La Maschera – Sotto chi tene core (Full Heads/GRAF/Audioglobe, 2022)

A distanza di quasi dieci anni da quel “'O vicolo' e l'alleria” che fu il loro lavoro d’esordio, ed a sei da “ParcoSofia”, album con cui centrarono la cinquina delle Targhe Tenco come miglior disco in dialetto, torna La Maschera, collettivo partenopeo guidato dal carisma di Roberto Colella. Il loro terzo album, “Sotto chi tene core”, si presenta perfettamente- e senza alcun filtro- già a cominciare dal titolo, vero e proprio manifesto resistente di una moltitudine di voci senza voce. A ribadire ulteriormente il concetto è proprio la title- track, che fa anche da apertura del disco: “Vivere è resistenza, sotto chi tene’ core”, con la strofa guidata dagli arpeggi del quatro venezuelano a due corde di Roberto, il ritornello scandito da fiati vorticosi e da un pattern ritmico secco ed atomico, e la coda sporcata di elettrico da schitarrate nervose. A seguire troviamo i toni blueseggianti di “Mirella è felice”, pezzo scritto con Tommaso Primo, con i fraseggi della chitarra elettrica che si mescolano splendidamente alle sivsature del pianoforte ed alle incursioni colorate di fiati briosi, in quello che è il racconto di un incontro- quello fra Felice Pignataro e Mirella La Magna- e di una “rivoluzione dei colori: il GRIDAS (Gruppo di Risveglio Dal Sonno), la Controscuola, il Carnevale di Scampia”. Altra storia di resistenza è “Conosci Thomas?”, dedicata alla figura fondamentale di Thomas Sankara: qui un terroso arpeggio di chitarra sostiene il cantato della voce, mentre percussioni tribali e fiati ariosi scandiscono l’esplosione ritmica del ritornello, con le svisature di una chitarra elettrica a là Tinariwen a completare i colori africani del paesaggio. “Core ‘è lignamme” (“C’è l’amore nel mio sguardo: è segno che so’ ancora vivo”) è uno splendido omaggio a Pasquale, uno dei tanti invisibili che colorano il mondo, ed alla sua amicizia con Roberto, nata sghemba in un autogrill e densa di vita pulsante, qui raccontata con l’aiuto dei malinconici arpeggi di una chitarra acustica, colorati da dolci fiati dal sapore mariachi. “Dorme cu’mmè” vede un delicato arpeggio di chitarra a sostenere le strofe- quasi in spoken word- per poi esplodere nel ritornello, fra fiati jazzate, archi cristallini e sporcature di chitarra elettrica, in un ben riuscito meccanismo di contraltari: alla freschezza della parte musicale si contrappone, infatti, la durezza di una delle tante storie d’ emigrazione inghiottite dal mare. Un gentile tappeto di synth ci introduce a “Chi se vo bene”, col pianoforte a distillare accordi ed il flanger di una chitarra elettrica ad allargare l’atmosfera del brano, ulteriormente dilatata dagli interventi dei fiati. Ad accoglierci su “14 Agosto” sono dei semitonici sapori arabi, con una chitarra a spargere i suoi nervosismi elettrici e le esuberanze dei fiati a regalare vento di brezza marina alla canzone. Su “ ‘A cosa justa” troviamo, dopo Tommaso Primo, un altro collaboratore d’eccezione: il testo, infatti, è firmato da Alessio Sollo, poeta che, col suo “Orso ‘nnamurato”, insieme a Gnut, aveva già fatto conoscenza di queste pagine. Episodio, questo, che vede un dolce arpeggio di chitarra affondare fra languidi tappeti di synth, per poi riemergere, sollevato dagli umidi fraseggi dei fiati che, insieme a dei maestosi archi, guidano la toccante coda strumentale. A chiudere il lavoro ci pensa la splendida rivisitazione di “Se tu ès o meu amor”, capolavoro di Vitorino Salomè, uno dei più grandi cantori del Portogallo, che, a questa versione, ha anche prestato la voce. Gli arpeggi della chitarra acustica e le aperture dei fiati tessono un commovente incastro sonoro, che regala al brano un fortissimo carico di tenerezza, reso esplosivo dal finale, scandito da una batteria marziale a dettare il tempo. Anche l’incastro vocale- con l’ingresso di Vitorino che è una vera zampata lacerante- rende perfettamente la carica evocativa di una gemma di straziante bellezza. In conclusione, il ritorno di Roberto Colella- coadiuvato dai fidi Vincenzo Capasso (fiati e cori), Alessandro Morlando (chitarra elettrica e cori), Antonio Gomez Caddeo (basso, contrabasso, susafono e cori), Marco Salvatore (batteria e cori) e Michele Maione (percussioni), con l’aggiunta di Carla Grimaldi (archi), Pietro Santangelo (sassofono sulla prima traccia) e Massimo “Blindur” De Vita (che, oltre ad essere il produttore dell’album, ha suonato anche mandolino, tastiere, percussioni, organetta ed ha fatto i cori)- coincide con una vera e propria scelta di campo, musicale e civile. Un disco volutamente ed orgogliosamente politico e militante, che conferma- qualora ce ne fosse bisogno- l’importanza dell’essere “cantastorie”, nell’accezione più pura del termine. Di lavori del genere, c’è sempre un bisogno urgente. Evviva La Maschera, evviva chi fa musica perché ha qualcosa da dire. 


Giuseppe Provenzano

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