Con Babel Med ci eravamo salutati nel 2017; in seguito al taglio di quasi l’80% della sovvenzione da parte della regione Provence-Alpes-Côte d’Azur, principale erogatore di finanziamenti, il forum musicale mediterraneo primaverile, nato nel 2005, era stato cancellato. La pandemia, poi, aveva fatto il resto, privandoci di un appuntamento di punta nell’agenda del settore “world music” e lasciando la città francese senza un evento culturale di primo piano.
Però, quest’anno l’Expo-festival marsigliese è risorto, contando di nuovo sul sostegno dell’istituzione pubblica locale, ma affidandosi pure ad altri partner. Sotto la direzione artistica di Olivier Rey, dal 23 al 25 marzo, ci si è ritrovati ai Dock des Suds per gli showcase serali, mentre la fiera che ha accolto all’incirca 2.000 professionisti, presentato incontri, conferenze e tavole rotonde, oltre a proiezioni seguite da dibattiti, si è svolta alla Friche la Belle-de-mai, comunità creativa collocata in ex manifattura tabacchi, e alla Cité de la Musique. Balza agli occhi il cambio del nome da cui è scomparso “Med”, il richiamo mediterraneo. Così Olivier Rey lo ha spiegato al quotidiano “Liberation”: “La parola "Med" è scomparsa per chiarire che non ci rivolgiamo solo ai Paesi dell’area mediterranea, per affermare la nostra internazionalizzazione. Allo stesso tempo, il nostro ancoraggio a quest'area geografica rimane reale: per i professionisti dei Paesi di questa sfera, e più ampiamente del
Sud, è una porta d'accesso al mercato europeo e nordatlantico; per quelli nord Europa e per gli anglosassoni dà la possibilità di tastare il polso a ciò che accade nel Mediterraneo. Per quanto riguarda ‘XP’, si tratta di una scelta piuttosto banale, una parola in cui si infila la fantasia di ognuno: può essere esportazione, esperienza, esplorazione... “. In realtà, le presenze degli espositori erano soprattutto francofone ed europee e tra i promoter nessuno di area britannica e pochini pure dal mondo scandinavo. Chissà, poi, se in queste defezioni non abbia svolto un ruolo lo stato di agitazione della Francia in sciopero contro la riforma pensionistica del governo. Nel frattempo, sono cambiati pure i Dock, dove nell’area che cinque anni fa ospitava il tendone Chapiteau, oggi sorge un edificio e la stessa struttura Dock des Suds, dovrebbe essere riconvertita in altro ed esaurire la sua centralità di venue musicale e festivaliero, perché investimenti e speculazioni immobiliari non si fermano di certo: qui come altrove.
E come non riconoscere pure la profonda mutazione della scena musicale? Intanto, proliferano i mercati-espositivi rivolti ai professional dei suoni world (termine considerato da tanti non più consono per il suo sostrato etnocentrico e neocoloniale) o global (che forse è ancora peggiore) o ancora glocal, che dir si voglia: dall’Estonia all’Africa occidentale e meridionale, dalla Corea all’America Latina. Quindi, se da un lato è
impensabile radunare artisti, espositori e musicisti provenienti da tutto il mondo (anche per gli irriducibili costi e il sempre più complicato problema dei visti degli artisti), va detto che l’idea della vetrina del mondo, che porta con sé tutti i rischi dell’esotismo se non del neocolonialismo culturale, è saltata completamente perché è la musica stessa, con l’avvento del digitale, ad essere in una fase di transizione continua. Ormai, la centralità delle etichette discografiche è bella e passata e a dominare sono agenzie di concerti, promoter, hub culturali e uffici stampa. Pure mutate le pratiche degli artisti, sia sul piano creativo che su quello della distribuzione della musica. E poi le frontiere dei generi, già “porosi” – sottolinea ancora Rey –, sono del tutto esplosi. Cosicché, il Festival rivolge il suo sguardo a uno spazio che accoglie musica tradizionale, jazz, rock e musica contemporanea che conservino una dimensione linguistica e di patrimoniale culturale e musicale locale. Insomma, sentieri poco battuti, suoni in transito, ibridazioni, creolizzazione, musiche diasporiche al centro del mondo di Babel, che oggi si definisce “hub méditerranéen des musiques mondiales”.
Attraverso un bando di concorso una giuria ha selezionato un cartellone di oltre trenta set compartirti in tre giorni, a partire da quasi 1500 progetti pervenuti agli organizzatori. Diversamente, da altri Expo, Babel apre da sempre le porte al pubblico, non limitando la
presenza agli operatori di settore. Le tre serate concertistiche dislocate in tre sale (Scène Sucres, Scène Cabaret, Scène Mirabeau) hanno visto una presenza consistente di astanti propensi a un ascolto non sempre attento delle proposte, complici i bar e la voglia di stare insieme nel week-end.
