The Klezmatics – Rhythm+Jews Revisited (Piranha Music, 2025)/The Klezmatics – Woody Guthrie’s Happy Joyous Hanukkah (Shamus Records, 2025)

Al WOMEX 2025, The Klezmatics hanno celebrato l’avvicinarsi del loro quarantennale nel 2026 con uno showcase di musica frizzante, suonata con maestria e con quel mestiere di chi è a suo agio a calcare le scene. Nel corso della loro carriera, iniziata nell’East Village nel 1986, questi “eretici del klezmer” hanno portato superbamente nella contemporaneità il linguaggio della musica ashkenazita dell’Europa orientale. Hanno registrato album che hanno fatto la storia della new klezmer music, partendo dalla frequentazione dei vecchi maestri e attingendo a collezioni d’archivio come quelle dell’YIVO (Yidisher Visnshaftlekher Institut, tra le istituzioni più importanti al mondo per lo studio e la conservazione della storia e della cultura yiddish, ndr). Protagonisti del secondo revival klezmer, hanno inglobato nel loro sound jazz, improvvisazione, rock, e stilemi latini, collaborato con i nomi di punta della scena Downtown newyorkese, da John Zorn a Marc Ribot, con il drammaturgo Tony Kushner, con Allen Ginsberg e la cantante Chava Alberstein. E ancora: Theodore Bikel, Arlo Guthrie e i Master Musicians of Jajouka. Grazie a loro, la cultura musicale di matrice yiddish statunitense ha assunto una nuova fisionomia, distaccandosi dall'immagine tradizionale, spesso troppo schmaltzy (sdolcinata). Hanno lasciato la loro impronta su classici dello ska, sono entrati nelle coreografie di Twyla Tharp ed hanno esplorato connessioni con altre culture, producendo dischi politicamente importanti e musicalmente superlativi. 
Da “Jews with Horns” (1994), che capovolgeva il tropo dell’associazione tra ebrei e diavoli, a “Possessed” (1995), la cui seconda parte contiene una suite scritta per l’opera teatrale di Kushner “A Dybbuk: Between Two Worlds”. Seguono il disco live con il violinista Itzhak Perlman “In the Fiddler's House” (1995), “The Well” (1998) con la già citata Chava Alberstein, e Rise Up! Shteyt Oyf!” (2002). Quest’ultimo, che vede l’ingresso della violinista e cantante Lisa Gutkin, si impone per un mix eclettico di melodie, includendo la suite che Frank London scrisse per
il Pilobolus Dance Theatre e l’adattamento yiddish di “I Ain’t Afraid” di Holly Near. Dopo il live “Brother Moses Smote the Water” (2004), con “Wonder Wheel” (2006) musicano una dozzina di testi inediti di Woody Guthrie e conquistano un Grammy. Segue “Woody Guthrie’s Happy Joyous Hanukkah”, che pesca ancora nel catalogo di Guthrie con sue liriche ebraiche per le quali la band scrive le musiche. Se “Live at Town Hall” (2011) immortala un’altra loro esibizione, “Apikorsim / Heretics” (2016) rappresenta la loro più recente incisione in studio. I Klezmatics sono inoltre il soggetto del documentario “On Holy Ground” (2010). Oggi, i tre membri originali – Lorin Sklamberg (voce solista, fisarmonica, chitarra e pianoforte), Frank London (tromba, tastiere e voce) e Paul Morrissett (basso, tsimbl e voce) – condividono la scena con Matt Darriau (kaval, clarinetto, sassofono e voce), componente di lungo corso della band, Lisa Gutkin (violino e voce) e Richie Barshay (percussioni). Nei mesi scorsi l’etichetta berlinese Piranha Music ha pubblicato per la prima volta in vinile “Rhythm+Jews Revisited”, il loro capolavoro del 1991 (all’epoca uscito solo in Cd), contenente dieci delle quindici tracce originali e alcuni take alternativi. In questi giorni, in corrispondenza con la festa di Hanukkah, è stata lanciata la ristampa in vinile rimasterizzata di “Woody Guthrie’s Happy Joyous Hanukkah” (Shamus Records), trasposizione musicale dei testi di Guthrie rimasti a lungo dimenticati.  Il fulcro delle celebrazioni del quarantennale sarà l’uscita del quattordicesimo album, accompagnato da un tour mondiale, dalla ristampa del catalogo storico e dal debutto di rare registrazioni d’archivio e fotografie degli esordi.  A Tampere, durante il WOMEX, ho incontrato (grazie a Daniel Rosenberg) due colonne della formazione: Frank London e Lorin Sklamberg.

