Nel segno del folk contemporaneo: Maurizio Martinotti, personalità culturale e musicale piemontese e transnazionale

Ci ha lasciati troppo presto Maurizio Martinotti, un grande della musica italiana e internazionale. Nativo di Casale Monferrato, se n’è andato a 68 anni, proprio l’ultimo giorno di quell’orribile anno che ci siamo lasciati alle spalle, dopo le complicazioni di un intervento chirurgico dal quale si stava riprendendo, lui che da vent’anni lottava con una malattia che lo aveva tenuto lontano dai palchi, ma non ne aveva ridotto lo spirito critico, la verve, l’humour tagliente e irresistibile.  Se si scriverà la storia del movimento folk contemporaneo a partire dai fatidici anni ’80, periodo ancora poco approfondito (e, azzardiamo, poco compreso) da musicologi e critici, che vede accentuarsi il lavoro di ricerca etnomusicologica nel campo delle danze oltre che del canto, artistica e tecnica, con il recupero di certi strumenti tradizionali, sarà impossibile non partire dall’esperienza di Maurizio Martinotti, ghirondista, polistrumentista, ricercatore con studi non solo musicali ma anche sulla cultura materiale del mondo contadino 1, compositore, operatore e divulgatore culturale a partire dalle sue ricerche nell’alessandrino con la Ciapa Rusa, il gruppo fondato con Beppe Greppi nel 1977, che ha attraversato differenti “incarnazioni” (parole di Martinotti), ma i cui dischi sono esemplari punti di riferimento per chi vuole comprendere il mondo musicale piemontese, sotto il profilo di una proposta pur sempre personalizzata 2. Da quell’esperienza nacque pure un’impresa discografica, Robi Droli, a lungo protagonista della scena del mercato folk nostrano (prima di diventare la celebre Felmay).  Finita dopo vent’anni “la bela ventura” de La Ciapa Rusa, che di kilometri ne macinò, portando il folk piemontese in tour ben oltre i nostri confini, Maurizio fondò i “modernisti” Tendachënt, una band che, facendosi forte di quella radicata presenza sul campo ed ereditando il portato musicale de La Ciapa, perseguiva nuove strade compositive, rappresentando il pensiero di un musicista colto, sensibile e transnazionale che pure ha lasciato quattro dischi innovativi del sound popolare.
Instancabile operatore culturale, Martinotti si inventò “Transitalia”, formidabile esperimento che raccoglieva in un solo spettacolo oltre una ventina di artisti rappresentanti di diverse regioni italiane – la crème de la crème del nuovo folk –, un elenco che a scorrere i nomi strabuzzano gli occhi. E che dire di Folkermesse, il festival monferrino per lungo tempo appuntamento centrale della stagione estiva delle musiche trad & folk! Né va dimenticata la direzione artistica (con Raffaello Carabini) dell’Etnofestival di San Marino, per il quale tra le altre cose fu regista di “Sulle Orme di San Marino”, un concerto che portava in scena i più importanti dell’Alto Adriatico (Sedon Salvadie, Dario Marusic trio, Calicanto e Bevano Est). E poi altri progetti “concept”, come “Canti delle Terre del Riso”, sui repertori delle terre risicole (Piemonte, Provenza e Pais Valencian), “Il Viaggio di Siberico”, inusitato percorso musicale lungo la via Francigena, il lavoro sui canti partigiani “E sulla terra faremo libertà”, il disco dell’Ensemble del Doppio Bordone (nella copertina del loro album “Gesù Bambin l’è nato” troviamo un Martinotti che sotto le sembianze di un pastore di presepe popolare suona la ghironda). Martinotti è stato anche la mente di Dòna Bèla (con Renat Sette), della E.Y.F.O., la European Youth Folk Orchestra, prima orchestra giovanile europea di musica tradizionale, del super
gruppo Le Vijà, e ha messo la sua ghironda al servizio di un’altra parata di stelle folk, i Padus. Altro snodo epocale la creazione con Valerio Cipolli dell’etichetta discografica FolkCub-Ethnosuoni, divenuta in breve una label di punta per il movimento folk italiano. Ad Asti, mise su il “Premio Viarengo”, riconoscimento per il folk contemporaneo al femminile, in memoria di Teresa Viarengo, la grande testimone, detentrice e performer del repertorio delle ballate piemontesi. Ricordiamo pure le collaborazioni musicali con Enzo Avitabile in “Sacro Sud”, l’utopia mediterranea con Urbàlia Rurana e soprattutto “Pau i Treva”, “Pace e Tregua”, uno spettacolo commissionato dal Governo Autonomo di Catalogna, che coinvolgeva musicisti piemontesi, provenzali, catalani ed arabi e che prendeva le mosse da un episodio degli inizi dell’anno Mille, valorizzando il tema della pace e della fratellanza fra i popoli.  