de “sar bidulas” al poeta da parte di Peppe Cuga. Commosso, ziu Petrinu scrisse al suonatore “devotamente ti so obbligatu” (ti sono “debitore e riconoscente” con devozione). Come di consueto, nella prima quartina della poesia viene fissato il tema principale: “Zuseppe su regalu chi m’has fattu/m’est istadu de grande gradimentu/ no isco narrer cantu so cuntentu/ch’ist’ ammirandelu fattu fattu” (Giuseppe il regalo che mi hai fatto/ è stato di grande gradimento/ non riesco a esprimere quanto sono contento/che sto ammirandolo sul momento). Nella seconda quartina dell’ottava, spiega il motivo del suo agire in versi: Po dimustrare cantu n’de so gratu/ esprimo cun su meu pensamentu/ in custu modu riconnoschimentu/ isperande chi n’de sias soddisfattu (Per dimostrare quanto sono grato/ esprimo con il mio pensiero/ in questo modo riconoscimento/ sperando che tu sia soddisfatto). Nella sestina finale, Curreli evidenzia il sentimento di stima esistente tra i due concittadini: Tue mind’has sas bidulas donadu/ch’has a manu dua costruidu/ signale chi a mie m’has istima/ e deo in versos torrados in rima/ comente m’ha sa Musa suggeridu/ devotamente ti so obbligadu (Tu mi hai donato sar bidulas/che hai costruito con le tue mani/ segno che mi stimi/ e io in versi riportati in rima/ come la Musa mi ha suggerito/ ti sono “obbligato” con devozione). In altre parti dell’Isola, ho appreso il detto sardo “pratu bi andat, pratu bi torrat” (piatto va, piatto ritorna). Quando qualcuno riceve in dono qualcosa (“pratu bi andat”), l’omaggiato ricambia immediatamente con qualcos’altro (“pratu bi torrat”). Curreli ha subito contraccambiato, versificando a favore del suonatore. Molto è stato scritto sul ruolo della poesia in limba. In passato era una forma di comunicazione assai viva, ma per molti giovani appare oggi come una modalità statica e, per alcuni versi, sorpassata. Di certo, se considerata globalmente, la poesia dialettale in Sardegna è tutt’altro che estinta, ma certamente si è di molto attenuato quel diffuso modo di parlare e di rispondersi in versi tra poeti locali. I componimenti in precedenza presentati permettono di evidenziare come la poesia fosse uno strumento fotografico della quotidianità, capace di fissare nella memoria dei paesani eventi e persone meritevoli di essere ricordati. 
Poesia figlia delle Muse, a loro volta figlie di Mnemosine (Μνημοσύνη), dea della memoria. “Sulla memoria di chi siamo e dei nostri predecessori - ha voluto ricordare Cuga - si basa la storia dei paesi e dei popoli. Io lo ripeto sempre ai giovani: senza memoria perdiamo le radici e senza radici non esistiamo, siamo destinati a essere spazzati via. Non possiamo vivere solo schiacciati sul presente e sul nostro futuro, serve armonia tra il passato e il nuovo”. Peppe di armonia se ne intende, avendo trascorso una vita ad accordare e a suonare lo strumento tricalamo sardo. Il nostro compito odierno era quello di valorizzare i componimenti poetici aventi valenza etnomusicale, dando risalto alle usanze comunicative ed espressive di chi ci ha preceduto. In merito, pare d’obbligo la menzione di almeno altri due poeti popolari di Ovodda: Peppe Lai (1920-1997) e Vittorio Vacca (1940-2001). Come ricercatori, guardiamo a sa limba con rispetto e ammirazione, essendo un medium attraverso cui è possibile preservare, difendere e valorizzare patrimoni spirituali e culturali tipici delle tradizioni popolari. Riteniamo che sas limbas (i dialetti in generale) siano da salvaguardare, sia per le possibili comparazioni con le lingue nazionali o internazionali sia riguardo al modo di pensare e di vivere di una specifica comunità. Inoltre, sa limba poetica ha spesso aiutato chi scrive ad approfondire la conoscenza di eventi storici e di comportamenti sociali e individuali, anche quando osservati con sguardo locale (in particolare, nell’opera “Folklore sardo”, 1991). Con i suoi componimenti dedicati a Peppe Cuga, Pietrino Curreli ha confermato che la poesia in limba aiuta a riscoprire il senso di appartenenza rispetto al luogo nel quale si vive, da cui l’importanza di perseverare nel raccogliere testimonianze orali e scritte dei diversi modi di essere, vivere e comunicare, cogliendo, ove possibile, valori universali anche nelle micro culture, come è quella di Ovodda, evitando che il tempo e lo spazio (sempre più omologati in chiave cosmopolita) possano cancellare ogni traccia. 

Paolo Mercurio 
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