Proviamo a riannodare le fila del contesto in cui sono nati The Klezmatics?
Frank London - Lavoriamo insieme da quarant’anni, ma, prima di allora, venivamo da posti diversi. Io sono di New York e Lorin è californiano: quindi abbiamo la Costa Est e la Costa Ovest. Il cosiddetto revival della musica klezmer e yiddish è avvenuto quasi simultaneamente sulle due coste. Noi siamo giusto un pochino più giovani di quelli che sono stati i pionieri del revival... solo un pochino. Quindi, abbiamo vissuto la differenza: ti darò la versione della Costa Est, lui ti darà quella della Costa Ovest. Ho iniziato a conoscere questa musica quando ero al conservatorio, al New England Conservatory, con un insegnante di nome Hankus Netsky, la cui famiglia – i cui nonni – avevano una banda klezmer a Philadelphia. Abbiamo appreso i repertori e siamo diventati una band chiamata Klezmer Conservatory Band. Possiamo dire di essere stati l’ultima band di questa cosiddetta "prima generazione" del revival. Attraverso quell’esperienza scoprimmo che c'erano quattro o cinque gruppi che avevano appena iniziato: The Klezmorim (di cui Lorin ti dirà di più, perché sono della Costa Ovest), Andy Statman e un altro gruppo chiamato Kapelye. Poi c’era Giora Feidman, clarinettista israeliano-argentino; forse una band in Germania e forse qualcos'altro altrove. Ma era un numero di gruppi che si potevano letteralmente contare sulle dita di una mano. Quando abbiamo formato i Klezmatics, siamo stati inquadrati come la prima band della “seconda generazione”, seguita alla prima ondata.
Lorin Sklamberg - Sono cresciuto in una comunità ebraica di vedute conservatrici (il cosiddetto “Conservative Judaism”, ndr). Questa musica mi girava intorno, ma senza avere alcun contesto per capire cosa fosse. La cosa divertente è che ero in una band al liceo con altri tre compagni della scuola ebraica, nella mia sinagoga ad Alhambra, in California; suonavamo un po’ di quella che oggi chiameremmo musica klezmer, ma scoperta completamente da me e dai miei amici in un vuoto, senza capire come si collegasse ad altro. Ci chiamavamo Rimonim; era intorno alla fine del 1970, ben prima di quello che ora sarebbe considerato l'inizio della rinascita klezmer. Avevamo un paio di libri di questi brani da ballo e avevamo sentito, forse, una manciata di vecchie registrazioni; le suonavamo come parte di un repertorio più ampio di musica popolare israeliana da ballo e musica pop da "Top 40" per matrimoni. Era musica da
ballo folk israeliana: debuttammo al Bat Mitzvah di mia sorella. Non capivo davvero, all’epoca, come tutto ciò si collegasse alla mia eredità culturale o che ci fosse questa sorta di scena che stava per iniziare a svilupparsi. Quello che successe fu che vidi effettivamente i The Klezmorim suonare a Los Angeles — doveva essere alla fine degli anni '70 — quindi li ho visti forse intorno al 1980. Li ho visti al McCabe’s Guitar Shop. E, quando avevo 16 anni, andai in un programma di immersione linguistica ebraica in Israele e sentii suonare Giora Feidman.
Frank London - Wow! Sto imparando cose che non sapevo!
Lorin Sklamberg - Come ho detto, tutte queste cose mi giravano intorno. Ho anche sentito i Kapelye suonare a Los Angeles quando sono venuti in tour. Ma non ho iniziato davvero a unire tutti questi puntini finché non mi sono trasferito a New York e ho iniziato a capire da dove provenivano tutte queste cose che avevo sentito crescendo e che avevo suonato; come si relazionavano a me, alla mia eredità e a questa scena che stava crescendo vorticosamente. Avevo studiato canto, pianoforte, fisarmonica, flauto, chitarra e oud, e avevo servito come cantore all’Hillel House della USC e alla sinagoga gay e lesbica di Los Angeles (Beth Chayim Chadashim, fondata nel 1972 e riconosciuta come la prima sinagoga LGBT+ del mondo, ndr). Divenni parte di un duo gay-folk ebraico-radicale: Pilshaw and Sklamberg. Quindi l’arrivo di Frank e mio a questa musica è molto diverso.

