La svolta del folk francese: Malicorne (1974 – 1986) IV Parte

Quando infine inviò i nuovi testi, Marie fu molto perplessa (pensando che Roda avesse rifilato loro degli scarti, “fonds de tiroirs” li definì citando il disco di Hughes di tre anni prima) ma contrariamente, i suoi tre compari erano entusiasti di questi temi così impegnati a trattare tematiche e immagini attuali calate nella realtà lavorativa contemporanea. Lo stesso De Courson si rivelò ancor più disponibile del solito anche se, nonostante ciò, non apparirà citato in formazione ma solamente tra i numerosissimi ospiti (assieme alla sua compagna di allora Véronique Harvey, Richard Galliano e Ivan Lantos ex-Kolinda). I tre iniziarono a lavorare su sonorità e ritmi pop-rock psichedelico più leggeri rispetto al passato del gruppo, un po’ come accadrà (purtroppo) di lì a poco agli irlandesi Clannad che lasceranno a bocca aperta la maggior parte dei loro fan. Gabriel è ben contento di allontanarsi dalla sintassi troppo didattica e dalla comprensione immediata dei significati delle frasi delle canzoni di Malicorne. Viene privilegiato l’effetto musicale (che lui chiama “coincidenza fonetica”) convinto che l’ascoltatore sia così invogliato a proseguire maggiormente negli ascolti. Crede convintamente che ciò farà “decollare” l’attuale gruppo, “Penso che abbia il merito di avere aperto altri orizzonti di cui avevamo bisogno ma il pubblico non ha colto” lo spalleggerà in seguito Marie. Il disco “Balançoire En Feu”, che talvolta sembra pure dissonante, uscirà per la multinazionale Elektra nel 1981 e il disegno di copertina stesso di Richard L. Schaefer, finisce per apparire come vero e proprio metaforico addio all’infanzia. Musiche lontanissime dal passato, incorniciate solidamente da arrangiamenti ingegnosi, pieni di maestria, comprendenti discese di tono, pause, cori accattivanti ma decisamente sconcertanti per gli ascoltatori abituali. E ancor più le frasi a pennellate espressioniste e astruse del paroliere, che abilmente cerca di appoggiarsi alla tradizione, attualizzando gli argomenti e modernizzando la proposta. In definitiva tutto questo è davvero troppo per chi ha seguito e amato Malicorne, anche in Italia il disco viene immediatamente liquidato come “pasticcio”. Il problema di questo e del seguente (ultimo) capitolo della discografia del gruppo sta proprio nella attribuzione a Malicorne. Di fatto esso non esiste più! L’immagine stessa di una “Altalena in Fiamme” è un ossimoro, lo spensierato e allegro gioco di bimbi che va in fiamme risulta piuttosto granghignolesco. Probabilmente è simbolo dell’intero mondo oscillante di continuo tra bello e brutto, vita e distruzione, i personaggi citati a turno nel testo sono, a livello letterario, comunemente associati a ogni sorta di avidità o ottusità umana. In “Vive La Lune” carillons di campane tubulari, xilofono, cori con eco e basso schiaffeggiato in controtempo evocano un viaggio iniziatico attraverso le città, non molto lontano da quello del filosofo, matematico e astrologo anglosassone Adelardo di Bath (Adelardus Bathensis). In “Dans La Rivière” vengono nominati oggetti presi dalla banalità quotidiana trattandoli come fossero evocazioni di la seulette, la nonette, le bouvier, le ménétrier degli inizi del gruppo. “Paysans Sans Peur” omaggia i lavoratori della terra attraverso un agglomerato di parole e con esse coloro che si battono fino alle estreme conseguenze per un’idea. Indirettamente pare rivolto anche a tutti quei cantanti e gruppi musicali come Malicorne, che hanno saputo ridar vita alle canzoni rurali. Definisce i contadini dei “livellatori” non solamente per il ritorno alla terra ma quali portatori di valori di uguaglianza e giustizia, probabilmente nel ricordo dei combattenti repubblicani che si batterono intrepidamente (il padre aveva fatto parte della Colonna Durruti spagnola prima e della Resistenza francese poi). Nel brano eseguito a cappella dall’intero gruppo, Patrick Le Mercier osa con voce cavernosa, una cesura sorprendente nella frase “tete ronde et”. Il disprezzo riservato ai contadini di un tempo sempre cantato dai folk singers di ogni dove, alle loro superstizioni, credenze, ritualità, sembra trovare una similitudine storica in questo riservato a chi lavora la terra oggi nelle regioni meno industrializzate europee. “Chantier D’Ete” capta il contrasto spaventoso tra un operaio al lavoro solitario in un cantiere e una donna che, poco lontano, sta abbronzandosi al sole. Testo che ispirerà nel 1985 pure un pezzo di grande successo commerciale in Francia a nome di Marc Lavoine (“Elle A Des Yeux Revolver”). La musica mescola sonorità di pianoforte a coda e “a bretelle” con sintetizzatore, mentre l’intermezzo mesto di fisarmonica appare sospeso nell’aria estiva e scenografica. Il brano inizialmente doveva essere interpretato da Marie ma alla fine lo canta Olivier Kowalski che, per la prima volta 
