Marjan Vahdat – Our Garden is Alone (Kirkelig Kulturverksted, 2022)

“Our Garden is Alone” della cantante iraniana Marjan Vahdat ha raggiunto i vertici della Transglobal World Music Chart. Non è cosa da poco, considerato che dietro la compilazione di questa classifica, non eurocentrica, di musiche del mondo, c’è un nutrito e autorevole panel di operatori culturali e giornalisti. Intanto, ecco le coordinate del terzo lavoro di un’artista che è parte della diaspora iraniana. Infatti, Marjan è nata a Teheran nel 1976, ha studiato a lungo con maestri dell’arte vocale persiana, è vissuta a lungo in Europa, completando la sua formazione con studi di musicologia a Colonia e vivendo in Norvegia con la sorella Mahsa, con la quale ha inciso più di un disco, a partire dal celebre “Lullabies from the Axis of Evil” (2004) per la label norvegese Kirkelig Kulturveksted. Marjan, che oggi risiede negli Stati Uniti, da solista ha realizzato “Blue Fields” (2013) e “Serene Hope” (2017). “Our Garden is Alone”, pubblicato sempre per la KKV, è prodotto da una delle figure di spicco del nu jazz nordico, il compositore e produttore norvegese Bugge Wesseltoft (piano, tastiere, fisarmonica e arrangiamenti), con i compatrioti Jo Berger Myhre (contrabbasso e basso) e Kenneth Ekornes (batteria e percussioni) e con gli iraniani Pasha Hanjani (ney) e Shervin Mohajer (kamancheh), due altrettanto rinomati strumentisti. Dall’organico si comprende come l’ambientazione sia di matrice classico-jazz-medio-orientale ma, ben inteso, priva di quei cliché che abitano molte convivenze di mondi musicali. Soprattutto, si avverte come l’approccio sonoro ‘boreale’, intimo e lirico, di Weeseltoft contribuisca a esaltare la magnetica eleganza vocale di Marjan. Come altri dischi concepiti negli ultimi due anni di restrizioni politico-sanitarie anche “Our Garden is Alone” è stato realizzato mediante session intercontinentali (USA, Norvegia e Iran). Cosicché l’elaborazione è iniziata con la registrazione di tutte le parti vocali di Marjan e con i diversi musicisti che hanno dato il loro contributo al progetto. Cionondimeno, va riconosciuto a Bugge Weseltoft e al sound engineer Martin Abrahamsen l’abilità nel conferire continuità, organicità e profondità ai suoni di questo album. La maggior parte delle melodie e dei testi è stata scritta da Marjan, ispirandosi alle espressioni musicali tradizionali e alla poetica di differenti regioni dell’Iran, a cominciare dal titolo dell’album che con il “giardino”, richiama uno degli elementi naturalistici da sempre centrali nella poesia persiana, che rimanda simbolicamente alla sua stessa terra d’origine. L’artista attinge alla letteratura popolare, così come alle liriche contemporanee di Ahmad Shamloo e Forough Farrokhzad e ai distici duecenteschi del poeta mistico Jalāl al-Dīn Rūmī, mentre anche la sorella Mahsa contribuisce musicando un brano. È il ney lo strumento che sostiene e contrappunta le sfumature del timbro di Marjan nella splendida canzone d’apertura, “Leyli’s Garden”, un tema dedicato a sua madre, in cui canta: “Oh, il raggio del mio chiaro di luna/Tu sei la Leyli del mio cuore/Hai catturato la mia anima/Sei il mio deserto inquieto/Leyli Leyli mia cara/Leyli Leyli, sei il raggio del mio occhio /Sai perché la mia canzone è triste?