Nell’Inghilterra del dopo Waterloo, di fronte alla crisi economica, a un popolo affamato e non rappresentato in Parlamento, ai tumulti di carattere consapevolmente politico della masse di lavoratori, il governo rispose con la sospensione dell’Habeas Corpus (1817) e con la “Legge del Bavaglio”, al fine di limitare il diritto di riunione pubblica e conferire poteri straordinari ai magistrati locali per impedire la pubblicazione di opuscoli radicali. Due anni dopo, nel 1819, raduni nel Nord e nelle Midlands richiedevano la riforma elettorale e la soppressione della famigerata Legge sul Grano. Una delle manifestazioni fu organizzata il 16 agosto a St. Peter’s Fields, a Manchester, dove circa 60-80.000 persone, di cui tantissime donne con i loro bambini, accorsero pacificamente e in modo sobrio e dignitoso, come si erano raccomandati i promotori, ad ascoltare il comizio del famoso oratore Henry Hunt, un benestante diventato un radicale, esponente nazionale del movimento favorevole alla riforma parlamentare. Poco dopo che “orator” Hunt iniziò a parlare, venne arrestato e i convenuti caricati dalla yeomanry – la milizia locale non regolare, reclutata tra i ranghi della borghesia, sotto il controllo e il comando di magistrati, che quel giorno, in attesa degli eventi,
si era ubriaca ben bene, – che sciabolava a destra e a manca la folla, e dagli ussari a cavallo, il cui intervento paradossalmente fu determinante per mettere un freno alla carneficina. Un attacco brutale che lasciò sul campo almeno quindici morti (altri ne morirono nei giorni seguenti) e oltre seicento feriti, a cui il governo rispose con il pieno sostegno dato alla condotta delle autorità e congratulandosi con magistrati e milizia. Non solo, perché la repressione fu intensificata promulgando la censoria e liberticida Legge dei Sei Atti. Pochi giorni dopo James Wroe, cronista del “Manchester Guardian” (da cui, in seguito, è nato il quotidiano “The Guardian”) coniò la tragica, e al contempo ironica, espressione Peterloo, data la presenza tra i soldati (ed anche tra i semplici cittadini) di veterani della celebre battaglia di quattro anni prima in cui Napoleone era stato sconfitto.
Nel suo auto-esilio italiano, il poeta Percy Bhysse Shelley apprende la notizia dalla stampa e scrive di getto il virulento poema “La Maschera dell’Anarchia” (che, però, il suo editore Leigh Hunt, che si era già fatto un paio di anni di prigione per i suoi scritti contro il Principe Reggente, pubblicherà solo nel 1832), in cui invita il popolo alla ribellione contro l’ordine costituto e il governo: «Rise like Lions after slumber/ In unvanquishable number/ Shake your chains to earth like dew/ Which in sleep had fallen on you/ Ye are many –they are few»,
sono i famosi versi finali di incitazione del poeta romantico.
Di recente il regista Mike Leigh ha raccontato la vicenda nel suo film “Peterloo” (2018). In occasione del bicentenario dei fatti di Manchester hanno dato conto del tragico massacro diversi lavori di storici e un’interessante graphic history, “Witnesses to a Massacre”, di Polyp, Eva Schlunke e Robert Poole, pubblicata da New Internationalist. Riguardo alla musica, un libro e un disco raccolgono le voci dell’Inghilterra radicale di quegli anni. Con “Ballads and Songs of Peterloo” (Manchester University Press, 2018, pp. 248, brossura £ 80, edizione economica £ 15,99), l’accademica Alison Morgan dell’Università di Warwick ha raccolto per la prima volta oltre settanta ballate e canzoni prodotte e pubblicate su foglio volante o messe in circolazione dalla stampa radicale dell’epoca, passate d’orecchio in orecchio e di bocca in bocca nei mercati, nelle fiere, nelle taverne e nei pub, a testimonianza delle reazioni emotive ma anche politiche all’eccidio di Stato. Nel capitolo introduttivo, Morgan esplora il contesto sociale e politico che prelude agli eventi di Peterloo, per poi entrare nella dinamica di quanto accadde a St. Peter’s Field e della risonanza pubblica del massacro. Analizza il ruolo della pubblicistica e della stampa radicale a partire dallo scorcio finale del