sarà interprete solista in seno a Malicorne. Parte delle parole continuamente ripetute come un mantra, il contrasto netto tra una vita infernale di fatica “cementificata” e “intonacata” e una tranquilla spensieratezza e nudità altrui che brilla al sole, finiscono per diventare l’arma che dovrebbe liberare l’operaio dalla propria schiavitù lavorativa, facendogli prendere coscienza della realtà. Il testo contiene unicamente accenti di alienazione, la scena descritta dall'autore è impersonale e potrebbe riguardare un qualsiasi luogo. Avviene di giorno, in pieno sole estivo ma l'atmosfera è notturna, fumosa, umida, nebbiosa, impalpabile, probabilmente emergono solo le gigantesche impalcature. Le parole sono centrate su figure umane ma grazie a queste scene, intorno tutta una città aumenta a dismisura d'uomo, le costruzioni incessanti, i mastodontici cantieri, preannunciano lunghe feste ma i "miracoli economici" saranno di breve durata. È la canzone della crescita della città e della sconfitta dell’essenza intima della persona, nel tempo del lavoro sparisce il mondo intero, invecchiano i corpi, svaniscono le forze. La realtà sociale lavorativa della grande città avvolge completamente il piccolo universo privato dell'uomo, diventando giorno dopo giorno, un flusso vischioso che attraversa la sua esistenza quotidiana, apparentemente onnipresente e immutabile. La suggestione delle parole di questo testo richiama la poesia di Arthur Rimbaud “Bonne Pensée Du Matin” scritta nel maggio 1872 mentre si trovava a Parigi. “Soldat De La Republique” è una canzone antimilitarista urbana degli anni ‘80 del secolo scorso assai distante da quelle contadine tradizionali. Afferma l’idea del suo autore che una canzone “disarmata” sia in fondo del tutto inutile, evoca combattenti “armati di un asso di picche” che possiedono un destino sospeso nelle casualità di un gioco di carte mentre masticano croste di pane duro con “denti di cane”. Definendo le tematiche concrete di lavoratori vittime sacrificali del capitalismo, di impietosi lunghi orari infiniti di lavoro, di marinai perduti tra onde assassine o muratori che cadono dalle impalcature. Immagini di forte impatto che narrano di gente cancellata dalla faccia della terra. La voce impetuosa di Gabriel e il ritmo a scatti rock sono certamente molto lontani dalle atmosfere de “Le Prince D’Orange”. Malicorne è oramai diventato un ectoplasma, per Gabriel quella lunga esperienza risulta definitivamente conclusa, l’ultima tournée nazionale tra ottobre e dicembre del 1981, partita da Lione e terminata a Tolosa, aveva sancito la fine del gruppo nell’indifferenza generale. In più, dopo aver tanto cantato di separazioni in musica, è pure l’epilogo del matrimonio con Marie da cui divorzia (ne racconterà l’anno seguente nella canzone “Bon An, Mal An” in Elementary Level Of Faith), già nella foto interna di “Balançoire En Feu” si era notato Marie e Olivier tenersi per mano (addirittura con Gabriel dietro di loro). L’incontro di Yacoub con Etienne Roda-Gil lo ha completamente disinibito nei confronti della propria poetica, affina sempre più il proprio stile di scrittura procedendo per elissi, allusioni, metafore bizzarre, allontanandosi rapidamente dai testi tradizionali, verso i quali non prova (ahinoi!) più alcuna attrazione. Nel frattempo, si impegna in differenti mestieri tra cui il restauratore di mobili, si esibisce in solo in Inghilterra e specialmente in concerti privati in America, dove ha incontrato un nuovo pubblico interessato, nonostante all’epoca, oltreoceano sia completamente impossibile trovare un solo disco Malicorne. Con estrema e rara modestia,
