Di nessun altro cantautore in Italia sono state pubblicate dai posteri, tante interpretazioni di dischi integrali così com’erano stati da lui concepiti molti anni prima. “Vola il tempo lo sai che vola e va, forse non ce ne accorgiamo” ma il tempo sembra farlo invano sul percorso musicale di Fabrizio De André, grazie soprattutto a queste incisioni ufficiali di interi dischi più che per le esageratamente numerose singole canzoni, inserite continuamente qua e là. Opere che continuano a risuonare con forza anche a distanza di decenni dalla loro pubblicazione, ricordandoci l’importanza della capacità di perdono e individuando nella misericordia verso sé stessi e gli altri, una delle qualità più elevate dell’essere umano. Prosegue così attraverso altre voci l’idea e pare riprendere respiro l’evidenza di grandezza, di una figura che pure vedemmo “di spalle che partiva”. Oggi possiamo storicizzare questi dischi, girando con le dita le pagine dell’enciclopedia del tempo, osservarli con gli occhi dello scorrere delle età e degli eventi che a Fabrizio sono succeduti. Lui, come tutti, viveva il proprio presente, non pensava certo di stare componendo capolavori che sarebbero rimasti vivi talmente a lungo, era un cantautore e raccoglieva come in un diario, idee, esperienze, letture, vicende umane. Affascinarono non pochi in Italia quelle molteplicità di espressioni che sembravano prendere forma visiva nella sua voce, le parole oniriche che parevano farsi realtà. Al di là delle varie specificità storiche o dei differenti contesti letterari, quasi sempre si trattava di situazioni universali che stimolano riflessioni sull’esistenza e i vari meccanismi che governano le convivenze sulla Terra. Prego però, non dimenticare gli apporti testuali imprescindibili che fornirono Roberto Dané (1937 - 2003) e Giuseppe Bentivoglio (1943 – 2023), così come le geniali pieghe musicali del Maestro Nicola Piovani. Anche grazie a loro queste opere di De André hanno trasceso tempo e spazio.
La Buona Novella (1970)
- Claudio Bisio - Lina Sastri (DVD 2002)
- Mimmo De’ Tullio (con Le Nuvole Ensemble) (2004)
- Picciniballet (2004)
- Giorgio Cordini (Piccola Orchestra Apocrifa) (2006)
- Premiata Forneria Marconi (2010)
- Marco Laccone (2016)
- Coro Polifonico Malatestiano (2017)
- Cecilia Pitino - Alessandra Ristuccia - Laura Mollica - Giulia Mei (2021)
- Flexus (2023)
- Francesco Giunta – A na vistina di casa nu ciuriddu cuseru. La Buona Novella di Fabrizio De André in siciliano (2021)
- Perturbazione (con Nada e Alessandro Raina) (2024)
Non Al Denaro Non All'Amore Né Al Cielo (1971)
- Morgan (2005)
Storia Di Un Impiegato (1973)
- Alessandro Benvenuti & La Banda Improvvisa (2007)
- Fab Ensemble (2008)
- Mille Anni Ancora (2008)
- Lou Tapage (2010)
- Vari (Fab Ensemble, Renato Franchi & Orchestrina del Suonatore Jones, Alessio Lega...) (2013)
- Mandala (2014)
- Cristiano De André (DVD 2021/CD 2023)
- Mauro Pagani (2004)
- Artisti Vari (Teresa De Sio, Enzo Gragnaniello, Nando Citarella, NCCP…) – 'Na strada 'miezz'o mare (2023)
- Renato Ornaghi (2024)
La “palma d’oro” va assegnata a “La Buona Novella” (1970), a cui segue “Storia Di Un Impiegato” (1973) ma se per la prima, i personaggi e gli argomenti trattati risultano temi eterni dell’uomo, nel caso della seconda riguardano situazioni circoscritte a un preciso periodo storico. E questo mi pare un gran pregio, in quanto è risaputo che saper reggere la prova del tempo da parte di un’opera artistica, rappresenta già di per sé un valore assoluto. Con la prima Fabrizio abbatte un muro in un momento storico di reale scontro sociale, col secondo alza il livello concettuale di quell’urto. “Evangelo” era una parola precedentemente nota anche nel mondo pagano, spesso utilizzata per indicare l’arrivo di una “buona notizia” legata a un evento