Se potessi parlare con Dio gli chiederei se può mandare la pioggia

“ ...tristezza che non viene da sola/e non viene da ora/ma si nutre e si copre dei giorni/passati in malaora/quando è sprecata la vita/una volta/ è sprecata in ogni dove” 
(Vinicio Capossela - “Morna” da “Il Ballo di S. Vito”) 

Il 27 agosto sarebbe il 78° compleanno di Cesaria Evora, sicuramente lo festeggeranno là in quel pugno di isole povere di terra agra dove il tropico rivela la sua anima tra Oceano e Africa. Sembra una beffa: a Capo Verde di verde non c'è niente, la natura è solo vulcanica e arida. Nient'altro che un pugno di lava perduto e dimenticato nell'Atlantico, scaraventato là dalla costa senegalese 60 milioni di anni fa. C'è solo vento. Le case sono basse, tutte rosse, gialle, verdi, blu e il tetto è di paglia, tanto non c'è pericolo che piova! A dire il vero fino a metà del 1700 la vegetazione c'era ma poi la siccità prevalse. Di notte le stelle sembrano conchiglie che intonano il lamento marino e le ragazzine a dodici anni sono già madri. Le donne cantano la nostalgia della loro lontana giovinezza, sembra secoli fa e invece sono solo passati pochi anni, in mezzo ci sono quattro, cinque marmocchi. Qui è tutto mescolato: ci sono neri dai capelli biondi naturali, facce da senegalesi con occhi azzurri o verdi, dei visi dai tratti bianchi e dalla pelle scura. Qui tutti sono accaniti sostenitori del concubinaggio e della prolificità ad oltranza….uno vanta la paternità di 54 bambini! 
Quando agli inizi del 1900 gli uomini emigrarono in America, le donne rimasero a vivere in un paesaggio simile a quello lunare ad allevare polli scheletrici e a coltivare patate già seccate ancora prima di germogliare. Costruirono strade portando le pietre una ad una dentro i cesti caricati sulla testa, ancheggiando con la morbidezza e i colori delle donne polinesiane, sempre sorridendo e cantando. Qui la musica è davvero femminile e Cesaria Evora è stata una di queste donne, anche se ad un certo punto il destino l'ha scelta. Così è emigrata per poter incidere il suo primo disco. Ma oramai aveva 47 anni. Prima cantava al bancone di un bar di Mindelo, il porto sull'isola di Sao Vicente, mentre le grandi navi sostavano giusto il tempo di fare il pieno di acqua e carbone e nell'attesa la ascoltavano. Ha sempre vissuto qui, ha sempre cantato qui, nei bar, nei locali popolari, sulla spiaggia, per le strade: per ogni canzone 25 escudos che corrisponderebbero circa a 23 centesimi di euro attuali. In un posto dove non esisteva neppure il mercato delle musicassette, specialità del cosiddetto Terzo Mondo. L'ultima volta che ho assistito ad un suo concerto, muoveva appena quel suo corpo così pesante ma la sua voce bastava, eccome se bastava. Come la prima volta che ascoltammo Sodade. E ci mise poco la “diva dai piedi nudi” a diventare una stella: durante i suoi concerti americani di metà anni novanta, Madonna e l'intera scena hip newyorkese le rendevano pubblico omaggio. La paragonavano a Billie Holiday. E così Cize anche se non era giovane, non era bella, era pure strabica, non conosceva una parola di inglese, 
non proveniva da un Paese rispettato, non sapeva neanche cosa fosse un video, cantava in creolo, lingua dalla musicalità africana con accenti portoghesi, spagnoli, inglesi, francesi, su una semplice musica acustica troppo lenta per le schizofrenie del mercato, diventò improvvisamente famosa. Ma lei che aveva conosciuto la miseria per tutta la vita, che neppure ricordava chi erano i padri dei suoi figli, sapeva che la tristezza è ovunque, in tutte le lontananze come in tutti i ritorni, esattamente come recita la Morna e questa era la sua unica religione, la sua terapia. Oltre al cognac. Tutto era successo troppo tardi per poterle cambiare realmente la vita: “Il destino? Non so che cosa sia il destino. E' un masso che ci cade sulla testa. Io non credo al destino. Dove comincia? Dove finisce? I sogni? Neanche a quelli credo: si dorme da ricchi, ci si sveglia da poveri ”. Che ne sapevano gli altri da dove proveniva la Morna?! Chi aveva mai sentito parlare di Eugénio Tavares, morto nel 1930, che ne fu il primo grande poeta? A chi importava che le ballate che adesso lei cantava e tutti applaudivano erano state scritte trenta anni prima da B. Leza, suo zio, cantautore e poeta, costretto a vivere su una sedia a rotelle, alcolista, morto nella miseria e nell'indifferenza dell'epoca? Bel tipo questo zio che in realtà si chiamava Xavier Francisco Da Cruz ma che decise di cambiarsi il nome per ricordare il suo grande amore, vale a dire la bella Raquel, figlia dell'armatore José Antonio da Silva di São Filipe, con la quale non poté sposarsi e che era appunto soprannominata Beleza ovvero Bellezza. E badate bene che uno pseudonimo non è un soprannome ma ha la valenza di un cambio di identità. Lui era un dipendente delle poste e telegrafi sull'Isola di Fogo e a seguito di un ammanco di cassa fu trasferito a Mindelo e il matrimonio così saltò. Ma questa però è un'altra storia….Buon compleanno Cesaria Evora, stasera vorrei dedicarti una musica di Loreena McKennitt che porta il tuo nome.



Flavio Poltronieri

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