Una vera e propria missione – come riporta la pagina del crowdfunding dedicata alla nuova produzione della band marchigiana – questo grande album/riscoperta. Riscoperta doverosa di una carriera diritta e proficua, tutta dedicata alla storia e alla contemporaneità, all’armonia e alla contrapposizione, a quella controcultura edificante che ha marchiato il corso della musica italiana degli ultimi trent’anni e passa. Album autoprodotto e caparbiamente cercato, che ricompone parzialmente una ricca discografia, attraverso una selezione e una (auto) riproposta di brani da “Le radici e le ali” del 1991 a “Controverso” del 2000. Perché? Ce lo dicono direttamente Sandro e Marino Severini, in uno stralcio del comunicato che campeggia, sotto la foto delle figure austere e sognanti dei due fratelli Gang: la Wea, label italiana confluita nel gruppo Warner e proprietaria della discografia della band ricompresa in quegli anni, non ha intenzione di ristamparne una sola copia (in barba alla cultura della ristampa, potremmo dire, che tanta strada ha fatto, e tanti guadagni ha fruttato, immaginiamo, negli ultimi anni). Allora i Severini, nel solco di quella proprietà assoluta e spesso marginale nel business musicale, si armano e chiamano a raccolta i sostenitori: si affidano al crowdfunding e - come già fatto in altre occasioni (“Sangue e Cenere”, “Calibro 77” e “Ritorno al fuoco”) - operano, azzerando le mediazioni e le convenzioni, sui brani del loro repertorio. Non lasciamo sepolte quelle canzoni e iniziamo a togliere via la polvere, prima che sia troppo tardi: sì, è proprio una chiamata a raccolta. In più puntano forte sulla dimensione della coproduzione, sul rapporto diretto con i seguaci che, giocoforza, assumono un ruolo attivo e dicono la loro. Dico dicono la loro perché, se la sostanza del ruolo rimane pur sempre quella di contribuire attraverso l’acquisto, in questi casi - come è ampiamente noto - l’ascoltatore entra in gioco molto prima. E non si limita a comprare e ascoltare, ma a rendere, di fatto, possibile la realizzazione dell’album. I Gang, dal canto loro, fanno il lavoro artistico, accettando la piacevole e controllata contaminazione che irradia questo tipo di mercato: fanno un nuovo business, atipico quanto bene incastrato nella prospettiva dell’orizzontalità del mercato e delle relazioni contemporanee, elaborando strategie di vendita, seppur in uno scenario che, è inutile dirlo, abbraccia chi produce direttamente e chi lo fa indirettamente. Insomma la dimensione della condivisione è in primo piano. E, se possibile, in casi come questi assume un valore sociale – ancora prima che politico – di grande importanza. I fratelli Severini – granitici nelle loro forme e posture, seppur entrambi attualmente barbuti – scelgono dodici brani (iniziano gradualmente, perché si legge sottotraccia che hanno intenzione di arrivare a spolverarne almeno sessanta) e si mettono al lavoro: senza lasciare nulla al caso. Innanzitutto, dopo quello della casa discografica (tirata dentro con una nota irriducibilmente negativa: non c’è tanto da leggere tra le righe), fanno il nome dei brani scelti e del titolo della nuova “raccolta” (che, come vedremo in chiusura, ha ingenerato altra imperdibile musica), che colpisce come la chiarezza di un cristallo: “Fra silenzi e spari” (come a dire, un pezzo grande di mondo e di storia, una visuale lampante sulla realtà, con brani come “Bandito senza tempo”, “Fino alla fine”, “Johnny lo zingaro”, “Sesto San Giovanni”). Poi fanno il nome di chi ha prodotto l’album, scelto tra i grandi, aprendo una valanga di connessioni e suoni: Jono Manson. Inutile dire che tutto si sposta su un livello di grande fascino. Soprattutto perché quelle connessioni hanno a che fare con la frequentazione di Jono con l’Italia (ha lavorato con Massimo Bubola, Andrea Parodi e Massimiliano Larocca), con la sua visione musicale - morbida e radicale - e la traiettoria di una composizione, di un suono, di un timbro deciso, basilare, mai intermedio e sfocato. Insomma, quello che potremmo dire dei Gang, che interpretano i Gang nella prospettiva, nobilissima e fascinosissima, di liberare loro stessi (la loro immagine storica, la loro composizione verace e, allo stesso tempo, internazionale), oltre che le loro canzoni. In questo processo di verità e di riconoscimento della potenza trasversale dell’incontro - non possiamo non riferirne, anche se in chiusura - emerge l’ispirazione ampia di questa band straordinaria (che ha spaziato in lungo e in largo, prestando la propria schiena dura a collaborazioni e incisioni con La Macina di Gastone Pietrucci, Mauro Pagani, Daniele Sepe, tenendo ben teso lo sguardo a Woody Guthrie, i Clash e i loro mondi). Dicevamo non possiamo non riferire del regalo incluso nel processo di riscoperta incluso in “Fra silenzi e spari”. Si tratta di due grandi extra: “Re-Incanto”, con versioni inedite e semi-acustiche di brani tratti da “Sangue e Cenere” e “Ritorno al Fuoco”, e “Quanto amore (Omaggio a Claudio Lolli)”, un album con otto brani di Lolli reinterpretati per l’occasione in una nuova veste acustica.
Daniele Cestellini
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