pian piano passa dalle coffee-houses al circuito dell’Alliance Française, poi ai folk club e ai festival, si lega affettivamente alla cantante Nikki Matheson. Da più parti lo sollecitano a riformare Malicorne, anche in vista di una prossima tournée nord-americana comprendente Dan Ar Braz nella prima parte. Lui temporeggia e nel frattempo compie in duo con l’ex compagno chitarrista del primo gruppo stivelliano, alcuni concerti primaverili americani, accompagnandolo nell’esecuzione di alcuni pezzi propri o di Donovan. Per la tournée estiva Gabriel richiama Marie e rimodella Malicorne con Jean-Marc Alexandre alla chitarra elettrica, Frank Gliksman (12°5) alla batteria, Gérard Lavigne (che compariva già nel 1973 in Pierre De Grenoble) al basso e Michel Le Cam (Meluzerne) al violino. Una formazione completamente inedita che si esibirà con incredibile successo sebbene nessuno avesse mai sentito parlare di Malicorne a Boston, New York, Filadelfia, Wilmington, Washington, Los Angeles, San Francisco, Portland, Seattle, Vancouver, Winnipeg o Montreal dove si esibirono. Il gruppo messo in piedi da Yacoub presenterà un programma misto di classici (“Pierre De Grenoble”, “Le Prince D’Orange”, “Salut A La Compagnie” dall’Almanacco), pezzi più recenti (“Beau Charpentier/Quand Le Cyprès, “Soldat De La Republique”), nuove composizioni di Gabriel (“Soleillet”, “Papa-Loi, Maman-Loi”, “Elle A Des Cheveaux D’Or” che apparirà sul disco allegato al “Fast Folk Musical Magazine - March 1985, vol. 2, n° 3”), sorprendenti riprese quali “Mignonne, Allons Voir Si La Rose” dedicata a Cassandra dal “Principe dei Poeti” Pierre de Ronsard (1524 - 1585) o “Roll Over Beethoven” di Chuck Berry come bis. Tutti i dischi portati andarono presto a ruba a fine concerti. Sull’onda dell’entusiasmo Hughes de Courson organizza le sedute di registrazione di un nuovo disco di Malicorne a Parigi, Gabriel chiama Colin Bass dei Camel e Michel Hindenoch, si parla anche di Mike Oldfield come produttore (dato il suo risaputo amore per il gruppo) ma presto tutto naufraga anche per mancanza di direzione artistica. Ben cinque anni trascorreranno dopo la cocente delusione seguente la ricezione da parte del pubblico francese, di “Balançoir En Feu” e l’ultimo “Les Cathédrales De L’Industrie” del 1986 che Gilbert Castro fondatore dell’etichetta “Celluloid” pretende appaia ancora a nome Malicorne. Gabriel non si trova per niente d’accordo ma non trova interessati in Francia a produrre un suo nuovo disco in solo, così alla fine cede a questa condizione, il nome apparirà un’ultima volta negli scaffali delle novità dei negozi di dischi ma la volontà che ciò accada è di un solo uomo che non fa neppure parte del gruppo. L’ensemble comprenderà Jean-Pierre Arnoux, Michel Le Cam, Olivier Kowalski e Marie Sauvet che esita dubbiosa ma alla fine partecipa, poiché un LP Malicorne senza la sua presenza non sarebbe mai potuto esistere. La stampa in qualche caso traccia inopportune similitudini con un sound alla Peter Gabriel ma il pubblico transalpino mal digerisce metamorfosi artistiche di tale portata e se a questo aggiungiamo una copertina priva di fascino...L’anno seguente il disco sarà prodotto anche in Germania e nel 1990 in Giappone ma in America
non vedrà mai la luce. Poche serate verranno organizzate per la promozione sia nella capitale che in provincia ma ciascuno ha i propri impegni, Yacoub ripristina allora il gruppo assieme alla compagna multistrumentista e bilingue Nikki Matheson, Patrice Clementin, tastierista, Michel Le Cam, violinista e Frédéric Mathet bassista elettrico. Durante i concerti di questa incarnazione Malicorne verrà anche eseguita la cover della canzone dedicata da Peter Gabriel all’attivista anti-apartheid sudafricano Stephen Biko e portata al successo dall’angelico Robert Wyatt. Saranno invece quasi del tutto assenti tradizionali francofoni. Personalmente, ricordo in scaletta unicamente “La Mule” (da Le Bestiaire) in una esibizione del 4 Marzo 1988 al Teatro Dejazet in boulevard du Temple, 3° arrondissement di Parigi, con Marie Sauvet accomodata tra gli ospiti. Nel giugno 1989 al posto di Mathet subentra Yannick Hardouin per l’ultima tournée della prima fase storica del gruppo proprio in Italia che troverà poi conclusione il 22 luglio al Festival des Tertres à Saint-Gouéno in Côtes-d'Armor, Bretagna dove verrà dichiarata terminata ufficialmente l’epopea di Malicorne. Il seguito sarà per molti...