Mari Kalkun – Stories of Stonia (Real World, 2023)

#CONSIGLIATOBLOGFOOLK
 

La maggior parte dei brani di “Stories of Stonia” iniziano con la voce di Mari Kalkun e, attorno al canto costruiscono un’ecologia acustica in cui la canzone prende corpo gradualmente, facendo ricorso a suoni ambientali e al kannel, al pianoforte, all’elettronica e a sovraincisioni vocali. "In un mondo frenetico, surriscaldato e fortemente consumistico, queste canzoni hanno una natura universale. Il tema centrale dell'album è il rapporto controverso dell'umanità con la natura e se le vecchie canzoni runiche siano in grado di parlare dei consumi eccessivi e del cambiamento climatico". Così Mari Kalkun introduce il suo ottavo lavoro, circa uno ogni due anni dal 2007 ad oggi. Nei nove brani da lei composti canta e suona cetre, pianoforte, elettronica, organo elettrico, violino, piccole percussioni, vibrafono, frusta da sauna. Con lei sono Tarmo Noormaa all’ organetto; Nathan Riki Thomson al contrabbasso e al contrabbasso preparato; Daniel Herskedal alla tuba e alla tromba; Roland Seer e Martin Kikas alle percussioni; Tanel Kadalipp al basso e al tamburo; e le cantanti runiche Mari Kilu e Liisu Tamp. Le canzoni sono attraversate dalle ecologie acustiche e dalle foreste dell'Estonia per dar vita al suo personale “folk estone contemporaneo” radicato nella regione meridionale-orientale del Võruma e nel võru, la lingua della regione, parlata da sole 75.000 persone, legata alle canzoni runiche che costituiscono un ponte fra forme poetiche dell'Estonia e della
Finlandia. In “Munamäe loomine” (La creazione di Munamägi) la sua voce intona un canto legato ai miti di creazione, una delle forme più antiche fra i canti runici, e narra attingendo ad un antico mito ugro-finnico in cui il mondo venne creato dalle uova di uccello che qui, attraverso il canto, danno vita alle colline della sua regione natale, Rõuge dove la famiglia Kalkun vive da centinaia di anni. Il finale fa emergere una melodia ispirata da una canzone tradizionale indiana in continuità con la prima parte della canzone.  Seguono “Suur tamm” che riprende il mito tradizionale estone della grande quercia che arrivò a crescere tanto da oscurare il sole, generando buio e freddo fino a quando un ragazzo con un'ascia magica fu in grado di abbattere la quercia, salvando il mondo dalle tenebre. Al cuore dell’album c’è “Maaimä” che canta gli umani descrivendoli come insetti ospitati dalla pelle della Terra, in una cornice ritmica serrata che rende percepibile l’incalzare della crisi climatica e dei consumi fuori controllo. “Tõistmuudu" ("altrimenti" in lingua võro) parla della natura umana e di come un modo folle chiami una diversa prospettiva di vita più in sintonia con la natura ed i suoi cicli, compresi quelli meno ospitali: il video di
questa canzone venne realizzato su un lago durante una tempesta di neve a Võrumaa. Il seguente episodio propone una magnifica calma dopo la tempesta. “Kui kivid olid veel pehmed” (Quando le pietre erano ancora morbide), rimanda allo scrittore estone, Hasso Krull: un poetico gioco di voci entra in dialogo con la tuba e la tromba del norvegese Daniel Herskedal, così come “Põhjataeva alune lend” (Volo sotto il cielo del Nord) invita a seguire il volo delle rondini e a cercare la natura universale dell'essere umano mentre l’occhio della rondine osserva pozzi colmi di acqua fresca e il mattino limpido e silenzioso. “Mu välläkoolõmisõ pääl kiil” (La mia lingua morente) è fra gli omaggi agli scrittori contemporanei che scrivono in võro cui l’album si ispira: Jaan Kaplinski, Leila Holts e Triinu Laan; la poesia di quest'ultima, "La mia lingua morente", esprime sentimenti contrastanti a riguardo dello stato della lingua võro che può annoverare scrittori importanti, pur restando in graduale declino, con un unico quotidiano e cinque minuti di notizie in lingua võro alla radio nazionale ogni settimana. Nel finale si ascolta una voce che recita i versi della prima poesia pubblicata in estone (nel 1818 da Kristjan Jaak Peterson) da una registrazione tratta dall'Archivio del Folklore Estone del 1936. 




Alessio Surian

Posta un commento

Nuova Vecchia