Mehmet Polat Quartet – Embodied Poetry (Aftab Records, 2023)

Mehmet Polat, compositore e docente oltre che strumentista, ci conduce in un affascinante viaggio attraverso le sonorità scure, profonde e potenti dell’oud, il cordofono più rappresentativo dell’area mediterranea. Conoscitore della musica alevita, delle tradizioni anatolica e ottomana, non nuovo a collaborazioni in ambito world e jazz, a distanza di tre anni dalla pubblicazione di “The Promise”, realizzato con numerosi musicisti di strumenti tradizionali, con questo “Embodied Poetry” alla guida di una formazione in quartetto nuova di zecca insieme al pianista Mike Roelofs (NL), al batterista Martin Hafizi (BG) ed al contrabbassista Daniel van Huffelen (NL), Polat propone un repertorio originale in cui i linguaggi della musica occidentale ed orientale si intersecano e si fondono in modo naturale, senza forzature, anche grazie alle sue capacità di saper spaziare ed esplorare nuove frontiere. Mehmet Polat, che tra le altre cose ha progettato una nuova versione dell’oud con l’aggiunta di due corde basse che ampliano le possibilità sonore dello strumento e ha ideato una nuova tecnica per la mano sinistra per superare i limiti imposti dallo strumento stesso, propone dodici composizioni originali per oltre un’ora di ascolto tra tempi dispari, melodie che invitano alla contemplazione e significativi innesti di echi jazz. Non mancano tra gli special guests Gijs Levelt alla tromba, Vardan Hovanissian e Sukru Kirtis rispettivamente al duduk e al flauto ney. “Embodied Poetry” si apre elegantemente con il brano “Introspection” dal sapore fortemente orientale. In “For growth” l’oud e il piano all’inizio vanno all’unisono, poi il piano vira da solista decisamente verso il jazz in un finale incalzante. La title-track in terza posizione, prende spunto da un raga indiano suonato all’oud, per espandersi grazie alle atmosfere jazz indotte da piano, contrabbasso e batteria: nell’insieme risulta uno sviluppo imprevisto, crescente ed appassionato. E la successiva “Ladybird” sembra quasi il suo naturale seguito. Poi arriva il più riflessivo “Compassion”, aperto dal contrabbasso e, ancora dopo, un brano che vuole fondere le tradizioni mediterranee con il jazz: “Diotima” che – raccontano le note per la stampa – è il nome della figlia di Polat, scelto ispirandosi alla filosofa dell’antica Grecia che fu insegnante di Socrate. “Groove stories” presenta un arrangiamento quasi da orchestra jazz, con un tempo in 5/4 che introduce l’intervento della tromba suonata da Gijs Levelt. La malinconica “Landed together” si apre con l’oud che prepara l’ingresso del duduk suonato dall’armeno Vardan Hovanissian che crea un’atmosfera rarefatta e sognante. “Morning smiles” si affida all’appassionato, continuo dialogo tra contrabbasso, oud e piano con l’inserto di un raga indiano e in “Vulnerable gems” viene sviluppato in un crescendo un tema incalzante. Nel lunghissimo “Four phases”, dall’impianto meditativo, si esplorano quattro idee musicali anche attraverso l’alternanza di oud, batteria, piano e il ney suonato da Sukru Kirtis e si introduce al finale con “Güpegündüz”, traccia melodica che conclude l’album in bellezza con struggenti aperture. “Embodied Poetry” è un lavoro evocativo, un frutto dell’apertura e della pacifica convivenza di musiche che hanno riferimenti in culture diverse, tra area mediterranea e vicino oriente, sapientemente innervate con il jazz. Il risultato è un frutto estremamente piacevole: una colonna sonora che apre la mente. mehmetpolat.bandcamp.com/album/embodied-poetry


Carla Visca

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