Chi legge questo magazine ha già incontrato Michael Baird, di cui abbiamo parlato per i suoi fieldworks in Zambia e per “Ferrari Safari” (2020), realizzato in duo con il percussionista Pino Basile.
Singolare figura di polistrumentista e compositore, titolare e curatore dell’etichetta SWP Records, perlustratore di suoni della sua terra d’origine, lo Zambia, dove è nato da genitori britannici nel 1954, Baird fu “rimpatriato” con la famiglia nel Regno Unito a dieci anni; tre anni dopo si trasferì in Olanda, dove tuttora risiede a Utrecht.
Nel suo linguaggio sonoro si avverte la presenza di un variegato bagaglio che lega musiche tradizionali zambiane e della limitrofa area congolese, il rock-blues dei suoi esordi da batterista, i suoni latini, l’improvvisazione jazz. Così Baird si racconta: “Da quando ho iniziato a comporre nel 1984, cerco di combinare le mie radici africane con la musica ‘moderna’ che sentivo intorno a me, sia essa jazz o etnica o proveniente dalla scena dance. Nel 1988 un giornalista tedesco si chiese, recensendo un mio concerto: ‘È jazz? È Voodoo? È una world music che viene compresa ovunque’. Finalmente sapevo cosa stavo suonando: Voodoo-Jazz! Il mio gruppo Sharp Wood (dal 1984 al 1994) suonava world music e crossover ancor prima che questi termini fossero inventati e i concerti avevano sempre un carattere esorcistico. Un buon groove ritmico è una cosa profonda. Sì, mi considero un modernista, ma questo significa che sono in grado di rubare da tutte le parti: gli ingredienti possono essere vecchi come il mondo, ma è ancora la mia zuppa...”.
E del titolo del nuovo album, “Thumbs on the Outside”, Baird (tastiere, piano Rhodes, vibrafono, drum set, percussioni Bemba, percussioni varie, rullante, toms, piatti, campane, shakers, kalimba, field recording) dice: “Come vi dirà qualsiasi autista, non mettete mai i pollici all’interno del volante, perché una buca o un avvallamento nascosto possono far sobbalzare improvvisamente il volante e molti pollici si sono rotti in questo modo. E così gente, mentre il viaggio che è la vita continua – pollici in fuori!”.
Baird mantiene costante il flusso sonoro, coagulando pattern ritmici, disegnando movenze poliritmiche, costruendo frasi melodiche che incrociano ostinati, producendo inconsueti incontri timbrici.
“Baonoko Central Station” apre il variegato programma dell’album composto da undici tracce, richiamando con la sua festosità percussiva le registrazioni dell’etnomusicologo Hugh Tracey del 1952 nella casa di Baonoko, un capo locale dell’allora Congo nord-occidentale (i materiali sono contenuti nell’album “On the Edge of the Ituri Forest”, SWP): è un omaggio alle radici del ritmo e a una personalità illustre di quel mondo africano di settant’anni fa. Attira l’attenzione la successiva “Hello Hello Lilo”, in cui la voce della nipotina di Michael, Lilo, di soli cinque mesi, dà il suo contributo al motivo danzante in 5/4, caratterizzato dalla presenza di aerofoni della valle dello Zambesi. Si avvicendano diverse figurazioni ritmiche in “Four Sevens”, dove entra Pino Basile al tamburello e al cupaphon: un highlight dell’album, segnato dal dialogo serrato tra i due percussionisti. Basile non è il solo ospite del disco; a riguardo Baird commenta: “Ho chiesto a ogni musicista ospite un determinato brano perché potevo sentire il loro contributo nella mia testa. E sono molto soddisfatto di come è andata a finire: sono amici della musica. Naturalmente anche la nipotina ha detto subito di sì, all’età di 5 mesi! Il tamburo sulla copertina del CD è più vecchio di me, e mi accompagna da sempre. È un tamburo donato a mio padre in occasione della nascita del primo figlio dal Chitimukulu, il capo supremo del popolo Bemba dello Zambia settentrionale. Lo suono in diversi brani di questo album: questo strumento è uno spirito forte”.
Tornando alla tracklist, colpisce “Ainu”, segnato dalle chitarre fusion di Rémi Charmasson che incrociano vibrafono e kalimba. Il tema prende il nome dalla popolazione nativa del Giappone settentrionale. “Il brano è stato ispirato dalla grande cantante Ainu Umeko Ando ed è dedicato a tutti i popoli indigeni, che hanno subito la dominazione, la discriminazione, la distruzione della propria cultura e la conseguente disperazione. Utilizzo la scala pentatonica Ainu, spostandola di un tono intero e aggiungendo una sesta nota, rendendo la scala esatonale”. Magnetica è pure “Kasaï Neighbours”, con la quale ci spostiamo nella regione del Congo meridionale, dove “la musica dei popoli Songye, Luba e Kanyok ha un meraviglioso ritmo medio non frenetico”, rileva ancora Baird. Vibrafono, synth e toms confluiscono in “Raspmerrie”, mentre in “Gabon” – un altro tema tra i più avvincenti dell’album – Michael Moore porta clarinetto e sax alto nella composizione, che è nuovamente debitrice nei confronti della ricchezza musicale africana: ad ispirarla sono “le armonie dell’arpa ngombi e dell’arco mungombo del Gabon” che incontrano una dimensione free-jazz-funk-industrial. La successiva “Radius Action” ci ricorda che “l’osso del radio è collegato all’osso del tamburo”, chiosa con humour Baird. Oltre, c’è “St Pancreas”, brano in 5/4 “in memoria di un caro amico” che transita verso atmosfere funky. A fare da contrasto, in un certo senso, c’è la riflessiva e iterativa “Resurgent”, dove un’altra ospite, Marianne Noordink, suona flauto contralto e flauto: “Ci si rialza dopo le avversità, si riemerge dopo essere quasi annegati. C’è sempre speranza, la vita continua – in una forma o nell’altra. Qui in 10/8”, chiosa Michael. Del pezzo conclusivo, più votato verso l’elettronica, “Monday’s Heat Wave”, dice: “Se non vi piacciono i lunedì, se li trovate spesso burrascosi, se non avete lavoretti da fare, allora suonate questo brano. In realtà potete suonarlo anche in qualsiasi altro giorno della settimana!”. Come questo album, da ascoltare nella sua interezza, davvero piacevole per varietà creativa, in una certa misura sperimentale ma che si pregia anche di grande immediatezza. Lo potete trovare su Bandcamp. swp-records.bandcamp.com/music
Ciro De Rosa
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