XVII Isecolo, passa in rassegna i periodici politici dell’epoca (“Examiner”, “The Cap of Liberty”, “Meduse”, “Black Dwarf”, “Political Register”, “Manchester Guardian”, ecc.) e si sofferma su alcune delle figure radicali più rilevanti. Si rivolge, poi, al ruolo svolto dalle broadside ballad e dalle composizioni di protesta, come pure all’interesse romantico e antiquario per le ballate e per il mondo popolare, non solo quello del famoso Thomas Percy, che dà alle stampe il celebre e influente “The Reliques of Ancient English Poetry” (1765), ma tratta anche del lavoro del radicale Joseph Ritson, il cui “A Select Collection of English Songs”, pubblicato nel 1783, era in diretta e critica concorrenza con le “Reliques” di Percy. Morgan, quindi, passa al nucleo centrale del suo lavoro, che consiste nell’analizzare con dovizia i testi di quella che si configura come una contro-narrazione popolare, che unisce l’indignazione all’ironia, la protesta alla presa di posizione politica anti-governativa. Queste instant song e ballad, i cui testi sono sposati a melodie preesistenti, catturano «un vero senso di indignazione, di dolore - e di zelo rivoluzionario per il cambiamento», come dichiara la stessa autrice. Il criterio di selezione adottato dalla studiosa si fonda sulla data di pubblicazione sui periodici, indipendentemente dalla qualità letteraria dei testi. La maggior parte delle ballate, delle canzoni e delle poesie contiene espliciti riferimenti agli eventi di Peterloo, mentre altri componimenti contengono allusioni, che non sarebbero sfuggite agli ascoltatori di quegli anni, considerato che quello di Peterloo (del tutto ignorato da molti studenti britannici ) fu uno degli episodi più significativi dell’epoca post-napoleonica in cui trionfa il capitalismo industriale. La maggior parte dei testi è anonima o firmata con delle semplici iniziali (la cui paternità in larga parte è stato impossibile rintracciare). I capitoli si susseguono seguendo i temi (“’Rise Britons, rise now from your slumber’: the revolutionary call to arms”, “’Ye English warriors’: radical nationalism and the true patriot”, “’Base brat of reform’: the victimisation of mother and child”,
“’Your memorials shall survive the grave’: elegy and remembrance”,”’Those true sons of Mars’: chivalry, cowardice and the power of satire” e “’Freeman stand, or freeman die’: liberty and slavery”), le ballate sono presentate per argomento, mettendo al centro le similitudini nell’immaginario cui i canti attingono e che contribuiscono a rinnovare, come la brutalità nei confronti delle donne (erano il 12% dei manifestanti, ma furono un quarto delle vittime), l’esortazione alla sollevazione e alla vendetta, la memoria dei caduti e l’irrisione del potere.
In fondo al libro, in appendice, Morgan ha pubblicato la più celebre e “nobile” lirica, “La Maschera dell’Anarchia” di Shelley, in seguito citata e usata da tante personalità in diversi contesti politici, da Ghandi a Thabo Mbeki fino agli studenti di Piazza Tiananmen. Come già osservato, la poesia, scritta qualche settimana dopo gli eventi luttuosi di Manchester, fu pubblicata oltre una decade dopo. Ecco che la ricercatrice ha inteso separare il componimento shelleyano dal corpus circolante subito dopo i fatti. Inoltre, negli intenti dell’autrice, vi è la volontà di non oscurare il valore delle canzoni e delle ballate antologizzate. Ad ogni modo, lo scritto di Shelley va letto in continuità con i materiali coevi, di cui riprende formule e tono.
Morgan conclude con l’auspicio che in occasione del bicentenario del massacro e per il futuro le voci di questi anonimi balladeer possano risuonare ancora nelle strade di Manchester e dell’Inghilterra.