Come è avvenuta la formazione di The Klezmatics?
Frank London - Beh, eravamo entrambi una sorta di immigrati a New York. Anche se io sono cresciuto
fuori New York City, me n’ero andato a Boston per via della scuola. Lui si è trasferito nell’83, io nell’85. E immagino che ognuno di noi avesse questa musica ebraica, klezmer e yiddish, dentro di sé. A quel punto, verso l’85, sapevamo cosa significasse “band klezmer”; prima non sapevamo nemmeno cosa significasse. Ho risposto a un annuncio sul “Village Voice” per unirmi a una band klezmer perché cercavo lavoro: sono un musicista professionista. Ho incontrato Lorin in una banda di ottoni balcanica e l’ho invitato a venire nella nostra band klezmer appena formata. Quindi è nato tutto un po’ per caso. Fui molto colpito dai ritmi funky del klezmer, dalla polifonia, dall’ornamentazione e dal modo particolare in cui esprimeva la sua ebraicità. Il klezmer è l'intersezione tra Oriente e Occidente. Quando i Klezmatics nacquero, Rob Chavez – il musicista che aveva pubblicato l'annuncio originale – se n’era già andato. La prima formazione comprendeva me e Lorin, con David Licht alla batteria, Margot Leverett al clarinetto e David Lindsay al basso. Trovammo un modo per aggirare il legame tra musica yiddish e il kitsch: eravamo parte di una comunità e di una generazione che ha riportato la cultura musicale yiddish nel discorso culturale contemporaneo.
Lorin Sklamberg - Agli inizi prendevamo in prestito arrangiamenti ed elementi stilistici da registrazioni d’epoca. Così come esisteva nell’Europa orientale, la cultura yiddish non potrà mai essere rianimata; ma libri, archivi e registrazioni ci hanno permesso di riprendere il filo e far parte della nostra tradizione, anche se si è evoluta in qualcosa di nuovo. Il primo album, “Shvaygn = Toyt” (Silenzio = Morte), era una dichiarazione letterale sulla lingua yiddish: se nessuno la parla o la canta, la lingua sarà morta.

Nel corso degli anni sono state molte le collaborazioni e le combinazioni con altri repertori: in che
modo il vostro repertorio si è arricchito ed è cambiato negli anni?
Lorin Sklamberg - Il klezmer ha molto in comune con la musica di altre culture, tanto da poter essere facilmente adattato per soddisfare le sensibilità artistiche di un mondo contemporaneo. Il motore del ritmo della musica da ballo è la tensione tra un impulso diretto e costante e un impulso sincopato: è ciò che ha permesso al repertorio klezmer di includere sia melodie modali ebraiche tradizionali, sia melodie provenienti dalle tradizioni non ebraiche dell’Europa orientale circostante. Però, molte di queste collaborazioni sono piovute dal cielo; molte opportunità di lavorare su questi vari progetti sono cose che, in qualche modo, sono venute da noi. Nel caso di Chava Alberstein, è stato un caso che ha portato a qualcosa di profondo. A quel punto eravamo affermati e c’era questo festival culturale ebraico a Berlino: il loro tema, quell’anno, era Israele. Ci chiesero – senza pensare ai costi o alla fama – con quale artista israeliano avremmo voluto lavorare. Demmo un nome, che era Yehuda Poliker, e fu organizzato. Poi, all’ultimo minuto, cancellarono. Lui e il suo partner avevano fatto un progetto sulle loro famiglie (una delle loro famiglie era di origine greca): pensammo sarebbe stato interessante lavorare con loro per via della connessione greca e del tema della Seconda Guerra Mondiale, ma lui si ritirò dal progetto. La successiva nella lista – numero due o tre – era Chava Alberstein, una delle poche persone in Israele che aveva costantemente fatto materiale in yiddish. Abbiamo fatto un concerto insieme e lei, a sua volta, aveva realizzato un documentario sui poeti yiddish in Israele; venne da noi con queste poesie che aveva musicato. È così che abbiamo finito per lavorare con lei all'album “The Well”. È stata pura fortuna.

