Marco Bardoscia – Legnomadre (Tǔk Music, 2023)

Contrabbassista dotato di assoluto talento, in grado di muoversi attraverso ambiti musicali differenti dal jazz alla canzone d’autore passando per la musica tradizionale, Marco Bardoscia coniuga una brillante tecnica esecutiva ad un peculiare approccio alla composizione e ciò, lo ha condotto negli anni a diventare una è una delle punte diamante della Tǔk Music di Paolo Fresu, oltre ad averlo personalmente affiancato in numerosi progetti da “Tempo di Chet” al tributo a David Bowie “Heroes” contenuto nel cofanetto “P6OLO FR3SU” e i più recenti "popOFF".  “Ferlinghetti”. Parallelamente il musicista salentino ha messo in fila diversi album, sia come leader che in collaborazione con altri strumentisti da "Tutti Solo" a "Trigono" con Alborada e Rita Marcotulli, passando per "Lumina" con Emanuele Maniscalco, Carla Casarano, Leila Shirvani e William Greco e giungere allo splendido "The Future is a Tree” disco che lo vedeva esordire alla guida di un classico trio jazz composto dall'ottimo William Greco al pianoforte e dall'eclettico Dario Congedo alla batteria. A distanza di tre anni da quest’ultimo, lo ritroviamo con “Legnomadre”, album che nel riprendere le tematiche del precedente, estende il raggio della ricerca sonora, con il suo trio che è diventato la base per una formazione aperta, a geometrie variabili, in cui spiccano Gabriele Mirabassi (clarinetto), Simone Padovani (percussioni) e l’Orchetra da Camera di Perugia, oltre alla partecipazione speciale di Mannarino. Abbiamo intervistato Marco Bardoscia per farci raccontare il suo percorso formativo ed artistico per soffermarci sulla genesi e le ispirazioni alla base di questo nuovo lavoro.

Partiamo da lontano e, in particolare, dalla tua formazione accademica. Quanto è stato importante l'esperienza in Conservatorio?
Il conservatorio è stato sicuramente importante negli anni della mia formazione, innanzitutto per la sicurezza sullo strumento che inevitabilmente si acquisisce grazie alle tante ore di pratica quotidiana. È stato importante anche per una certa “disciplina” richiesta soprattutto per chi come me ha frequentato il vecchio ordinamento e, inoltre, per la conoscenza e l’approfondimento di un certo repertorio che senza dubbio non avrei altrimenti avvicinato e affrontato, non ti nascondo che quando a quattordici anni circa ho iniziato il percorso di studi non avevo la minima idea di cosa avrei studiato. Ho avuto, quindi, la possibilità di scoprire e innamorarmi della musica classica.

Nel tuo percorso artistico hai avuto modo di muoverti attraverso generi musicali differenti con diverse incursioni nei territori della musica world e in quella tradizionale salentina. Quanto c'è di queste esperienze nella tua cifra stilistica?
Sinceramente credo e spero che ci sia molto di questo nel mio modo di concepire la musica ma c’è anche altro, ad esempio, la forma canzone, o certe forme della musica antica, le varie forme ed estetiche del jazz e anche il blues o il rock progressive degli anni settanta con cui ho iniziato a suonare nelle cantine.

Come si è evoluta la tua ricerca musicale negli anni con riferimento al jazz?
In modo assolutamente empirico e anche “random” come credo accada per molti, mi sono innamorato delle cose man mano che le ho scoperte. Ce ne sono state alcune per le quali mi sono dovuto dare il tempo di maturare come ad esempio “A love supreme” di Coltrane disco pilastro della storia del jazz che al primo ascolto non riuscii a “capire”, decisi di ritornarci dopo qualche tempo e restò nel lettore CD per un anno intero, letteralmente consumato ne dovetti comprare un’altra copia.

Quali aspetti espressivi e timbrici hai cercato di esaltare nel tuo approccio al contrabbasso?
Il contrabbasso è uno strumento che offre una grande varietà di possibilità espressive, per quanto mi riguarda negli anni ho esplorato vari approcci allo strumento da quello classico a quello più rumoristico. Di fondo, però, per me è solo uno strumento per mettermi in comunicazione con il mondo.