Di certo, alcune di queste ballate stanno riecheggiando nello spettacolo portato in scena dal veterano folkie Pete Coe (voce, bouzouki, organetto, banjo, podoritmia), da un’altra personalità del folk molto conosciuta quale Brian Peters (voce, organetto, anglo-concertina, chitarra e violino) e dalla più giovane Laura Smyth (voce, violoncello, English concertina), che hanno inciso anche un CD intitolato
“The Road to Peterloo” (Blackshift Records, 2019), dal sottotitolo “Ballads & Broadsides from the Radical North West”. La copertina riprende un particolare di “Victory of Peterloo” dell’illustratore George Cruikshank con la famosa immagine della donna prostrata con in braccio il suo bimbo assalita da un cavaliere che brandisce una sciabola. Il trio ha costruito un programma di sedici brani, una raccolta di ballate, conosciute attraverso altri lavori seminali (soprattutto le ricerche di Harry Boardman e Roy Palmer) ma provenienti anche dal volume di Morgan, che i muscisti hanno combinato con altre fonti e con parti strumentali originali. I tre non nascondono l’intento politico di rendere consapevole il pubblico del fatto che la classe lavoratrice ha dovuto lottare pagando con il sangue per ottenere diritti che oggi si danno per scontati e che – come sappiamo – sono sempre più messi in discussione. Non c’è però la volontà di fare prediche, piuttosto essi affermano di voler «raccontare una storia potente in modo musicalmente interessante».
Coe, Peters e Laura Smyth hanno lavorato su materiali musicali già esistenti e scritto nuove melodie. La prima parte del disco riproduce il contesto nel quale avvenne il massacro di Manchester: si pensi alla canzone “The Drummer Boy For Waterloo”, cantata da Smyth, sostenuta da banjo e violino, che ricorda la vittoria dell’eroe Wellington contro i francesi, al soldato di “Jone O’ Grinfield”, interpretata a cappella da Laura Smyth, o a “The Weaver’s Sweet Home”, una ballata di foglio volante sul tema dell’emigrazione e delle dure condizioni di lavoro nell’industria del cotone per cui Peters ha scritto una nuova melodia.
Invece, “Cropper Lads” si riferisce a un attacco luddista nel West Yorkshire, mentre una nuova melodia è stata accomodata a una broadside dedicata a Tom Paine, il celebre libertario e rivoluzionario, autore del libello “Rights of Man”, uno dei più temuti oppositori dell’establishment, condannato in contumacia. A delineare il quadro sociale e le rivendicazioni sociali di quegli anni, ci sono le belle armonie vocali di “The Triumph of Liberty”, “Arise, You Sons of Freedom”, eseguita con voce, chitarra, melodeon e violoncello e “You Tyrants of England”, basata sulla versione del Critic’s Group, pubblicata nel 1968 nell’LP “Wateloo:Peterloo”. La seconda sezione del disco si concentra sul massacro e sugli avvenimenti successivi. Si inizia con due jigs, provenienti dal manoscritto del violinista ottocentesco Joseph Kershaw (“Spotted Borders/ Rolling Bet”), cui seguono la celebre “With Henry Hunt We’ll Go” e “Rise, Britons, Rise”, una rapida descrizione dei fatti di St. Peter’s Field e dell’arresto di ‘orator’ Hunt. Di prima mano e drammatica è anche la narrazione presentata in “John Stafford”. Diversamente sul versante satirico, trovano spazio “St Ethelstone’s Day”, per sola voce (Coe) e organetto (Peters), scritta dal poeta calzolaio Allen Davenport, dove si ironizza sul magistrato ed ecclesiastico locale, che faceva largo uso di infiltrati e di agenti provocatori alle riunioni dei riformisti. I versi vennero deliberatamente associati dall’autore a una melodia molto cara al Principe Reggente (“Gee Up Dobbin”). Anche “The Pride Of Peterloo” sceglie il registro satirico, esaltando le gesta ‘coraggiose’ della milizia. Il CD si conclude con l’inno del movimento cartista (“The Chartist Anthem”), combinato a una nuova melodia scritta da Laura Smyth, e con “Kersal Moor”, ballata pubblicata in occasione di un raduno cartista a Selford, con ciò mettendo l’accento sul fatto che i semi della protesta di Peterloo non andarono dispersi.
“The Road to Peterloo”, cantato e suonato in presa diretta da un affiatato trio di musicisti e interpreti, è un lavoro folk schietto, diretto ed essenziale: questo basta!
Per saperne di più: theroadtopeterloo.com
Ciro De Rosa
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