/Perché desideravo la tua presenza come Majnoon 1/Voglio innaffiare i fiori del tuo nome/Voglio nutrire i piccioni del tuo tetto/Leyli Leyli mia cara/Leyli sei il raggio del mio occhio”. La metafora del “giardino solitario” può condurre a interpretazioni multiple, da quella più personale e intima a quella che allarga la visione al Paese nativo che l’artista ha lasciato da esule. La presenza sottile data della strumentazione alimenta la pronuncia limpida in “Sunrise”, altro episodio pervaso dal desiderio: “Tu sei il grido che si nasconde nel mio petto,/Sei il crepuscolo nella gola del cielo rosso di casa./Laggiù la luna ti guarda in modo diverso,/ L’ebbrezza è stata incapsulata in una vita differente./La pianta solitaria radicata nel deserto, come dovrebbe essere curato il suo dolore di desiderio?/L’eco della melodia della tua voce è avvolta dalla mia anima. Tu dai vita ai raggi di sole della mia visione,/Tu porti l’alba all’ombra delle nuvole del mio petto./Io sono il cielo blu del tuo regno,/Sono una nuvola di speranza nel tuo miraggio”. La successiva “Deylaman” è una composizione che fa incontrare le liriche di Marjan e la musica della sorella Mahsa. Con “Heart of Darkness”, invece, Vahdat entra nel cuore della poesia iraniana contemporanea, trasponendo una lirica di Ahmad Shamloo (1925-2000) su un tessuto armonico strumentale minimale (“Un uccello volò dalla profondità dell'oscurità,/la notte chiese perché e si addormentò di nuovo/L’uccello pianse, sbatté le ali,/non riusciva a trovare la sua strada e atterrò nell'oscurità./Io sono l’uccello che è girato dall'oscurità/Il suo canto è un sospiro, la sua primavera è un flusso di sangue/Il suo seme è intrappolato dall'ipocrisia del mondo/Il suo nido è la culla dondolante del dubbio /Sono l’uccello che ha aperto e chiuso le sue ali/Non ha trovato il modo di/attraversare la notte e si è stabilito nell'oscurità incurante della vita, senza ambizione/per il suo nome/dà solo un sospiro all’oscurità, questo è tutto ...”). Un sinuoso kamancheh interviene a richiamare il mondo sonoro persiano nell’emblematica “Homeland”, che attinge a un testo dalla letteratura orale del Khorasan. In “Love Resonates” il piano fa da preludio, accompagna il canto nitido e chiude, non smettendo mai di tenere dietro al verso che è invito all’emozione che sgorga dall’amore e fa propri i versi di Rūmī (“In mezzo al caos e allo spargimento di sangue, l’amore ha un giardino di rose/Gli amanti cercano l’amore incondizionato/La saggezza dice che siamo limitati a sei direzioni e non c’è altra strada/Ma l’amore dice che c’è una strada e io l’ho percorsa molte volte […]/Basta parlare, togliti dal cuore lo strappo dell’esistenza/Così puoi vedere il roseto dentro di te”). Pure “Tantanan!” (Melodia) è pura bellezza di canto avvolgente che riveste di note i versi di Mòlānā . La musica di “Singing Pigeon” è ispirata a una melodia sacra armena, mentre “Night Demon”, dedicata alle sofferenze delle madri iraniane, combina una melodia popolare del Lorestan con una sezione composta da Marjan e un testo in parte tradizionale e in parte ripreso dall’opera della poetessa Forough Farrokhzad (1934-1967), la più importante voce lirica persiana del Novecento, scomparsa tragicamente a soli trentadue anni in un incidente stradale. Come sempre gli strumenti incorniciano le sfumature del canto di Vahdat che conclude con “In love”, in cui riprende un’altra poesia popolare del Khorasan (“Dicono che l'amore non ha fondamento/All'inizio è una cura, ma alla fine è sofferenza./Dicono che l’amore non ti farà vergognare./Tuttavia, la mia fronte è segnata affinché tutti la vedano“). Poetica del canto che suscita emozioni profonde. 


Ciro De Rosa

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1 Quella di “Leyli e Majnoon” o “Leyla e Majnun” è una storia d’amore immortale, una delle epopee più popolari del Medio Oriente e dell’Asia centrale. È il paradigma dell’amore folle. In lingua persiana e araba, l’espressione “Io sono il tuo Majnoon” equivale a dire: “Sono pazzo di te”. 

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