Quanto è stato importante l'incontro con Paolo Fresu?
Molto! Paolo oltra ad essere il mio produttore è un musicista e un uomo di altissima levatura e dotato di una sensibilità fuori dal comune. Negli ultimi anni ho avuto la fortuna di passare molto tempo con lui tra concerti, registrazioni e viaggi, imparo tanto da lui ogni volta e resta per me e molti altri musicisti un punto di riferimento importante.

Hai lavorato a diversi progetti collettivi negli ultimi anni e parlo di "Trigono", "popOFF!" e "Ferlinghetti". Cosa ti è rimasto di queste esperienze?
Ognuna di esse mi ha donato tanto per il grande spessore dei musicisti e per la musica creata insieme, e in tutte c’è una parte importante di me come musicista e come compositore.

Il tuo nuovo album "Legnomadre" si collega direttamente al precedente "The Future is a Tree" dal punto di vista tematico con il richiamo alla necessità di proteggere il mondo che viviamo, la nostra madre terra, ma è anche un canto d'amore verso il legno di cui è fatto il tuo strumento di elezione. Ci puoi raccontare com'è nato questo nuovo lavoro?
Si, il tema è lo stesso del precedente album, declinato musicalmente in modo diverso ma con lo stesso messaggio di fondo. Man mano che scrivevo la musica il lavoro mi si è chiarificato in mente. Ovviamente la presenza dell’orchestra ha richiesto uno sforzo ulteriore da parte mia in quanto quasi tutti i brani sono arrangiati e orchestrati da me ad eccezione di Peace che è stata orchestrata da Alfonso Girardo.

Quali sono le identità e le differenze tra i due album?
The future is a tree ha certamente una vocazione più intimistica sia per la formazione che per la musica stessa, “Legnomadre” è una “festa” di suoni e colori e racconta un lato del mio sentire musicale un po’ nascosto a mio avviso fin ora e, spero, mostra all’ascoltatore una componente danzabile della mia musica. 
In uno degli ultimi concerti qualcuno del pubblico mi ha detto: “è un peccato dover ascoltare questa musica seduti, mi è venuta voglia di ballare durante il concerto”. Per me è un grande complimento.

Come si è indirizzato il tuo lavoro in fase di scrittura e arrangiamento dei brani? Quali aspetti hai cercato di mettere in evidenza?
Come ti dicevo, il lavoro ha preso forma via via che lo scrivevo, è stato stimolante per me scrivere le parti orchestrali anche perché non sono un arrangiatore (anche se avevo già fatto dei lavori con organici più piccoli in precedenza). Mi sono quindi cimentato in un lavoro che mi ha fatto imparare tanto, scrivere per un ensemble come questo è veramente divertente anche se impegnativo. Ho cercato di sfruttare al meglio dal lato l’aspetto orchestrale e dall’altro quello ritmico (Nel disco e anche dal vivo ci sono sia batteria che percussioni) restando, però, al mio modo di scrivere.

Durante l'ascolto mi hanno colpito gli echi latin, le fascinazioni brasiliane. Cosa ti lega a questo universo musicale?
Pochi lo sanno ma intorno ai diciotto anni per un bel po’ di tempo ho suonato in molti locali della provincia di Lecce con un gruppo che proponeva un repertorio di Son cubano, salsa, rumba e altre musiche tradizionali del centro America, si suonava tanto sia nei club che nelle sale da ballo (In quel periodo arrivava da noi la passione per il ballo sudamericano). 
Quei suoni mi sono rimasti nel cuore oltre che nelle orecchie e come spesso accade in musica ad un certo punto sono rivenuti fuori.

Hai già avuto modo di rodare il disco sul palco. Come si evolvono i brani dal vivo? 
Si, per adesso solo in quintetto con clarinetto, piano, batteria, percussioni e contrabbasso. Senza l’orchestra la musica è naturalmente più libera e malleabile e l’aspetto ritmico è più accentuato. Abbiamo in programma di fare alcuni concerti con l’intero organico, sarà sicuramente diverso, con l’orchestra tutto diventa più morbido e si aggiungono dei livelli che donano una paletta di suoni e sfumature più ampia.