o un atto imperiale che portava benefici materiali al popolo. La “buona notizia” si lega nella fede della dottrina cristiana, alla nascita di Gesù, figura inedita che unisce umano e divino, storia e eterno, spazio circoscritto e infinito; a Nazareth nasce l’orizzonte trascendente che lega l’uomo storico al Figlio di Dio, la morte fisica all’idea di una resurrezione. La Bibbia letteraria si formerà nel corso di secoli grazie alle parole di vari autori, nella sua apocrifa (da quello di Nicodemo fino all’Armeno dell’infanzia) riscrittura per “La Buona Novella”, De André, toglie la figura di Gesù dall’apologista descrizione comune e, seppur partendo da testimonianze databili tra il I e il IV secolo, tratteggia nella Sua figura, una umanità e analogia con le aspirazioni socio-rivendicative del movimento contestatario del ‘68 a Fabrizio contemporaneo. Tra fede e anarchia sottolinea metafore e allegorie a disegnare una comune “rivoluzione ideologica”, presentandola senza forzare le attualizzazioni e lasciandola piuttosto di volta in volta, a suggestioni, fantasie, visioni o simbolismi. E nel clima di esigenze di cambiamento di piazze studentesche e operaie, di corruzioni politiche estese e di separazioni nette tra classi sociali, le ideologie parevano seguire sistemi che finivano per somigliare a quelli delle fedi religiose. In maniera ancor più estrema che nei Vangeli ufficiali, niente viene narrato della misteriosa vita del Nazareno: il lato A del disco descrive l’origine soprannaturale che stabilisce l’inizio della divinità mentre il lato B riporta la sua morte terrena come base di salvezza. Non c’è vita nel centro, occultata nell’odio dell’unica frase “trent'anni hanno atteso col fegato in mano, i rantoli d'un ciarlatano”. Fabrizio arriva a individuare nell’intima preghiera di Maria, un valore politico e sociale, rovesciando le logiche e innalzando umili e anime fragili verso una nuova storia di giustizia, liberazione e riscatto. Nel corale finale l’inno di lode in gloria all’Uomo prende il posto di quello canonico per Dio (Salmo 116 in numerazione greca, 117 in numerazione ebraica) al ritornello di “Non voglio pensarti figlio di Dio ma figlio dell’uomo, fratello anche mio”. Seppur mascherato da sogno, a Maria come a Marinella in precedenza, il destino ha concesso un’unica volta di conoscere l’amore fisico: “...l’angelo scese come ogni sera ad insegnarmi una nuova preghiera, poi d'improvviso mi sciolse le mani e le mie braccia divennero ali...volammo davvero sopra le case, oltre i cancelli, gli orti, le strade...e lui parlò come quando si prega...l'eco lontana di brevi parole ripeteva d'un angelo la strana preghiera dove forse era sogno, ma sonno non era..” E se il potere religioso priverà la Madre di Gesù prima della sua infanzia e poi anche della maternità, il “buon ladrone” Tito è uomo che paga con la vita le proprie azioni ma anche la franchezza e la libertà di pensiero. De André come ultimo atto gli fa riscrivere i dieci comandamenti sì da farli somigliare ad un programma di classe sociale d’appartenenza. Attraverso le parole di religiosità di quel nuovo decalogo prende vita in questo modo, una mistica riflessione introspettiva, esistenziale, anti-autoritaria e anti-ipocrita che alterna frammenti di speranza ad altri di dolore, uno specchio per anime in cerca di redenzione e pace. La frase “...legati agli altari, sgozzati come animali…” riferisce alla crudele ritualità biblica già citata in canzone da Bob Dylan all’inizio di “Highway 61 Revisited” (1965) e in seguito legata al sacrificio bellico delle giovani generazioni da parte delle precedenti, nella più introspettiva “Story of Isaac” di Leonard Cohen, pubblicata solamente l’anno prima della “Buona Novella”. Si potrebbe anche considerare Tito come il primo santo nominato da Gesù