“nostalgia canaglia”. Il disco possiede sonorità gelide e basi anni ‘80, lo dominano sintetizzatori e fallimentari riverberi tipici della new wave che allora imperavano ma che poi sarebbero stati fatalmente superati dalle nuove mode sonore. Che lungimiranza e senso avrebbero mai potuto avere tecnologie di emulatori e séquencer con elaborazioni pop alla Human League o Depeche Mode, per composizioni di un musicista dalla rara sensibilità quale Gabriel Yacoub?! Mi verrebbe di rispondere: unicamente coerenza assoluta con il titolo dell’album. Ma tant’è! “Sorcier” conferma in modo lampante che simboli magici e mondo sovrannaturale passato, continuano a dimorare, nonostante tutto, nella sua immaginazione. La musica si fa più mistica, basata su percussioni e ambientazione da savana. “Robe Blanche, Robe Noire” è arrangiata secondo le indicazioni di Marie e trova ispirazione in “Je Suis Comme Je Suis” di Prévert. “Les Cathédrales De L'Industrie” è una danza senza gioia, martellata di suoni industriali e note sintetiche a raffica, i versi "E andrò in queste città d'inferno dell'Est che portano tutte nomi di angeli" evocano le immagini degli altiforni siderurgici di Uckange, Gandrange o Florange nell’attuale Lorena, che chiudono uno dopo l’altro in quegli anni, dimostrando come la lezione sociale appresa dalla poetica di Roda-Gil che dominava il disco precedente, non si sia dissolta nel nulla. La canzone che dona titolo all'intero disco, sintetizza alla perfezione il tentativo di miscelare la tradizione antica e la modernità tecno di brani esclusivamente composti da Yacoub. Oltre alle cittadine in precedenza citate, quante altre ce ne sono tutto intorno, dove moltissimi emigranti trovarono lavoro nella siderurgia, piccoli comuni dai nomi che finiscono appunto in "ange" ("angelo" in francese) come Knutange, Algrange, Nilvange, Hayange...prossimi al confine col Lussemburgo in un territorio bagnato dalla Mosella. Verso il terminare del XIX secolo, la Lorena era diventata, e lo è rimasta appunto fino agli anni ‘80 del Novecento, una delle principali mete dell’emigrazione di operai belgi, lussemburghesi, polacchi, nordafricani e italiani grazie all’impressionante sviluppo dell’industria siderurgica ed estrattiva. Oltre agli incidenti (il disastro di
Marcinelle dell'8 agosto 1956 su tutti) molti trovarono la morte anche grazie a quello che respirarono negli anni e che distrusse i loro polmoni. Precedentemente si trattava di un territorio agricolo ma la costruzione degli altiforni modificò completamente in maniera strutturale il paesaggio e la vita sociale di quella regione francese e di quegli abitanti “Scendono ogni mattina, vanno a rubare il fuoco sacro, portandosi nelle viscere la solidarietà dei compagni e la paura della morte...” Aurélie Filippetti (politica e romanziera francese) in Gli Ultimi Giorni Della Classe Operaia (2004). “Big Science” è urbanamente robotomizzata sullo stile di Laurie Anderson di cui riprende anche il titolo del 1982 ma quest’ultima fu un genio futurista e i miracoli non si ripetono (nemmeno in musica) e nonostante una cornamusa in lontananza. Nella ballata “La Nuit Des Sorcieres”, anch’essa arrangiata secondo le volontà e il gusto di Marie, trovano spazio soluzioni armoniche e polifonie su un ritmo mandingo, martellante e lancinante che accompagna il canto sensuale femminile in un testo ispirato a La Nuit Des Halles di Claude Seignolle sulla presenza delle streghe a Parigi che prosegue lo spirito delle canzoni diaboliche di Malicorne. Peccato per il troppo corto finale “a cappella” in inglese, basato sull’atemporale “Lyke-Wake Dirge” (di cui narro su TerreCeltiche ) ripreso dall’interpretazione del mitico trio folk Young Tradition. Sporadicamente appaiono strumenti tradizionali: la cabrette dell’ospite Olivier Daviau o l’uillean pipe di Alan Kloatr, che già aveva suonato in Pierre De Grenoble nel 1973 ma sono poca cosa, Gabriel preferisce dare priorità a parole e riflessioni. “Je Resterai Ici” è una dichiarazione opposta all’altra canzone del disco “Il Me Reste Un Voyage A Faire” e questa armonia dei contrari è propria della personalità di Yacoub che ha bisogno di ancoraggi solidi che lo leghino a un luogo (soprattutto all’antico Berry) e contemporaneamente di avventure. A proposito della prima ebbe a dichiarare: “...la gente si sposta a causa delle guerre, della gloria o della ricerca di una vita migliore, in tutti tre i casi si tratta di un esilio...” “Le Temps” risente della seduzione dovuta a Storie Del Tempo, dello scrittore-economista francese Jacques Attali. I cupi, disillusi, fatalistici versi di “Le Dormeur” disegnano invece l’atteggiamento passivo di chi non ha saputo prendersi il bello della sua occasione di vita, sia esso un giocatore, un lavoratore, un matto o un poeta. 

Flavio Poltronieri 



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