Maura Guerrera/Malik Ziad – Spartenza (RadiciMusic, 2019)

Se “Spartenza” può apparire un titolo non proprio originale, per contro non è scontato il sodalizio tra la cantante messinese (suona anche tamburello e tammorra muta) di residenza marsigliese - con alle spalle studi con Fabio Tricomi, Giovanna Marini e Luisa Cottifogli e collaborazioni con Lino Cannavacciuolo, Pietrarsa e Giancarlo Parisi - e Malik Ziad, polistrumentista algerino (mandola, guimbri, karkabou, bendir e voce), anch’egli trapiantato in Provenza, cresciuto con la musicalità gnawa e lo chaâbi e ascoltato - tra gli altri - accanto a Piers Faccini, Dupain e Vincent Segal. Una personalità musicale altolocata della scena di Marsiglia come Manu Théron de Lo Cór de la Plana e di altri magnifici progetti polivocali, partecipa alla direzione artistica, canta in quattro brani e scrive le note di presentazione: insomma, quanto basta a suscitare ben più che la semplice curiosità negli ascoltatori che prediligono incontri e confluenze mediterranei. Perché Maura Guerrera vive la musica siciliana rapportandosi alla bellezza dei repertori, alle inflessioni vocali e alle tecniche esecutive, con la dedizione di chi è si formato con studi, letture e ascolti, ma mostra anche la capacità di tracciare una propria riflessione stilistica sui materiali di tradizionale orale, combinando con naturalezza il suo canto con i cordofoni e le percussioni di Ziad, che producono un suono spogliato che non ricerca ingombri, costruito su arpeggi di corde e slanci percussivi che sanno assecondare la nitida voce di Maura. Il disco è una co-produzione tra Radici music e la Cité della Musique di Marsiglia, realizzato nel consueto bell’artwork che contraddistingue la label toscana. L’iniziale “Ramu vecchiu” riprende il richiamo di un venditore di rame messinese e sale in un crescendo percussivo che incontra le cadenze gnawa alimentate da guimbri, nacchere metalliche e tamburo a cornice. La scaletta prosegue tra gioie, dolori, drammi, sogni e speranze. C’è il cambio di registro vocale nelle vicissitudini di vita cantate in “Muttetta”, un tema di origine calabrese in cui la separazione si esprime attraverso la voce di un giovane che immagina di andare in Albania a ritrovare la sua bella. Un solo di mandola apre “Spartenza amara”, un tradizionale di Noto, che vede la presenza vocale di Manu. Ancora più incisivo il ruolo del marsigliese nel canto di mietitura “A Pisera” (un canto di lavoro destinato a incoraggiare il cavallo a girare nello spazio dell’aia e separare il grano dalla paglia), proveniente da Galati Memertino. Si tratta di uno dei motivi più coinvolgenti del disco, con il potente guimbri a dettare legge nel crescendo finale. A seguire, la mandola cuce intarsi che si conciliano amabilmente con la dolcezza della ninna nanna “Figghia mia riposa un poco”, originaria di Ferla, nel siracusano. La serenata tradizionale di Monreale “Affacciati Bbedda e Sentimi cantari” trova sponda nell’iterazione del piccolo liuto a tre corde e delle percussioni, illuminandosi di tinte maghrebine, mentre “Ialofru ca ri Spagna si binutu”, ossia “Garofano di Spagna sei venuto”, tratto da una registrazione di Antonino Uccello, è un poetico canto d’amore del siracusano. In punta di corde pizzicate, “Sta terra nun fa pi mia”, interpretata ancora una volta in coppia con Théron, proviene da raccolte di canti di emigrati siciliani d’oltreoceano curata da Giuliana Fugazzotto. Un’altra ninna nanna, “Figghia mia quantu si fina”, è di origine ragusana e si muove su un ritmo di tammurriata. Maura, Malik e Manu ci salutano alla grande con l’anelito d’amore espresso da “Spunta lu suli”, un canto contadino detto a “nota longa” (cantato a due voci e l’ultima nota era tenuta a lungo, spiega Maura), che è una sorta di ritorno a casa, a Barcellona Pozzo di Gotto. Il canto è stato appreso da una registrazione degli anni Ottanta effettuata da Mario Sarica e Giuliana Fugazzotto. Spartenza è simbolo di divisione, però può diventare metafora di relazione, di un orizzonte di dialogo che affonda in secoli di storia comune tra le sponde del Mare Chiuso, di un ponte sonoro che si rinnova. 


Ciro De Rosa

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