Vincenzo Santoro, Rito e Passione. Conversazioni intorno alla musica popolare salentina, Itinerarti Edizioni 2019, pp. 252, Euro 20,00

Responsabile del Dipartimento Cultura e Turismo dell’Associazione Nazionale dei Comuni Italiani, nonché vivace operatore culturale ed apprezzato saggista, da lungo tempo impegnato in attività di studio e ricerche sulla musica tradizionale salentina, Vincenzo Santoro vanta una lunga serie di pubblicazioni sulle musiche e culture popolari dell’Italia Meridionale, tra cui spicca certamente “Il ritmo meridiano. La pizzica e le identità danzanti del Salento” co-firmato con Sergio Torsello e diventato uno dei volumi di riferimento sul tema, la bella monografia “Uccio Aloisi. I colori della terra. Canti e racconti di un musicista popolare (con Sergio Torsello e Roberto Raheli)”, il recente ed interessantissimo “Odino nelle terre del rimorso. Eugenio Barba e l’Odin Teatret in Salento e Sardegna (1973-1975)”, ma soprattutto il ben noto “Il ritorno della taranta. Storia della rinascita della musica popolare salentina”. A dieci anni di distanza da quest’ultimo, Santoro torna con “Rito e Passione. Conversazioni intorno alla musica popolare salentina”, che aggiorna ed integra il contenuto del precedente. Abbiamo intervistato il saggista salentino per approfondire insieme a lui i temi alla base di questo nuovo libro, senza dimenticare i progetti in cantiere che vedranno la luce a breve. 

A dieci anni di distanza dalla pubblicazione de “Il ritorno della Taranta”, che ripercorreva le vicende relative alla rinascita della musica popolare salentina, torni sull’argomento con “Rito e Passione” che ne aggiorna e ne integra il contenuto con le voci di alcuni protagonisti. Da dove è nata l’esigenza di tornare sull’argomento?
“Rito e Passione” è la prima pubblicazione di Itinerati, nuova casa editrice fondata da mio fratello Antonio Santoro, con lo scopo di approfondire alcuni temi che riguardano anche la musica popolare e non solo. 
L'esigenza di ritornare sui temi trattati ne “Il ritorno della taranta” nasce dal fatto che, per quanto riguarda il “movimento della pizzica”, negli ultimi dieci anni ci sono stati alcuni aspetti di novità interessanti e dei cambiamenti, a mio avviso, significativi con alcuni processi che si sono inaspriti o hanno avuto un’accelerazione, soprattutto nel campo della spettacolarizzazione e della “festivalizzazione”. In particolare, ho provato a ragionare sull’imponente mole di interventi a sostegno della cultura in generale, e della musica in particolare, messi in campo dalla Regione Puglia durante l'amministrazione Vendola – cioè a partire da 15 anni fa - e proseguite, con alcuni cambiamenti, con la presidenza Emiliano. Ho cercato di riflettere criticamente su come queste politiche abbiano interagito con il movimento della musica popolare salentina. 