Il fatto è che Maurizio Martinotti è stato “una grande mente musicale”, come ha scritto in un post a suo ricordo Riccardo Tesi. È stato un mediatore culturale, un assiduo divulgatore (ultimamente anche attraverso Hurdy Gurdy Scores su Facebook) ma anche un compositore sempre attento a quanto accadeva nel resto d’Europa nel circuito folk-trad. Dai valzer “J’è semp temp par l’amour”, “Come tempesta” e “Piccoli equivoci” a “Mare Mia”, dalla mazurka “Principessa” alle schottish “Re a ‘na vota” e “Tasso barbasso”,  da “Stranot d’amour a “Ad Oriente” e fino a “Curenta ‘d la valmaisa, solo per menzionare una manciata delle sue composizioni originali. La maggior parte delle composizioni di “Ori Pari”, “La Valle dei Saraceni” (album dei Tendarchët, Premio Loano nel 2006) e “Arnèis” portano la firma di Martinotti, che è stato uno dei pochi musicisti italiani a farsi portatore di un personale stile sonoro. Padrone della sintassi tradizionale piemontese, ne ha ripreso forme e stili, coniugati con duttile sapienza a trame colte e ad altre espressioni folkloriche. Martinotti ha creato composizioni che sono entrate nei repertori della nuova musica tradizionale, interpretate da tanti musicisti in giro per
l’Europa e oltre, e perfino, attraverso un processo di folklorizzazione, ritenuti brani tradizionali. Ma prima di tutto c’era la sua personalità schietta e culturalmente curiosa, di grande appassionato di enogastronomia, perché la cultura popolare è anche cultura alimentare, naturalmente. Era sempre pronto a dispensare consigli e ricette, oltre che a cucinare, come ricordano molti musicisti e colleghi giornalisti che hanno condiviso con lui tour ed esperienze festivaliere. È davvero arduo trovare le parole adatte per restituire un artista che ho conosciuto più o meno quarant’anni fa e che ha significato tanto per me come per tutti quelli che coltivano l’interesse per le forme musicali della tradizione orale. Grazie a lui ho scoperto la storia del Draghin, tanto per dirne una. E quanti musicisti devono a lui l’aver imbracciato uno strumento tradizionale o aver iniziato a percorrere le “strade del folk”?  Martinotti è stato una figura centrale per decenni di musica folk contemporanea, ma era pronto a lanciarsi in nuove avventure, nonostante la malattia. Poco più di dieci anni fa, ci eravamo incontrati di nuovo a Maranola in occasione della consegna a Maurizio del Premio La Zampogna in occasione del raduno-festival del borgo aurunco. I contatti erano continuati sui social, dove Maurizio, aveva iniziato a scrivere post da cui trapelava la sua verve di affabulatore, ironico, impertinente e lucidamente surreale. Proprio attraverso Facebook ci eravamo
ritrovati, quando avevamo voluto ricordare per “Blogfoolk” il suo amico musicista Jordi Fabregas i Canadell. Dopo la scomparsa del musicista catalano, aveva con entusiasmo lanciato attraverso i social l’idea di un Premio dedicato alla sua memoria. Con Maurizio avevamo anche ricordato la spettacolare avventura della già citata “Transitalia” e qualche altra idea era in cantiere, ma poi, come aveva avvertito lui stesso con un post lapidario, “le trasmissioni” si dovevano necessariamente interrompere momentaneamente per quell’inderogabile intervento chirurgico. Ci mancherà, Maurizio Martinotti, perché testimone di annate memorabili del folk, a torto messe in secondo piano rispetto ai decenni precedenti, ma anche perché tanto ancora aveva da dare alla nostra musica. Che la sua lezione non vada smarrita e alla sua figura sia dato il giusto riconoscimento. 


Ciro De Rosa

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1 Alcune delle registrazioni sul campo realizzate da Martinotti sono contenute nel CD allegato al volume F. Castelli, E. Jona e A. Lovatto, “Costantino Nigra. Canti Popolari del Piemonte”, Vicenza, Neri Pozza, 2020.
2 Cfr. “La Ciapa Rusa: parla Maurizio Martinotti (a cura di Andrea Del Favero)” in G. Plastino (a cura di), “La musica folk”, Milano, Il Saggiatore, pp. 852-855. Nella stessa opera, si veda Maurizio Martinotti “Intervista ad Alberto Cesa (Cantovivo)”, pp. 874-879.

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