Marjan Vahdat – The Eagle Of My Heart (Kirkelig Kulturverksted, 2024)

"La mia voce è un dono che ho ereditato. Ogni volta che canto, sento una connessione immediata con le voci che mi hanno influenzato nel corso della mia vita. Queste voci mi ricordano costantemente di perseguire le loro speranze e i loro sogni. Quando canto a cappella, non ho mai la sensazione di cantare da sola" dice Marjan Vahdat a proposito del suo ultimo, bellissmo album, cantato interamente a cappella, come già aveva fatto otto anni fa sua sorella Mahsa nell’album “The Sun Will Rise - A Cappella”. Insieme, hanno appena proposto una playlist che celebra il solstizio d’estate, includendo cinque brani da “The Eagle Of My Heart”. Coerentemente con il sentimento di connessione generato dal canto, Marjan Vahdat ha inserito nel nuovo album anche alcuni frammenti delle voci del padre, della nonna e di un cugino del padre. Entrando nel merito dei tredici brani registrati per “The Eagle Of My Heart, sottolinea che: "Cantare mi dà una libertà che supera anche l'autocensura. Quando canto a cappella, posso esprimere i miei sentimenti più o meno senza filtri. La mia voce è completamente nuda e, mentre canto, posso percepire tutti i dettagli e giocare con elementi che non noto altrettanto bene quando canto accompagnata da altri strumenti. Quando canto, dentro di me prendono vita voci che risuonano dalla mia essenza: scendono e si posano sulle mie spalle come aquile maestose, accompagnando la mia voce e portando le mie melodie in armonia". Il nuovo album esce a due anni di distanza da “Our Garden is Alone”, quarto album solista per l’etichetta norvegese Kirkelig Kulturverksted, prodotto da Erik Hillestad e sostenuto da due organismi della California, lo stato in cui Marjan Vahdat risiede da alcuni anni, l’Alliance for California Traditional Arts e California Art Council. Fra i tredici brani dell’album c’è spazio per due brani tradizionali, come “Till the Judgment Day”. Le altre undici tracce sono un’opportunità per la cantante per mettere in musica alcuni dei versi persiani a lei più cari e per scrivere sia testi che musiche, come nel caso delle intense “Come my beloved” e del brano che da il titolo all’album. In entrambe queste canzoni fa un uso parsimonioso e molto efficace della sua voce sovraincisa: in “Come my beloved”, a tratti, la sovrappone alla propria producendo un effetto corale, mentre in “The Eagle Of My Heart” attiva la parte sovraincisa in ritardo e in lontananza rispetto alla voce principale, ottenendo un suggestivo effetto di canone e di eco in profondità. Non manca il confronto con i sommi poeti: di Rumi vengono messi in musica i versi di “In the Garden of the Soul” (“Canta come canta l’uccello, senza curati di chi ascolta e di cosa pensino”); a “O Kind of Goodness” di Hafez viene riservato un percorso che collega voci familiari, all’inizio e alla fine del brano, con un melodico recitativo che prelude ad un’intima melodia. Il breve gioiello “Bird of Fire” da forma al canto di Siavash Kasrai, mentre “A Girl from Lorestan” è un omaggio al poeta Reza Saghaee, scomparso nel 2010: sono versi brevi, ma densi, capaci di narrare il destino di molte donne iraniane colpite dalla violenza della guerra e della repressione. Con la voce, plurale, delle donne si aprono “Beyond Places”, brano dedicato a versi del poeta e pittore Sohrab Sepehri in cui brilla l’uso delle pause e il sapiente dosaggio di riverbero ed eco, e “My saviour”, della poetessa femminista Tahereh Mafi, emigrata anche lei in California. Con Ruth Wilhelmine Meyer Vahdat ha scritto “Lullaby for Taher”, riprendendo le parole, in curdo, della madre di Taher Aziz. Si chiude con il brano scritto con il poeta Hosein Aghiyan, “My beloved is going to the mountain”; sono gli uccelli ad avere l’ultima “parola”, ma prima di chiudere c’è spazio anche per “Love stands alone”, a ricordare un’altra donna che ha scritto la storia della poesia in Iran, Forugh Farrokhzad. 


Alessio Surian

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