Le politiche a sostegno della cultura in Puglia sono state, in ogni caso, molto efficaci e, in qualche modo, anche esemplari…
Indubbiamente. Mi interessava inoltre, anche per una sensibilità che deriva dal fatto che di tali questioni mi occupo per lavoro, analizzare tutto questo in rapporto alle dinamiche del turismo e del così detto marketing territoriale. Il quadro istituzionale, negli anni, è un po' cambiato, tuttavia una serie di strumenti di sostegno messi in campo dalla Regione Puglia hanno interagito più o meno direttamente con il movimento della musica popolare, rafforzandolo e stimolandolo, anche quando si tratta di interventi non specificatamente diretti ad esso. 
Puglia Sounds, negli anni migliori, ha aiutato molti gruppi a fare dischi e ad andare in giro nei festival importanti così come non è mancato il sostegno del Teatro Pubblico Pugliese. La crescita del turismo è stata stimolata anche dai tanti film che sono stati prodotti con il sostegno dell'Apulia Film Commission, che in diversi casi avevano al loro interno dei richiami ai temi della cultura popolare. Insomma, è stata messa in campo una complessa macchina di promozione territoriale, con risultati evidenti e molto significativi, ma anche con delle criticità. Nel libro ho cercato di analizzare tutto questo anche alla luce di certi studi che sono stati pubblicati di recente, come ad esempio il saggio di Aldo Bonomi che cito abbondantemente perché molto interessante. La cosa che colpisce è che, mentre l’interesse per il “Salento pizzicato” cresceva esponenzialmente a vari livelli, si è registrato un forte rallentamento del dibattito interno al “movimento” che, al contrario, prima era molto più vivace. Si discuteva molto, in pubblico e anche sui media locali, intorno alle modalità di gestione di quello che veniva in qualche modo vissuto come un bene collettivo. Questo aspetto “democratico” del movimento salentino, dagli studiosi – ad esempio dall’antropologo Gianni Pizza - è stato sempre visto come una sua grande ricchezza. Oggi invece si registra un dibattito pubblico molto più impoverito, in cui solo in pochissimi protagonisti prendono la parola, al di là degli aspetti strettamente artistici. 

Qual è lo stato dell’arte in Salento, rispetto alla musica popolare?
Ricordo che all’inizio di tutto, negli anni precedenti alla nascita della Notte della Taranta, quando si cominciava a discutere di un intervento pubblico per la valorizzazione  della musica popolare salentina, con Sergio Blasi, Luigi Chiriatti ed altri, in un dibattito che coinvolse attivamente anche l’Istituto Ernesto de Martino di Sesto Fiorentino e Ivan Della Mea, si aveva l’idea di costruire una politica di sviluppo per il territorio che uscisse fuori da quelle che erano state le cose che le istituzioni avevano perseguito fino a quel momento: cose come il Premio Barocco, le serate televisive e la lirica di provincia. Se vogliamo analizzare le dinamiche che riguardano il più grande e rappresentativo evento di questo nostro settore, possiamo dire che oggi, forse, paradossalmente, siamo ritornati al punto di partenza, alla ricerca del passaggio televisivo a prescindere dal contenuto e dal messaggio, il tutto in una chiave di ricerca di visibilità smodata. Ma anche fuori dal contesto melpignanese le cose non sembrano andare meglio. Che dire del falso storico di Galatina con questa pantomima delle tarantate davanti alla cappella di San Paolo, nei giorni della Festa? La musica “terapeutica” a Galatina non c'è mai stata in quanto, nella credenza poplare, a coloro che erano del paese era garantita l’immunità dal Santo, ma anche perché la “terapia musicale” non avveniva davanti alla cappella, ma nelle case delle persone, nei paesi di origine. Nella cappella, non c’erano suonatori, al massimo si battevano le mani per portare il tempo; è una cosa che ora stanno cercando di riprendere e modificare, ma sarà veramente complicato farlo. Insomma, il quadro generale non è certo entusiasmante. Rapportando tutto questo al turismo si noterà che – soprattutto nel periodo agostano, dove si svolgono la maggior parte dei Grandi Eventi - il Salento è abbastanza saturo. 
Il problema sarebbe quello di qualificare il turismo e alzare l’offerta culturale per selezionarne i fruitori. Se si propone un contenuto trash, si avrà un turismo trash. Al contrario, bisogna alzare il livello, offrire esperienze più complesse e forti. Da noi, anche rispetto ai temi della musica popolare, non c'è niente di tutto questo, non c'è un museo, un luogo di fruizione, una biblioteca dedicata: si continuano a fare spettacoli su spettacoli, sempre nello spazio angusto delle ferie agostane, dove tutto diventa sagra, piccola, grande o mega, a seconda delle risorse a disposizione.


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