E con il repertorio di Woody Guthrie?
Frank London - Di nuovo, fortuna. Stavamo suonando un concerto al Tanglewood Music Festival, in Massachusetts, con Itzhak Perlman. Una donna è venuta nel backstage dopo il concerto per salutare; Lorin, che ha una conoscenza molto ampia, ha riconosciuto che era la figlia di Woody Guthrie: Nora. Avevamo suonato una canzone con Itzhak scritta da sua suocera, Aliza Greenblatt. Quindi abbiamo presentato Nora Guthrie a Itzhak Perlman dicendo: “Oh, Itzhak, questa è la nipote di Aliza Greenblatt”. A lei piacque molto, perché per tutta la vita era stata o la figlia di Woody Guthrie o la sorella di Arlo Guthrie; mai era stata presentata come la nipote di sua nonna. Ci disse che stavano iniziando questo progetto di guardare i vecchi testi di Woody Guthrie e trovare persone per musicarli. C'era del materiale ebraico: volevamo farlo? Siamo stati fortunati. Ma volevo rispondere alla tua domanda anche in modo leggermente diverso. Io vengo da un background di improvvisazione e jazz, con una laurea in musica afroamericana. Quando ho iniziato a suonare musica yiddish – specialmente con The Klezmatics – sono stato visto come qualcuno per cui questa era la “mia” musica: il che era frustrante, ma anche positivo. Mi dava un’etichetta. Ma il vantaggio, che si dimostra vero fino ad oggi, è che noi, come band, possiamo andare ovunque. Essendo visti come rappresentanti o incarnazioni di questa cultura ebraica dell’Europa orientale, possiamo incontrare chiunque. Quando incontro Boban Marković, per esempio, o chiunque altro qui al WOMEX, io sono Frank London, ma sono anche un rappresentante della musica ebraica dell'Europa orientale; e lui è Boban Marković, ma è anche l’icona della musica rom serba-macedone. Ci dà un punto di partenza. Possiamo incontrare chiunque parlando come persone che portano avanti una tradizione, ma sono aperte all'incontro. Avere questa dualità ci ha permesso di viaggiare
ovunque: “Sì, siamo i Klezmatics. Sì, siamo i rappresentanti della moderna musica yiddish. E tu sei chiunque tu sia e rappresenti la tua cultura”. E poi iniziamo a conoscerci come individui. Nel nostro nuovo disco lavoriamo con almeno cinque collaboratori diversi: Janis Siegel rappresenta il jazz contemporaneo; William Parker e James Brandon Lewis sono due dei più grandi nomi nel mondo del jazz d’avanguardia. Ma vengono con la loro specificità, noi con la nostra, e siamo tutti aperti.

“Rhythm+ Jews”, che avete ristampato su vinile, ha messo la vostra band sulla mappa delle band iconiche e lanciato il klezmer nella scena globale. Potete ricordare la genesi dell’album?
Lorin Sklamberg - È il nostro secondo disco. Eravamo andati in Germania su invito di Ben Mandelson per il primo festival “Heimatklänge”, a Berlino. Il capo dell'etichetta Piranha ci disse: "Vorrei che tornaste a casa e pensaste a mettere la vostra voce su questa musica. Siete newyorkesi, vivete a New York, è il 1989/1990... andate a casa, iniziate ad ascoltarvi e facciamo un altro disco". Abbiamo preso sul serio il suo consiglio: il risultato è stato “Rhythm + Jews”. Il materiale in sé non era sensibilmente diverso dal primo disco, ma erano diversi il nostro approccio e il pensiero dietro. Inoltre, con l’avvento dei CD, avevamo una tela molto più lunga su cui lavorare rispetto agli LP. È diventato un po’ un modello per noi su come cercare materiale e come continuare a svilupparci come band.

