Giacomo Sferlazzo – Comu 'na nuci dintra un saccu (Suoni Indelebili, 2023)

Avevamo lasciato Giacomo Sferlazzo, cantautore ed agitatore culturale lampedusano, alle prese, fra le altre cose, con la storia di Andrea Anfossi e delle sue mille peripezie. Adesso, lo ritroviamo immerso in un nuovo lavoro, dal titolo quanto mai programmatico: “Comu una nuci dintra un saccu”. Secondo un proverbio lampedusano, una noce in un sacco non fa nessun rumore. E allora Sferlazzo riparte dal suo stesso rumore, interiore e solitario, dalla sua chitarra (suonata con una perizia enorme, ndr) e dalla sua voce nuda,  per farsi voce comune. Album aperto dai toni malinconici di “Fammi passari” e della sua metrica antica, trascinata da uno strumming incessante. “Sciuscia lu ventu” si srotola lungo un arpeggio dai colori sospesi, rarefatti dagli accordi diminuiti. Di tutt’altro tenore è, invece, “L’acqua scurri”, frustata da una ritmica furibonda e secca. “Anciulu mia” ha un portamento dolente, perfettamente raccontato da un cantato e da una progressione armonica figli diretti della migliore tradizione da cuntastorie. Con “Alaccia” torna un interessante gioco di contraltari nella costruzione della tracklist: ci troviamo di fronte ad un brano dall’incedere brioso, cantato a voce spiegata e con la chitarra a risuonare argentina. “Ti susi di matina”, uno dei momenti migliori dell’intero album, è una ballata afflitta, scandita da uno strumming stancamente polveroso. A seguire, troviamo una “U ballu di’ ribelli” che sembra uscita para para dalle raccolte del Folkstudio di Palermo: strofa con schitarrate secche e tese, e strumming che esplode, libertino, nel ritornello. “Vita da vita mia” si perde fra le pieghe sofferenti dell’abbandono, accompagnata da una chitarra “triste, solitaria y final”. Altro passaggio interessante è “Linzola”, allargata da arpeggi ariosi e freschi. “Nun c'è tempo” è una deliziosa filastrocca a suon di pizzica, con i bassi a vorticare ed i cantini a strappare sul levare. “Bedda” è un delicato canto d’amore, con una dinamica accesa da sferzate ritmiche quasi furibonde e spenta da delicati volteggi valzereggianti. Penultimo passaggio del disco è “Quannu si fa sira”, intensa ballata inumidita una morbida e sognante chitarra classica. A chiudere il lavoro ci pensa “Comu ‘na nuci”, brano-manifesto elettrizzato da trame ritmiche asfissianti ed ossessive. 
In conclusione, ci troviamo all’ascolto di un disco purissimo, che mette in mostra l'importanza di una musica resistente, popolare nell’accezione più squisitamente politica del termine, terrosa, con radici ben forti e necessità narrative.


Giuseppe Provenzano 

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