Quali altri progetti hai in cantiere per il futuro?
Per il momento sono molto impegnato con i concerti e non mi pongo il problema di quello che verrà anche se so che un giorno mi sveglierò e avrò voglia di lavorare a tante cose che sono ancora nel cassetto e di scriverne di nuove. Mi godo il momento e aspetto.


Marco Bardoscia – Legnomadre (Tǔk Music, 2023)
Quando nel 2020 era uscito “The future is a tree” ci aveva colpito tanto sotto il profilo concettuale con il suo grido d’allarme in difesa della natura, quando sotto quello prettamente musicale, rappresentando un ulteriore, e forse determinante, passaggio del percorso artistico di Marco Bardoscia. Da allora sono trascorsi tre anni, durante i quali il contrabbassista salentino ha avuto modo di far sedimentare nuove ispirazioni compositive per riprendere il suo viaggio sonoro intorno al legno, quello sacrale e vivo strettamente connesso a Madre Natura ed evocato dal disco del 2020, ma anche quello degli strumenti musicali su cui ruota il suo nuovo album “Legnomadre”. A riguardo nella presentazione, Bardoscia scrive: “Legno Madre diventa il canto d’amore del legno (e di chi lo suona) per la madre Terra. I passati anni di pandemia hanno spostato la nostra attenzione sulla nostra salute, su noi stessi e in generale sull’umanità generando un pensiero principalmente antropocentrico. Ma l’uomo non è che uno degli elementi della natura che lo circonda ed è pericoloso avere una visione così limitata della realtà, non c’è futuro per gli uomini senza il rispetto e l’amore per il mondo che li circonda e se impariamo ad amare un fiore, un albero, un uccello o un fiume stiamo già amando noi stessi e il nostro prossimo”. Composto da dieci brani che, nel loro insieme, colgono il mistero intrinseco della natura e della perfetta armonia che la regola, il disco riflette tutto questo nella sua peculiare ricercatezza del suono che vede il musicista salentino esplorare territori nuovi come il jazz cameristico e la musica latin. Fondamentale in questo senso è il contributo del suo collaudato trio, composto con William Greco (pianoforte) e Dario Congedo (batteria) ai quali, per l’occasione, si sono aggiunti Gabriele Mirabassi (clarinetto) e Simone Padovani (percussioni) e l’Orchestra da Camera di Perugia. Ad aprire il disco è l’emblematica title-track una sorta di overture dalle atmosfere cinematografiche che si muove attraverso rarefatti echi di folk norderuopeo per approdare ad uno spaccato cameristico di grande suggestione. Si prosegue con la magnifica rilettura di “Lagrimas Negras” di Miguel Matamoros, magistralmente interpretata da Mannarino che veste i panni del crooner, ma il disco entra nel vivo con “Peace”, arrangiata da Alfonso Girardo, una composizione di stringente attualità in cui giganteggia il clarinetto di Mirabassi con il contrabbasso di Bardoscia e la batteria di Congedo a costruire una impeccabile struttura ritmica. L’Orchestra torna protagonista in “Abitare poeticamente il mondo” ispirata al toccante libro omonimo di Christian Bobin, consegnandoci una riflessione intimistica sul ribaltamento della prospettiva dell’uomo da centro del mondo, ad essere vivente parte di quel grande affresco che è la natura. Se “Madeira” ci consegna una linea melodica mossa sostenuta da un tessuto ritmico brillante su cui ricama il clarinetto di Mirabassi, la successiva “Sequoia” è un altro gustoso spaccato di grande lirismo. La voce del piccolo Otto ci introduce alla brillante “Otto il pirata” che ci fa navigare nei mari del Sudamerica tra Cuba e il Brasile per poi introdurci alla sequenza conclusiva in cui ascoltiamo le raffinate “Chica y Nano” e “Palo Santo” prima che la ripresa della title-track concluda il disco. Insomma “Legnomadre” è un disco affascinante che colpisce sin dal primo ascolto per la sua eleganza e la vibrante tensione creativa che risalta dalla scrittura di ogni composizione. 


Salvatore Esposito

Foto di Roberto Cifarelli

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