Perché avete deciso di ristampare l’album?
Lorin Sklamberg - Era una buona scusa. Per qualche ragione, quel disco era diventato indisponibile da un bel po’. Volevamo — come parte della celebrazione del nostro 40° anniversario — che la gente potesse ascoltarlo. Eravamo sempre stati un po’ insoddisfatti di come suonava; quindi, ho chiesto all’etichetta
Piranha se avessero i mix pre-masterizzati. Li avevano. Abbiamo riassemblato l’album e lo abbiamo rimasterizzato, eliminando alcune anomalie; ora quello che sentite è molto più vicino a ciò che c'era in origine, molto più immediato.
Frank London - Voglio raccontarti due aneddoti. Uno degli ospiti su “Rhythm + Jews” è un percussionista nubiano di nome Mahmoud Fadl. Come è successo? Non l'abbiamo pianificato: era un amico della Piranha Music a Berlino. Ci dissero: “Lui è fantastico”, e abbiamo imparato tantissimo. Mahmoud non è solo un percussionista arabo: è nubiano, un popolo nordafricano più scuro che vive in Egitto ed è stato oppresso dalla storia egiziana e dalla costruzione della diga di Assuan. Abbiamo imparato tutta questa storia, totalmente non pianificata. Credo sia uno dei nostri punti di forza: prendere cose non pianificate e farne qualcosa di importante. L’altra storia riguarda come siamo finiti qui: “Rhythm + Jews” è stato prodotto da Colin Bass, bassista della band 3 Mustaphas 3. Prima dei Klezmatics c'era un movimento, totalmente “fuori moda” oggi: l'idea di suonare le musiche del mondo. Imparavi una canzone italiana, una balcanica, una africana. Io avevo trovato un LP dei 3 Mustaphas 3; una delle tracce era un brano klezmer. La misi sul giradischi ed era la registrazione più psichedelica, “trippy” e incasinata che avessi mai sentito. Si scoprì che avevano fatto un trucco: a metà del disco dovevi cambiare la velocità del giradischi da 33 a 45 giri! Ma io non lo sapevo, quindi la ascoltavo un'ottava sotto. Quando ho capito che dovevo cambiare velocità, suonava molto normale e meno interessante. Ho contattato Ben Mandelson [dei 3 Mustaphas 3] prima di Internet, forse via lettera, e siamo diventati amici. Grazie a quell’incontro siamo stati invitati all’Heimatklänge e Colin ha prodotto il nostro disco. Tutto si collega. È stata una registrazione spartiacque per la sperimentazione: poliritmie, improvvisazione, influenze jazz, arabe, rock. Tutte le voci della nostra identità musicale furono gettate nel frullatore. Questo album fu il primo a definire la nostra identità
musicale e a distinguerci dagli altri gruppi.

Chi sono i Klezmatics nel 2025 e cosa succede nel nuovo album che uscirà?
Lorin Sklamberg - Siamo più vecchi (ride, ndr). E stiamo facendo un nuovo album che è, a suo modo, più complicato e con una visione più ampia. Inizialmente il titolo di lavorazione era “New York Sessions”: l’idea era quella di collaborare con persone della nostra città natale, New York, e di avere materiale che rispecchiasse ciò che la band ha sempre fatto. Dobbiamo scegliere canzoni che parlino davvero al momento presente. La canzone che dà il titolo al nuovo disco, “We Were Made for These Times” (Siamo fatti per questi tempi), è una canzone che viene da una donna della Poor People’s Coalition: è un brano di speranza sul momento in cui ci troviamo. Non ho mai fatto nulla con un coro gospel, o con una tale varietà di persone e con uno scopo di canzoni di cambiamento sociale. Facciamo una canzone di Holly Near con il Lavender Light Gospel Choir, un coro queer LGBTQ+ nato più o meno nello stesso periodo dei Klezmatics. Cantano con noi in due brani insieme al nostro amico Joshua Nelson, che collabora con noi dai tempi del progetto “Brother Moses Smote the Water”. Poi c’è Sofia Rei, una cantante argentina che vive a New York e che si è già esibita con noi in passato. E ancora, abbiamo la grande Janis Siegel dei Manhattan Transfer. C’è Enver İzmaylov – chitarrista jazz crimeo-tataro - che si trovava in città la scorsa estate e siamo riusciti a coinvolgerlo per contribuire a diverse tracce.