che, nel promettergli salvezza eterna per aver provato in punto di morte e per la prima volta, un compassionevole amore “nella pietà che non cede al rancore”, ribadisce come non possa esistere l’idea di un dio del potere che si contrappone all’uomo. Come incisivamente cantava in un tributo l’amico Mimmo de’ Tullio “...poca cosa è la storia di un uomo che ha cercato nell’uomo quel dio che non c’è, grande cosa è d’averlo trovato inchiodato ad un legno, implorante pietà…” Fabrizio compose, doppiamente coraggioso (fuori dall’“autunno caldo” e dai moti di piazza ma a distanza siderale anche da “Fin Che La Barca Va” hit dello stesso 1970), canzoni come preghiere, pagine di un diario di viaggio interiore nel quale sceglie con estrema cura ogni parola e suono. Nel “Ritorno di Giuseppe” un’inquietante atmosfera ipnotica-orientaleggiante di (finto) sitar risuona a livello emotivo e spirituale, accompagnando il cammino solitario e pericoloso del vecchio falegname “...ai tuoi occhi il deserto, una distesa di segatura, minuscoli frammenti della fatica della natura, gli uomini della sabbia hanno profili da assassini, rinchiusi nei silenzi d'una prigione senza confini…” Però, da buon perfezionista e attento osservatore dei mutamenti sociali, De André si rese benissimo conto che invece la “Storia Di Un Impiegato” veniva in fretta superata da una realtà in rapido movimento. Già all’uscita il disco fu criticato da tutte le parti, gli ascoltatori erano culturalmente e poeticamente troppo impreparati. Ciò contribuirà a renderlo insoddisfatto di quella sua visionaria creatura, sarebbe bello poterlo smentire mostrandogli, seppur nella pigrizia mentale e nella triste assuefazione passiva e globalizzata dell’oggi, quanto sia ancora amata e interpretata quest’opera. Ma questo purtroppo non è possibile. La presunta presa di coscienza soggettiva di “ora aspettami fuori dal sogno” e collettiva nel passaggio finale dall’“io” al “noi” che chiude “Nella Mia Ora Di Libertà”, chiariscono come il livello di scontro sociale fosse giunto a un punto di non ritorno. Rappresentano anche sinteticamente alla perfezione, la coesistenza stilistica tra l’anarchismo di Fabrizio e il marxismo di Giuseppe Bentivoglio (co-autore dei testi), afferrando in canzone un sentimento popolare diffuso di drammatica tensione e crisi d’ identità collettiva. Le ribellioni generazionali, le rivendicazioni, gli scioperi oceanici, gli scontri frontali non erano funghetti isolati spuntati al sole di un prato dopo una notte di pioggia, ma frutti maturi di processi cominciati negli anni precedenti e non certamente solo in Italia. Una generazione ingenua aveva scoperto improvvisamente la violenza dello Stato. Il suo “gioco sporco” e auto-rigenerativo per arginare le nuove istanze, magistralmente descritto da “La Canzone Del Padre” era la reazione del potere che non intende cedere un’unghia della propria egemonia, da quando si era iniziato a rimettere in gioco quasi da zero, i rapporti all'interno della comunità. Il sogno infranto con l’atroce e criminale cinismo delle bombe è tutto leggibile nel lacerante svolgersi di queste canzoni poeticamente altrettanto “esplosive”. Nonostante legami religiosi profondi e spirito di pace unissero gli italiani, imperversava la sommossa contro il sistema; tra femminismo, antimilitarismo, obiezioni di coscienza, volontariato già molti comprendevano bene che “non ci sono poteri buoni” ma stavano intuendo pure come la massa presente nella società fosse formata da tanti grotteschi “impiegati”. Vorrei anche “spezzare una lancia” in favore della metaforica poetica contenuta in questo disco, nonostante la tematica sociale possa apparire poco stimolante (non tutti sono Nâzım Hikmet, capace di trovare fonte di versificazione perfino da una centrale atomica). Fabrizio avvolge