La presenza italiana a Marsiglia si è vista con artisti singoli, la corazzata Puglia Sounds, il già affermato Italian World Beat /Music Connection, la neonata Rete italiana della world music, che unisce festival da nord a sud dello Stivale. Tra i set nostrani, nel pomeriggio di giovedì 23 è andata in scena alla Cità de la Musique l’interessante progetto "Spartenza" dedicato ai canti di tradizione orale che parlano del distacco e che unisce le coste siciliane e algerine, grazie alla voce e al tamburello di Maura Guerrera e al guembri e mandola di Malik Ziad. In solo, il polistrumentista, cantante e compositore calabrese Davide Ambrogio ha proposto il suo canto drammatico, rituale e consapevole che conduce a un sentiero che mette al centro il suono nella sua dimensione estetica ed estatica. Ormai star europea e nome molto atteso, Maria Mazzotta, in combutta con la chitarra di Ernesto Nobili e le percussioni di Cristiano Della Monica ha dato sfoggio della sua arte, offrendo il suo nuovo coté, più acceso e ardito ma ancora in progress, dove il pathos della salentina è innervato da sonorità post-rock. Da Torino, è arrivato il collettivo Rhabdomantic Orchestra,
guidato dal bassista jazz e compositore Manuel Volpe, che si muove con calore fondendo codici afro-beat, free jazz e umori latino-americani.
Tra gli artisti che hanno già calcato la scena di numerose rassegne e del WOMEX, la madre di tutte le fiere, Lucas Santtana, brasiliano trasferitosi in Francia, con dolce radicalità, non perde di vista le urgenze sociali e politiche del suo Paese come della natura ferita, coniugando poesia ed eleganza del tratto chitarristico post-tropicalista. Il violoncello e la voce della cileno-cubana-spagnola Ana Carla Maza, è un altro esempio di saporito incrocio di stili. Fresca del suo potente album, “Wayo”, Moonlight Benjamin, la sacerdotessa voodoo haitiana di Tolosa, offre un set tirato e diretto, un magma impetuoso, distorto e ipnotico di garage blues-rock scandito dalla scura e a tratti aspra vocalità in lingua creola e francese. Dal mondo nord africano e mediorientale si segnalano la spiritualità del franco-marocchino Walid Ben Selim (Premio della Fondazione Orange), accompagnato dall’arpa classica di Marie Margherite Cano, l’estetica rai retro delle Les Héritières, che omaggiano l’inarrivabile icona oranese Cheikha Remitti, la virulenza elettrica ‘arab fuzz’ di Al-Qasar, le confluenze jazz e rock e il cuore mediorientale dei Sarāb, la poetica elettro-acustica della songwriter libanese Mayssa Jallad, la quale ha presentato “Marjaa”, un viaggio nel tempo che è una riflessione poetica sulla narrazione immaginaria della famigerata 'Guerra
degli Hotel' di Beirut, uno degli eventi più drammatici della guerra civile libanese. Un lavoro frutto delle due vocazioni di Jallad, la musica e la ricerca urbana e la storia dell’architettura. Si ritaglia uno spazio di erudita intimità acustica Ali Ashgar Rahimi, voce scura e gentile, virtuoso del tambûr iraniano che si accompagna al romeno Yasna Ensemble (chitarra, violino e violoncello). Diversamente, è apparsa deludente – e dire che avevamo molte attese – la fusion armena dei Jiny. Si rivela la profondità dell’anima curda di Meral Polat in trio con chitarra, tastiere e batteria, penalizzata come gli altri artisti dalla pessima acustica del palco Scène Mirabeau, dove si sono esibiti anche i danesi AySay (chitarra elettrica e sezione ritmica) guidati dalla cantante e suonatrice di saz curda Luma Ersahi, altra artista diasporica. E sempre in tema, l’Atlantico Nero ci ha portato il groove creolo dei Dowdelin e il canto dai risvolti electro pop di Ariel Tintar, che canta in francese di Guadalupa e Martinica, mentre non è apparso del tutto ben collaudato il maloya acustico rinvigorito dalla kora del gruppo Soval Chaviré. Invece, tumultuose correnti sonore oceaniche le hanno agitate gli An’Pagay, sempre da La Réunion. La pattuglia afro-futurista si è imposta con la visualità performante del potente collettivo congolese Fulu Miziki Kolektiv che utilizza rifiuti e materiali di riciclo per creare maschere, costumi e strumenti musicali
originali. Tra le altre inusitate presenze l’appeal elettronico-punk-trad della flautista e compositrice franco-nipponica Maïa Baoruh e il laiko retro dai contorni molto kitsch dei greco-marsigliesi Deli Teli (con bouzouki e farfisa).
In conclusione, focus sugli artisti regionali, ai quali la rassegna dedica un’attenzione particolare e che mostrano una vitalità non da poco. Parliamo di Barrut, settetto polifonico di Montpellier, dotato di tamburelli e tamburi, che esegue canti in lingua d’oc dalla verve militante, ma meno articolati, sulla scia degli insegnamenti di Lo Còr de la Plana, e più recentemente, San Salvador e altre formazioni che hanno “inventato” le polifonie occitane. Da seguire la vibrante conflagrazione tra la ghironda elettrica di Sèbastien Gisbert e le percussioni di Guilhem Desq, in arte S.T.O.R.M., ma, soprattutto, tripudio di pubblico e di critica per i De La Crau, creatura di Sam Karpienia, da vent’anni dalla parte del nuovo sound marsigliese (già con Dupain e Fora Bandit), che con la sua mandola elettrificata, canto in provenzale, contrabbasso e batteria/ tamburello (da ascoltare il loro album “Temperi”) combinati con attitudine rock e psichedelica à la Sonic Youth hanno scosso e messo a ballare la platea marsigliese. Ben fatto e suonato. Ben ritrovati/e a Babel!
Ciro De Rosa
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I Luoghi della Musica
Nella presenza italiana, da notare anche Aida music (Stefano Florio, Amadi Lagha, Babskin, Paolo Cecchin, Francod'Elia, Luca Bassanese) con un bellissimo stand.
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