La svolta del folk francese: Malicorne (1974 – 1986) - II Parte

Nell’anno 1976, l’ambizioso terzo disco di Malicorne gode di arrangiamenti ancor più sofisticati e orchestrazioni raffinate, con una strumentazione accresciuta che ospitata maggiore elettronica e quartetto d’archi. Vincerà tre Dischi d'Oro ricevendo il Gran Premio dell'Accademia Francese del Disco, oggi è giunto a oltrepassare le 500.000 copie vendute in tutto il mondo. Più d’uno in Francia sostenne da subito, si stessero avvicinando al rock sinfonico di Yes o Genesis oppure che “Almanach” fosse un po’ il “Sgt. Pepper dei Malicorne”. Altre valutazioni ad effetto e superficiali. L’incanto del racconto folk segue il filo conduttore dei dodici mesi dell’anno e relativo corteo di feste stagionali, una strada lunga un anno che assume respiro di largo affresco populista. Come ovunque le occasioni celebrative appartengono a mietiture, raccolte, vendemmie, occasioni floreali, il tema però non è eseguito in maniera rigorosa e alcune di queste ballate, di stagionale hanno poco o nulla. Se non, ad esempio, tocchi di vaga atmosfera soffocante estiva o malinconico-autunnale, occhi curiosi e sguardi dorati di bambini oppure nostalgie di anziani dai capelli bianchi. I brani rituali scorrono via brevi, intensi e luminosi, in piena somiglianza con le festività che rappresentano: parentesi di gioie effimere all’interno della rigida vita contadina quotidiana. Così le questue dei bambini per il nuovo anno appena nato (“Salut A La Compagnie”), per il primo maggio (“Voici Venir Le Joli Mai”), per processioni pasquali (“Margot”) o natalizie (“Noël Est Arrivé”). Per il resto si tratta di rappresentazioni dei poli opposti del tempo: amori giovanili e spensierati da una parte e morte implacabile e crudele dall’altra. Nel caso di “Quand J’Etais Chez Mon Pére” i Malicorne optano per una bucolica versione dell’Alto Poitou dove la pastorella maliziosa confida al pastore che la corteggia, che anche la propria madre in gioventù si era divertita parecchio a bere di notte e spassarsela di giorno. Ma se ne conoscono omonime francesi e canadesi con differenti protagonisti, ad esempio il gruppo Le Claque Galoche ne esegue nello stesso anno, una versione “à boire” all’interno del proprio disco Arfolk. Malicorne aggiunge tocchi musicali geniali come ad esempio, i violini “bartokiani” in “Les Tristes Noces” (canzone sugli amori impossibili) oppure ancora l’organo elettrico a “L’Ecolier Assassin” che il pathos naturale della voce di Yacoub fa ancor più somigliare a uno spaventoso film dell’orrore. Canzone dalle cadenze rudi e parole acri e crudeli che Mélusine nello stesso anno aveva a sua volta, inserito in “La Prison D’Amour” in una versione “a cappella” leggermente differente, dal titolo “D’Où Reviens-Tu, Mon Fils Jacques?”. Toccante in maniera particolare risulta la resa della sovrannaturale e sventurata ballata di povera rassegnazione “Le Luneux” ambientata magicamente da Marie Sauvet, quasi stesse lacrimando con tutto il corpo. 

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