quella del protagonista, rappresentante del comune conformismo borghese e rotellina qualunque di un sistema perfettamente oleato e funzionante, tra paesaggi interiori e scene sociali. La crisi psico-introspettiva che lo attraversa, devasta un’alienazione consolidata, iniziano a mostrare il vero volto i vari ingredienti che compongono la sua ricetta di certezze d’integrazione e modalità comportamentali quotidiane. Nonostante la paura, in un delirio di onnipotenza, i vecchi miti saltano per aria uno alla volta e l’ossessione di comprensione di un “reale senso delle cose” lo divora. Arriverà a odiare il qualunquismo, poi i propri genitori e infine se stesso. L’impiegato ribelle ed esaltato “giustiziere” viene facilmente riciclato e utilizzato da un cinico potere che muta solamente pelle, lui diventa un altro tipo di rotellina ed entra a far parte di un’altra parte dell’ingranaggio. A questa canzone di Fabrizio, un aggiornamento implacabile e lucidamente disincantato di quegli anni, sapranno scriverlo Gaber e Luporini solamente tre anni dopo, con “I Reduci” sintetizzato nel triste ritornello “come se tenesse conto del coraggio, la storia”. Poi nel 1980 sarà la volta della pietra tombale di “Io Se Fossi Dio”. La nostalgia per la figura di De André svanita in un luogo e futuro impalpabili e imprecisati, unita al contemporaneo scadimento qualitativo generale della poesia nella canzone autorale italiana degli ultimi decenni, sono stati fattori che hanno favorito questo tipo di operazioni cultural-commerciali. Ma è altrettanto innegabile la partecipazione dimostrata dai numerosi artisti, nella ri-attualizzazione di questi concept-album, del loro messaggio di pace, compassione e fede nell’uomo, temi a Fabrizio così cari. E se, coerentemente col personaggio, vogliamo allargare la visione, intendendo questi progetti come manifestazioni generalizzate dell’eterno gioco del potere, beh, allora risulta ancora più straordinaria, l’opera iniziata in America dallo scrittore Edgar Lee Masters nel 1915 e terminata in Italia col disco “Non Al Denaro Non All'Amore Né Al Cielo” (1971). Passando attraverso le traduzioni di Cesare Pavese e Fernanda Pivano nel periodo 1936-43. Così come tra le dune de “La Buona Novella” la gente vagava, spariva o ritornava come sabbia nel gioco delicato di una grande e invisibile mano, nelle canzoni di “Crêuza De Mä” si narra di luoghi e gente di mare. E così come là vigeva il rovesciamento della parola divina e il nome di Dio era (ieri come oggi) pretesto per soprusi umani, qui i marinai vengono “da un posto dove la luna si mostra nuda, la notte ci ha puntato il coltello alla gola e a montare l’asino c’è rimasto Dio”. Quasi sempre un asino compare nei racconti biblici che narrano di Gesù, già prima della sua nascita nel “Viaggio Di Giuseppe” attraverso il deserto, poi in quello di Maria per il censimento, nella grotta della Nascita, nella fuga in Egitto…Antonio Machado sosteneva che sia destino dell’uomo “passare facendo sentieri, sentieri sul mare...viandante, sono le tue orme il sentiero e niente più, viandante, non esiste il sentiero, il sentiero si fa camminando e girando indietro lo sguardo si vede il sentiero che mai più si tornerà a calpestare, viandante non esiste il sentiero ma solamente scie nel mare”. Nella luce dell’onda di “Crêuza De Mä” finiscono a picco stradine di vento, si perdono anche cibi e vite che accumulandosi sui fondali, raccontano di cieli scolpiti attraverso melodie eccitate dalla forza e dall'intelletto delle acque. “Anche sulla terraferma il moto del mare non smette, è ancora alta marea, un filo d’aquilone che si fa nodo da pesca, getti l’amo e tiri su una famiglia di solitudine...chiami a censimento i tuoi trentasei chili di peso...