Quando uscirà il nuovo album?
Frank London - Marzo 2026. Il piano provvisorio è iniziare a pubblicare singoli brani da gennaio, e poi l’intero lavoro tra marzo e maggio. Riguardo alla formazione, gli altri membri della band sono: Paul Morrissett, con noi essenzialmente dall’inizio; Matt Darriau, che suona con noi dal 1988 ma si è unito
ufficialmente verso il 1992; Lisa Gutkin, che suona con la band da quasi trent’anni; e il nostro membro più giovane, Richie Barshay, che è nella band solo da circa 15 anni.

Avete menzionato la situazione oscura di questi tempi; non posso esimermi dal chiedervi come vedete quanto sta accadendo in Medio Oriente…
Frank London - Forse possiamo iniziare in modo ottimista e poi scendere nel fango. Anni fa comprai un libro di Hanns Eisler, il compositore originale per Bertolt Brecht: scriveva che è obbligo dei musicisti essere in prima linea in ogni movimento di protesta. E la canzone “We Were Made for These Times” è pensata come un inno da cantare in prima linea per incoraggiare chi resiste all’ascesa del fascismo — e non uso questa parola alla leggera. Vediamo il nostro paese, gli USA, girare verso un mondo di fascismo. Abbiamo un presidente folle. Anche il leader italiano non è la persona più equilibrata: queste sono persone piene di odio. Quindi riconosciamo che questi sono tempi bui e dobbiamo far risplendere la nostra luce, non cadere nella disperazione. Riguardo al Medio Oriente... vorrei sfidarti: chiedi a ogni band del Medio Oriente o solo agli ebrei e agli arabi? Perché ce lo chiedi? Perché siamo ebrei.

Perché siete artisti progressisti, animati da sempre da una forte motivazione politica…
Frank London - Questo è il grande dilemma. Sono un ebreo americano; l’ebraismo è la mia 
religione e la mia cultura è aschenazita, yiddish. Non ho alcuna connessione con Israele come posto speciale. Posso vederlo in un contesto storico: le origini del Sionismo come sforzo del popolo ebraico per una patria, proprio come i palestinesi lottano per una patria. La linea tra criticare il governo israeliano e criticare gli ebrei è diventata sfocata. Se chiedi ai booking agent, dicono che è difficile collocare la “musica ebraica” ora. E io dico: che diavolo c’entra la nostra musica con quello? È come dire che non
prenotiamo una band musulmana dalla Siria perché in Iran uccidono le donne che mostrano i capelli non indossando il velo. Ciò che sta accadendo è complicato. E chi dice “non è complicato” è pazzo. Come Klezmatics ci siamo chiesti come rispondere. Abbiamo creato un set di canzoni che affrontano la questione in modo universale ma particolare. Io ho scritto un pezzo strumentale chiamato “Elegy for the Innocents” (Elegia per gli innocenti) perché sono inorridito: sono tutte atrocità contro i bambini, non posso provare più simpatia per gli uni o per gli altri. Lorin ha trovato una canzone – una traduzione yiddish di una vecchia canzone russa che ha ispirato “Where Have All the Flowers Gone” – che dice che la guerra genera solo altra guerra. Siamo disgustati dall'ingiustizia. Gli orrori di ciò che Hamas ha fatto agli ostaggi sono disumani; gli orrori di ciò che il governo israeliano ha fatto ai palestinesi ingiustamente imprigionati sono orribili. Sono orrori allo stesso livello. I nostri alleati sono gruppi come We Stand Together o Combatants for Peace, che uniscono palestinesi e israeliani per dire: "Dobbiamo trovare una fine a questo orrore lavorando insieme". Non gli estremisti, che pensano che l'unica soluzione sia un gioco a somma zero: spazzare via gli altri.
Lorin Sklamberg - Penso che stiamo affrontando la situazione in un modo che ha senso per noi come band. Dobbiamo trovare un punto d’incontro nel mezzo. Io combatto con queste cose perché sono cresciuto in una comunità post-Seconda Guerra Mondiale, dove la cultura israeliana era presentata come il sostituto di ogni altra cultura ebraica. E ora devo pensare a come mi relaziono con tutto ciò. Anche se non mi identifico come israeliano, tutto questo è stato importante per il mio sviluppo. Mi piace il fatto che abbiamo trovato un modo di affrontare la cosa e cercare davvero di unire le persone.


Ciro De Rosa


Foto di James Hamilton (1, 2), Peter Bothén & Ilya Sokolov (8, 9, 10 e 11)

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