è un contegno di silenzi questa vita, silenzi che vorticano intorno ai sequestri delle parole, al sequestro degli affetti e ai suoi sciacalli vestiti per la festa” (FDA). Il disco, antecedente di poco all’arrivo della moda world-music (precede sia “Graceland” di Paul Simon che l’etichetta discografica “Real World” di Peter Gabriel), è affresco poetico-musicale di vicende legate al meticciato trasversale mediterraneo nel quale trovano posto figure e storie, a turno, fascinose, derise, martirizzate, sensuali o marginali. Lo fanno attraverso una lingua letteraria e un linguaggio musicale emersi, come in un atemporale e umanista sogno salgariano, da un desiderio sincretico di identificazione e riconoscimento. Nonostante non ci siano interscambi culturali tra i musicisti coinvolti (che sono tutti nazionali) testi e suoni rappresentano una sintesi secolare di voci e strumenti transitati e sedimentati nel vasto Mare Mediterraneo. In un blues dove tra equilibri, rimandi, ricette, trucchi, amarezze, nostalgie, fantasmi, drammi, intimità e turpiloqui, la lingua genovese significa arabo, turco, persiano...sembra utopia ma i popoli che si affacciano su queste acque sono stati anche capaci di convivenze pacifiche e collaborative, in passato le religioni si sono rivelate vie di fratellanze anziché muri di separazioni. D’altronde in origine per Islam e Ebraismo, l’ospite è sacro, nella Bibbia lo straniero viene creduto manifestazione di presenza divina, in ciascun porto mediterraneo ad ogni alba, si ode immancabilmente levarsi una preghiera in lontananza. In Sicilia i versi dei poeti arabi risuonano ancora oggi dopo oltre mille anni, nessuna invasione o conflitto è mai riuscito a cancellarli dalla memoria di genti e luoghi. E anche solamente come spazio geografico, nel Mediterraneo ha avuto origine il pensiero filosofico nella sua forma greca, è stato, nel tempo, teatro di elaborazione intellettuale, discussione e finezza di pensiero. Le musiche stesse sono perennemente lì a testimoniarlo tra memoria e creatività, unità e pluralità, uomo e creato, tenebre e solarità. Tanta gente, nonostante governanti e potenti guerrafondai, auspica ben altro rispetto a quello a cui assistiamo attualmente. Non secoli ma solamente qualche decennio fa, non un rivoluzionario ma addirittura un legislatore dell’ex Democrazia Cristiana come Giorgio La Pira (1904 - 1977), cattolico fervente e docente di diritto romano, sosteneva che proprio il Mediterraneo “ci ricorda come non ci sia identità senza l’altro”. In “Crêuza De Mä” si mescolano ironia e pietà, disarmante incapacità a comprendere e sublimazioni, stupidità e santità, sciocchezza e poesia. Tra carne e spirito le figure dei protagonisti paiono deformarsi o delirare in momenti incandescenti nei quali realtà e surrealtà si confondono in scorci, immagini fugaci, incorniciature tenere o minacciose. Questo luogo che ora pone una serie di questioni drammatiche, fu sorgente inesauribile di luce, focolare di conoscenza, grazia e calore, crocevia in cui per millenni tutto confluiva, arricchendo la storia dell’uomo. Insensati scontri ideologici e di interessi hanno oramai minato ogni tipo di convivenza e scuotono un’umanità devastata da indicibili violenze e sopraffazioni. “Stultitia est fecunda mater”, è evidente come le esplosioni belliche non distruggano unicamente vite biologiche ma l’umano senso comune. Questo nostro Mare non tornerà ad essere un quadrante cruciale per dinamiche di globalità e tolleranza, gli orientamenti attuali degli assi del mondo sono fin troppo chiari, nonostante il Mediterraneo sia sempre stato plurale per vicende storiche, collocazione geopolitica, profilo culturale, tessuto religioso. Umberto Eco sosteneva che “ci vuole sempre qualcuno da odiare per sentirsi giustificati nella propria miseria”.
Flavio Poltronieri
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